Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 113, December 2010
Quale cittadinanza per una società globale?Come le migrazioni internazionaliinterrogano i nostri StatiDott.ssa Laura Zanfrini*
Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: «Tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? (Dalla Seconda Lettera dellÂÂApostolo Giacomo, II, 2-4)
Cittadini si nasce o si diventa? Gli stranieri dovrebbero prendere parte alla vita politica della nazione in cui vivono anche esercitando il diritto di voto? È giusto che chi acquisisce la nazionalità del paese in cui è immigrato possa al contempo mantenere la propria nazionalità dÂÂorigine? Anche gli immigrati irregolari e ÂÂclandestini devono avere dei diritti? È legittima la pretesa degli Stati di limitare, attraverso la politica dei visti e le leggi sullÂÂimmigrazione, il diritto alla libertà di movimento? Fino a che punto le comunità immigrate possono aspirare non soltanto ad essere trattate da uguali, ma addirittura ad essere preservate nella loro specifica identità e ÂÂdiversitàÂÂ? Interrogativi come questi animano, da qualche anno, il dibattito politico in un po tutti i paesi dÂÂimmigrazione, ma con maggior forza nellÂÂEuropa culla dei diritti umani ed erede del nazionalismo. Le migrazioni internazionali, infatti, hanno lÂÂeffetto di sconvolgere il principio fondamentale sul quale la retorica nazionalista ha preteso di fondare il funzionamento istituzionale delle nostre società: la corrispondenza tra il popolo, la nazione (concetti che richiamano altresì la condivisione di una lingua, una cultura e sovente anche di una religione), il territorio sul quale si esercita lÂÂautorità statuale e la cittadinanza (un concetto, questÂÂultimo, che evoca tanto lÂÂappartenenza di un individuo a una sintesi politica statuale, quanto lÂÂinsieme dei diritti  civili, politici e sociali  e dei doveri che discendono dallo status di cittadino). Invero, è proprio su tale principio di corrispondenza che gli Stati fondano la loro pretesa sia di ÂÂscegliersi i propri cittadini  attraverso le politiche migratorie e le normative in materia di cittadinanza ÂÂ; sia di modulare lÂÂaccesso ai diritti da parte degli stranieri  per esempio escludendoli dai diritti politici ÂÂ; sia, ancora, di ÂÂimporre agli immigrati quei modelli di vita e quei valori ritenuti irrinunciabili proprio perché profondamente radicati nella nostra cultura giuridica e politica  per esempio, il valore della democrazia e quello dellÂÂuguaglianza fra uomini e donne ÂÂ. E tuttavia, proprio lÂÂimmigrazione, a maggiore ragione quando assume i caratteri di una presenza stanziale e dà vita a nuove generazioni, obbliga le società ospiti a ripensare i criteri che definiscono la membership alla nazione e i principi che regolano lÂÂaccesso ai diritti di cittadinanza[1]. ComÂÂè stato affermato (Sayad, 1996), lÂÂimmigrazione ÂÂdisturba perché smaschera la natura storica e contingente delle fondamentali idee sulle quali lo Stato si fonda: il confine, la cittadinanza, lÂÂomogeneità culturale della nazione, lÂÂancoraggio a uno specifico territorio, e via dicendo. LÂÂaccelerazione delle migrazioni internazionali e lÂÂingrossamento delle comunità immigrate hanno fatto si che, per come sono stati definiti allÂÂinterno degli Stati-nazione, i confini non siano più in grado di dare adeguatamente forma allÂÂappartenenza, di funzionare da filtro per lÂÂallocazione dei diritti tradizionalmente associati alla cittadinanza e di legittimare la partecipazione a quei gruppi di solidarietà rappresentati dai regimi di welfare. In termini ancor più espliciti, appare sempre meno legittima lÂÂambizione degli Stati di poter selezionare i propri appartenenti, escludendo gli stranieri (Walzer, 1983) e sempre più discutibile lÂÂeticità di regimi di redistribuzione e protezione basati sulla finzione di società perimetrate dai recinti nazionali. Di qui unÂÂimponente riflessione attorno alla questione della cittadinanza (Zanfrini, 2007b) e a quella dei confini della membership e dei sistemi di Welfare (Ferrera, 2005). Nei prossimi paragrafi daremo conto del dibattito in corso a livello europeo e internazionale, soffermandoci in particolare sul caso italiano. Come vedremo, tutte le ÂÂsoluzioni finora prospettate sono intrise di contraddizioni; ma sono proprio tali contraddizioni a fare dellÂÂimmigrazione unÂÂopportunità straordinaria per ripensare al significato e alla pratica della cittadinanza, rendendola unÂÂoccasione profetica per riflettere sul futuro delle nostre società e sui valori che desideriamo stiano alla base del suo funzionamento. Continues...
* Laura Zanfrini è professore ordinario alla Facoltà di Sociologia dellÂÂUniversità Cattolica di Milano, dove insegna Sociologia della convivenza interetnica. [1] Abbiamo affrontato questi temi nel nostro volume Cittadinanze. Appartenenza e diritti nella società dellÂÂimmigrazione (Laterza, 2007), al quale rinviamo il lettore desideroso di approfondirli.
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