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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 82, April 2000

 La sensibilità della Chiesa nel seguire il processo di globalizzazione che coinvolge l'umanità intera[1]

S. E. Mons.Francesco GIOIA
Segretario del Pontificio Consiglio

La ricorrenza del trentesimo anniversario dallÂ’istituzione del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, istituito da Paolo VI con Motu Proprio Apostolicae Caritatis (19 marzo 1970) costituisce lÂ’occasione ideale per cogliere la sensibilità con cui la Chiesa ha avvertito e seguito fino al giorno dÂ’oggi il processo della globalizzazione con una serie di documenti di analisi del fenomeno epocale e di iniziative e strutture adeguate.

1.Documenti e iniziative significative

Il concetto di un pianeta sulla cui superficie nazioni, razze, aree religiose e linguistiche avevano ritagliato i loro siti sacri costituisce lÂ’icona di un umanità ormai in declino, di tipo stanziale. Oltre quei siti si debordava o per una affermazione di natura imperialistica o per un fatto di invasione devastante. Solo esuli o emigranti – singoli individui o gruppi di emarginati – spinti dalla miseria o dalla violenza si disperdevano e si annullavano al di fuori del loro habitat stanziale.

Oggi si parla di globalizzazione, cioè di una nuova icona umana, in cui lÂ’itineranza non solo aumenta ma diventa sempre più un fenomeno positivo, fino al punto di presagire un cammino verso una situazione nomade come normale per gli uomini di un non lontano domani. Si tratta di un fenomeno epocale cui la Chiesa si è fatta attenta fin dagli inizi per adeguarvi la sua azione evangelizzatrice.

Alla fase arcaica, per così dire, cioè stanziale della società, risale il documento che dal 1914 il Papa invia ogni anno per la celebrazione della Giornata del Migrante. A sensibilizzare la Curia Romana, in particolare sulla situazione degli emigrati italiani, era stato Mons. G.B. Scalabrini, attentissimo al problema degli emigranti. Nel corso di una visita pastorale ai paesini remoti della sua diocesi di Piacenza, un giorno gli si presentò un padre di famiglia a chiedergli la benedizione prima di partire per lÂ’America e gli disse: “Non mi rimane scelta: o rubare o emigrare. Rubare non debbo né voglio. Emigrare è lÂ’unica risorsa che mi resta”. È una testimonianza significativa contenuta negli scritti del Beato, pubblicati recentemente (Scalabrini e le migrazioni moderne – Scritti e carteggi, SEI 1997), accanto a unÂ’altra ugualmente significativa, giuntagli dallÂ’Orinoco: “Ci mandi un prete, perché qui si vive e si muore come bestie” (Ivi, p. 8).

2.Eventi cerniera

Due tragici eventi cerniera sono stati per lÂ’umanità le due guerre mondiali che hanno messo in moto sofisticati equilibri costruiti nel corso di processi lentissimi durati secoli. Nelle fasi acute del quinquennio che immette agli Anni Venti e di quello che apre agli Anni Quaranta, eserciti e tecniche contrappongono continenti a continenti, oceani a oceani, spazi aerei a spazi aerei tra Europa, America, Asia. Il colonialismo aveva fatto dÂ’interi continenti, come lÂ’Africa, o subcontinenti, come lÂ’India, spazi vitali degli Stati europei. Questi equilibri crollano e nascono identità nuove.

I termini ricorrenti per indicare documenti e istituzioni relativi alle nuove dinamiche sono quelli di migranti e itineranti. Prevalentemente appartengono al gruppo indicato dal primo termine i soggetti che a diverso titolo risiedono allÂ’estero: migranti, profughi, esiliati, rifugiati, studenti esteri. Sotto il secondo termine cadono i marittimi, gli aeronaviganti, i nomadi, i pellegrini, i turisti, i fieranti e i circensi. Per i primi, la mobilità umana è una condizione di emergenza e disagio, per i secondi è una condizione di normalità. La prima è una condizione anormale destinata a scomparire, la seconda è una condizione destinata a crescere fino a una impostazione mondiale se non proprio unitaria di status almeno di servizi e organismi di cooperazione.

Chiesa e società umana procedono con due logiche parallele, sotto molti punti di vista. Si pensi alla nascita della Società delle Nazioni, dopo la prima guerra mondiale, e dellÂ’ONU dopo la seconda, con tutti gli organismi dipendenti per i diversi settori, suddivisi anche qui tra organismi e iniziative destinati ad emergenze (come lÂ’U.N.H.C.R., Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e organismi e iniziative destinati al servizio dellÂ’unità, della collaborazione e del dialogo tra popoli e nazioni (come lÂ’UNESCO, la FAO, ecc.). In passato il punto di convergenza era costituito da nazioni egemoni, oggi da organismi più o meno democraticamente eletti, rappresentativi di categorie umane.

In parallelo alla società umana, la chiesa ha fatto un cammino ripercorribile su documenti relativi sia alle situazioni dolorose della mobilità umana (per es. Exsul familia del 1952, Peregrinans in terra del 1969, I Rifugiati: una sfida alla solidarietà, del 1992), sia ai processi positivi di crescita umana (per es. La pastorale della mobilità umana, le direttive per gli Operatori pastorali dellÂ’Apostolato del Mare del 1990 e dellÂ’Aviazione Civile del 1995, Stella Maris del 1997, i documenti sul pellegrinaggio del 1998 e sul santuario del 1999).

Ai documenti corrisponde tutto un processo di creazione di strutture ecclesiali nuove che si pongono a servizio di una mobilità umana intesa come passaggio verso una situazione sempre più “nomade” dellÂ’uomo nello spazio e nel tempo. Nella seconda metà dellÂ’ultimo secolo, i cristiani hanno colto, nelle dinamiche dellÂ’umanità di cui erano parte, il progressivo maturare dei germi evangelici relativi alla fratellanza umana. Che cosÂ’era infatti la Carta dei diritti umani sottoscritta dai primi 51 Membri fondatori delle Nazioni Unite, il 24 ottobre 1945, se non adozione dei tratti fondamentali dellÂ’identità dellÂ’uomo secondo il Vangelo?

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti si inserisce come organismo di dialogo tra le due realtà: società umana e Chiesa. Esso abbraccia diversi settori della mobilità umana.

3.Migranti, rifugiati, studenti esteri

Per secoli lÂ’emigrazione si è alimentata nella miseria di certi paesi, come lÂ’Italia, che non disponevano di risorse per mantenere tutti i propri abitanti. La Chiesa è dÂ’accordo con i principi stabiliti a questo proposito dalla Dichiarazione dei diritti dellÂ’Uomo: diritti di ogni persona a lasciare il proprio paese e a farvi ritorno. Diritto che non è però un incoraggiamento, perché le migrazioni hanno un costo che viene pagato di solito dal migrante stesso, e perché i migranti possono diventare facilmente mezzi di produzione in mano a degli sfruttatori.

La Chiesa, in proposito, propone dei correttivi a una squilibrata – e a volte iniqua – distribuzione delle risorse. Infatti oggi la globalizzazione rende possibili correzioni una volta impensabili, attraverso lÂ’industrializzazione di regioni sfavorite dal punto di vista agricolo, lo spostamento di aziende in aree dove la produzione può diventare concorrenziale e lÂ’introduzione di tecniche appropriate. Dei 119 milioni di migranti che si spostano sul nostro pianeta, molti sono spinti dalla miseria e dalla fame e determinano nei paesi cui sono diretti conflitti di ogni genere: razziali, religiosi, culturali. I correttivi per rigenerare questa antica forma di migrazione sono urgenti. La presenza di questi immigrati raggiunge in certi paesi, per es. in Austria, ben il 10 per cento! 

I rifugiati sono i migranti forzati dalla violenza. LÂ’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati offre in proposito cifre spaventose: una persona al mondo su 120 è rifugiata, cioè espulsa dal proprio paese; in tutti i rifugiati sono 22.376.300, in maggioranza donne e bambini.

Come si diventa rifugiato? Alcuni fuggono da governi repressivi, altri da situazioni di guerra che rendono impossibile la vita. La violenza di base ne scatena altre nel corso della migrazione cui sono costrette queste persone: è la difficoltà di ottenere una nuova forma di esistenza che non sia quella clandestina nei paesi dÂ’arrivo e, nei momenti critici, è la violenza dei trafficanti cui devono affidarsi i rifugiati per raggiungere lontane e spesso illusorie località di rifugio.

È risaputo che la Chiesa - fedeli, laici, sacerdoti, religiosi, parrocchie, case religiose ovunque operino – è tra le organizzazioni più attive perché si porta nella memoria il modello dellÂ’Esodo e nella sua tradizione ha sempre considerato il povero come il “sito” della presenza e dellÂ’incontro con Dio. Ovunque la Chiesa è valida collaboratrice dellÂ’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in accordo al quale ha lanciato il grido: “Un nuovo secolo senza Rifugiati!”.

La terza categoria del settore migratorio è costituita dagli studenti esteri, che nel 1995 erano circa 1.600.000, il 2% della popolazione studentesca. Alla base del fenomeno migratorio studentesco sta la causa economica. Infatti, i 2/3 degli studenti migranti provengono dai paesi poveri e oltre la metà è accolta dai tre paesi più ricchi: USA, Gran Bretagna e Germania. Più della metà rimane in tali paesi per proseguire la ricerca dopo la laurea.

Al di là di questi dati, rimane il travaso culturale delle élites: lingua, costumi, religione, mentalità, sensibilità, modo di vestire e cibo – e mille altre cose – si confrontano nellÂ’impatto e vengono fatte circolare nei paesi di origine e di arrivo di questi studenti. La Chiesa è stata da sempre sensibile al nomadismo della cultura: ha favorito lÂ’invio degli indigeni nei paesi ricchi e ve li ha assistiti attraverso parrocchie, associazioni interculturali e interreligiose. In Europa esiste un Servizio delle Chiese europee per gli studenti internazionali. Giovanni Paolo II afferma che la mancata accoglienza degli studenti esteri mette in pericolo “la credibilità delle Chiese più antiche agli occhi delle giovani Chiese dei paesi in via di sviluppo” (16.9.1996), in una fase in cui lÂ’umanità progredita è alla “caccia dei cervelli” perché ha scoperto quale ricchezza di intelligenza, in passato trascurata, esista nei paesi che venivano ritenuti inferiori.

4.Il turismo: nuovo nomadismo

Fino a neanche un secolo fa, la maggior parte delle persone nascevano, vivevano, morivano senza mai abbandonare un limitato spazio geografico. Quello che stava fuori era conosciuto attraverso resoconti di pochi pionieri. Oggi si può dire che avvenga esattamente il contrario: il turismo è alla portata di tutti, grazie alla disponibilità di tempo libero, alla facilità dei mezzi di comunicazione, allÂ’apertura delle frontiere, allÂ’omogenizzazione delle strutture, alla nascita dellÂ’industria dellÂ’accoglienza. I turisti nel 1999 sono stati 656,9 milioni, computati sulla base di coloro che hanno varcato le frontiere del proprio paese (esclusi cioè coloro che si sono mossi allÂ’interno del territorio nazionale). Una massa enorme di persone che hanno scelto paesi e regioni, stagioni particolarmente favorevoli, motivazioni di lavoro, di arte, di religione. Una massa enorme di persone che si sono incontrate e confrontate, magari faccia a faccia, nel quotidiano, nei musei, davanti a panorami, dentro a santuari e monasteri, tra le rovine di antiche civiltà morte.

QuestÂ’area di mobilità e di nomadismo dellÂ’uomo nuovo è in piena espansione e la Chiesa ha avvertito come “il turismo correttamente indirizzato possa servire allo sviluppo armonioso delle nazioni e alla scoperta dei doni che il Creatore e Padre di tutti ha seminato a profusione nellÂ’universo e nel cuore degli uomini di ogni razza, di ogni lingua e di ogni cultura” (Papa Giovanni Paolo II, 26.11.1992). In questa prospettiva, la Chiesa fin dalle origini e nel corso di tutta la sua vita ha promosso i pellegrinaggi che hanno affratellato popoli e individui, tanto da poter far dire a Goethe che lÂ’Europa è nata come unità culturale proprio dai pellegrinaggi del medioevo. Il Grande Giubileo del 2000 rientra nel panorama di questo nomadismo di massa affratellante alla luce del Vangelo.

5.Genti di mare e navigatori dello spazio

Sono 2 milioni i marittimi impiegati nei trasporti e nella pesca dÂ’alto mare, e 30 milioni quelli che lavorano come pescatori costieri o su piattaforme petrolifere e per il loro approvvigionamento. Il mare non è di nessuno. È stato donato a Dio a tutti come patrimonio godibile di tutti, al di fuori di limitate Zone Economiche Esclusive (EEZ). Il mondo del mare è caratterizzato dalla dispersione, ma negli ultimi decenni del sec. XX, i marittimi da itineranti sono diventati migranti, nel senso che uno di loro che si imbarchi su una nave diventa, come lÂ’emigrato, persona soggetta alle leggi del paese di cui la nave porta la bandiera. E se cambia nave battente altra bandiera, è come diventasse cittadino del nuovo paese. Su ogni nave, il marittimo incontra compagni che sono di lingua, religione, leggi proprie, come lÂ’emigrato. Si capisce allora perché lÂ’Apostolatus Maris si sia strutturato in organismi nazionali disparati per raggiungere i cristiani in situazioni così strane e sostenerli nella loro fede. Oggi tutti gli organismi fanno capo, come settore particolare, del Consiglio per i Migranti e gli itineranti: complessivamente assommano a 416 punti dÂ’assistenza in altrettanti porti in cui lavorano persone a tempo pieno e a tempo parziale, tra sacerdoti, religiosi e laici.

Più del mare e degli oceani, lo spazio del cielo è patrimonio universale. Per tutti coloro che si muovono negli aeroporti, la Chiesa ha una cura particolare. Aeroporti, basi e industrie di supporto, apparecchi mobili, scuole di addestramento e una schiera di tecnici collegati alle varie attività aeree costituiscono unÂ’area estremamente mobile e in fortissima espansione: unÂ’area-laboratorio dellÂ’assemblaggio di culture, di razze, lingue e religioni che richiede unÂ’estrema mobilità anche per gli operatori pastorali addetti. La cosa è stata compresa dalla società civile che, soprattutto negli aeroporti internazionali, è disponibile a soddisfare tutte le esigenze umane. Significativamente il Papa ha evocato e proposto la reminiscenza dellÂ’Aeropago come “simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il vangelo “ (RM 37) con la testimonianza, la presenza, la proclamazione. Tra le esigenze umane cui lÂ’area deve provvedere cÂ’è anche quella della preghiera, della riflessione e del raccoglimento nel ritmo frenetico delle velocità supersoniche.

6.“Figli del vento”, “trovatori” e “menestrelli”

Si tratta di un settore che fino a non molto tempo fa poteva sembrare marginale e destinato a scomparire e che oggi potrebbe diventare un modello di sviluppo rielaborabile per il nomadismo che si prospetta come condizione umana di base. Si tratta degli Zingari: una popolazione che si aggira sui 7 milioni in Europa, altrettanti in Asia e poco meno di 2 milioni in America. Sono gruppi in cui si conserva la caratteristica nomade di fondo, come la si riscontra con altre modalità tra i Beduini e gli stessi Ebrei. Non si tratta di popoli “non ancora” fermatisi in un territorio diventato la loro patria. Ma di popoli che hanno un loro “sito” di natura diversa, tantÂ’è vero che si sono conservati con la loro cultura, la loro lingua e le loro stesse distinzioni interne (per es. i Rom, i Sinti, i Kale, ecc.). Oggi i “figli del vento” possono assurgere a modelli in grado di offrire il segreto per la conservazione delle culture nel melting pot in cui confluiscono le masse di miliardi di soggetti che si spostano da un capo allÂ’altro del Pianeta. Non per nulla gli Stati non tendono più ad assorbire nella stanzialità questi gruppi ma di assicurare condizioni di sopravvivenza alle loro dinamiche di nomadi.

La presenza della Chiesa tra i nomadi è stata ed è tuttora difficile, sebbene lÂ’attenzione sia viva. Ed esiste una rispondenza di questi popoli nei confronti del vangelo come dimostra la beatificazione di Ceferino Gimenez, zingaro che ha dato la vita per la fede durante la guerra civile spagnola nel 1936 ed elevato agli altari nel 1997.

I “trovatori” e i “menestrelli” sono unÂ’altra categoria della mobilità: sono i i nomadi della gioia che percorrono le strade del mondo a portare svaghi innocenti, esibizioni acrobatiche, manifestazioni di abilità. Nel 1975 il Principe di Monaco ha istituito per loro il Festival Internazionale del Circo con i premi del “Clown dÂ’oro” e del “Clown dÂ’argento”. Un Festival che sotto molti aspetti fa pensare a un legame che da sempre è esistito tra artisti del circo e le feste del santo patrono o della fiera paesana della società rurale. Eppure nonostante la loro storia, queste persone sono difficilmente collegabili con una vera e propria azione pastorale specifica. In Europa le imprese di fieranti sono 80.000 e le frequenze raggiungono il miliardo in un anno.

Tra le due aree, quella della migrazione e quella dellÂ’itineranza, il Pontificio Consiglio svolge la sua opera a incremento di una società e di una Chiesa sempre più mobili e creative.

Nota:
[1]Articolo apparso su L'Osservatore Romano, il 19 Marzo 2000.
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