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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 82, April 2000

Il pellegrinaggio e l'esperienza diretta

S.E .Mons. FrancescoGioia
Segretario del Pontificio Consiglio

Arrivare a Dio attraverso il concetto o l'intuizione mistica è stato il tentativo dei filosofi, dei teologi, dei mistici. Già Aristotele era arrivato a Dio attraverso la via concettuale. Nel medioevo i filosofi avevano elaborato un complesso di "vie" tramite le quali risalire a Dio, quale "causa di tutte le cause". I grandi mistici di tutte le religioni, invece, si sono incontrati con Dio nell'immediatezza dell'intuizione contemplativa.

Il sapere e il conoscere non passano solo attraverso le vie dell'astrazione del concetto o dell'intuizione diretta, ma per un'altra via, che non è meno nobile delle due accennate: la via della rivisitazione degli eventi passati e dei luoghi, dove tali eventi si sono verificati. S. Girolamo dice che si capisce meglio li libro terzo dell'Eneide quando si viene, via mare, dalla Troade alle foci del Tevere, rivisitando il viaggio di Enea. Cosi, quando si vede con i propri occhi la Giudea, è possibile avere il riscontro con tanti eventi di cui parla la Bibbia (cf Paralipomeni, PL 29, 432 A). 

Significativamente S. Girolamo accosta un episodio di curiosità turistica a un pellegrinaggio cristiano. Spesso le due cose, turismo e pellegrinaggio, curiosità e fede, si mescolano. Pericoloso sarebbe depotenziare il pellegrinaggio in fatto turistico, ma risulterebbe arricchente, invece, se si innesta la curiosità di conoscenza nei contenuti della fede attraverso le rivisitazioni dei pellegrinaggi.

In proposito rimane un documento interessante, l’Itinerarium di Egeria, una nobildonna dell'epoca post-costantiniana che nel 380 si porta, guidata dal presbitero Livias, in Palestina, Egitto, Mesopotamia e Arabia per rivisitare i luoghi biblici. Unendo fede e curiosità umana, racconta: "Allora io, che sono abbastanza curiosa, volli sapere...". E qui espone le cose che, assieme ai compagni di viaggio, chiede al prete Livias di poter visitare: "A queste parole, noi, pieni di entusiasmo, desiderammo partire e subito, abbandonata la strada, seguimmo il prete che ci guidava" (o.c. 16, 3). Così quei pellegrini divennero "turisti della fede" nei luoghi biblici, per comprendere meglio il senso delle parole del Libro Sacro.

Conoscere attraverso concetti è diverso dal conoscere anche attraverso l'esperienza diretta. La cosa vale sia per la curiosità che sospinge il turista a contatti con paesaggi e culture, sia per il pellegrino che, sospinto da analoga curiosità, vuole rivisitare i luoghi segnati dagli eventi dell'Incarnazione e delle testimonianze cristiane successive. Tra turismo e pellegrinaggio c'è la continuità psicologica di una specie di corporeità della mente del conoscere.

1. “In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo”

Negli anni ‘60 sembrava che 1'uomo non avesse più bisogno della religione e del sacro; si osò perfino tentare di costruire una “teologia della morte di Dio”. Era il tempo dello sviluppo senza limiti. Si pensava che non avesse senso ricorrere a Dio: bastava la scienza e la tecnica per risolvere i problemi dell'uomo sulla terra. Invece, ben presto si verificò un grande ritorno al sacro con i "figli dei fiori" che tentarono un innesto nel sacro di culture esotiche orientali. Analoghi tentativi d'innesto nel sacro sono documentabili anche tra cristianesimo e forme sacre pagane. Per esempio, nella piana della città di Pergamo esistono ancora le rovine di un vasto complesso culturale-terapeutico in onore del dio Asclepio, ove si recava tanta gente - vi fu anche l'imperatore Caracalla - per ottenere rimedio ai loro mali. Là e in altri santuari simili vigeva la pratica dell'incubazione: i pellegrini dormivano nelle vicinanze e nell'area sacra per ottenere dal dio segni, consigli, prescrizioni (tramite i sacerdoti), sogni premonitori.

Secondo gli storici (cf P. Marval, Lieux saints, p. 225), la pratica dell'incubazione esisteva con certezza anche presso i cristiani, quando salivano ai loro luoghi sacri. Le agiografie antiche, collegate al santuario di S. Giovanni Battista d'Oxeia di Costantinopoli, di S. Tecla a Seleucia e ad altri santuari, narrano di pellegrini che si installavano nell'area sacra e che durante il sonno o nelle ore di veglia notturna avevano rivelazioni con i santi ivi venerati.

Il cristianesimo, nella sua diffusione, ha assunto alcuni elementi degli universi religiosi con cui veniva a contatto e attraverso i quali le popolazioni precristiane vivevano le loro esperienze religiose. Il cristiano è colui che apprezza e valorizza, nella prospettiva dei suoi valori, il sacro che è una maniera di mettersi in comunione con un Dio, che non è una semplice verità teoretica, ma una realtà in cui "viviamo, ci muoviamo e siamo" (At 17,28). Il cristiano è membro di una umanità che "di fatto, non vive e non funziona priva del sacro": la storia documenta che quando nella società Dio è morto, sono nati gli idoli.

2. Avvicinarsi a Dio attraverso il sacro

Il Giubileo offre l'occasione per l'innesto dell'esperienza cristiana del sacro in esperienze analoghe presenti in altre culture che magari ancora non conoscono Dio come lo conosciamo noi. Bisognerebbe riscoprire la carica delle prime generazioni cristiane che avevano imparato dagli ebrei e dai gentili quella forma di esperienza del sacro, più efficace di una catechesi, che era la rivisitazione dei luoghi in cui Dio si era manifestato.

Ecco in merito alcune espressioni di Egeria: "Durante gli otto giorni pasquali, dopo il pranzo, il vescovo, con tutti i presbiteri, con i neofiti e con chi tra i fedeli lo desideri, sale all'Eleona, in cui si trova la grotta dove Gesù insegnava ai suoi discepoli, o all'Imbomon, nel luogo di dove il Signore ascese al cielo... si dice una preghiera e viene letto il passo del Vangelo in cui, nel medesimo giorno, il Signore, nello stesso luogo dove oggi sorge la chiesa di Sion, a porte chiuse entrò tra i suoi discepoli..." (o.c. 39, 1). Così Egeria rivisita gli eventi narrati dal Vangelo, come attraverso qualcosa di analogo alla incubazione dei pagani che passavano la notte nel luogo sacro e attraverso il sacro cercavano una comunione con la divinità.

San Girolamo, pellegrino in Palestina e promotore dei pellegrinaggi nella terra di Gesù, viveva sentimenti analoghi e invitava gli amici a lasciare Roma e la confusione che vi regnava per rivisitare e assaporare il "mistero" dell'Incarnazione nei luoghi dove Gesù nacque e visse: "Tutto il mistero cristiano ha la sua origine in questa provincia (la Galilea) e in questa città (Gerusalemme) ... Sarà dunque vero che giungerà il giorno in cui ci sarà dato di entrare nella spelonca del Signore, piangere ... nel sepolcro del Signore? Baciare poi il legno della croce e innalzarci con il desiderio e con l'animo sul monte degli ulivi insieme col Signore che ascende al cielo? Vedere Lazzaro avvolto nelle bende uscire dal sepolcro o vedere le acque del Giordano più pure per avere lavato il Signore? ... Vedere il profeta suonare il suo corno pastorale sul monte o affrettarsi verso i tabernacoli ovvero le memorie di Abramo, Isacco e Giacobbe?... Andare in Samaria e là adorare le ceneri di Giovanni Battista, di Eliseo e di Abdia? ... Ce ne andremo al Tabor ... ci porteremo al mare di Genezaret e vedremo con cinque e sette pani saziare cinquemila persone nel deserto” (Epistola 46, 13).

E' un pellegrinaggio su percorsi storico-geografici, in uno stato d'animo ispirato dalla fede e vissuto in un'aura mistica. Potremmo dire, è una specie di incubazione, rivissuta nella fede cristiana.

Questo è, in senso pieno, il pellegrinaggio, in cui il sacro media la comunione con Dio. Si capisce allora come, arrivati al santuario cui erano diretti, i pellegrini nel medioevo passassero volentieri le notti entro le pareti o nel recinto del santuario stesso. Dormire nel santuario significava per loro un bagno nel sacro, un contatto purificatore e salvifico, misticamente reale, con l'evento che in quel luogo era accaduto

Non si pensi che la mentalità moderna sia così diversa da quella antica: anche oggi si aspira a conoscere non tanto teoreticamente la vita di Roma antica, quanto a camminare sul lastricato della Via Sacra o tra le rovine di Pompei, a toccare con le proprie mani oggetti appartenuti a qualche personaggio del passato. Non mancano, è vero, i fanatismi di coloro che vogliono oggetti appartenuti a divi creati dalla moda, però esagerazioni del genere non possono svalutare il valore di una conoscenza della realtà raggiunta attraverso l'immersione esperienziale in località che conservano reperti di antichi eventi.

3. Il cammino interiore

Nel pellegrinaggio, cristiano e non cristiano, è presente una purificazione spirituale che queste persone vogliono operare nella propria anima. Nei pellegrini "incubanti" nel recinto sacro c'era l'aspirazione a mettersi in contatto con la divinità per ottenere l'appagamento delle aspirazioni che si portavano nel cuore. Nel grande pellegrinaggio del Giubileo cinquantennale, gli Ebrei ridavano libertà agli uomini legati da debiti o schiavitù, agli animali e alla terra stessa per dimostrare che Dio era il vero padrone della vita e della morte, della fortuna e della ricchezza.

Anche il pellegrinaggio cristiano ha funzioni analoghe. Il pellegrino parte per andare alla scoperta delle tracce con cui Dio si è manifestato all'uomo. Punto culminante di tale rivelazione è stato il Verbo Incarnato. Ma anche dopo Cristo, sono rimaste le orme dei testimoni che hanno ispirato la loro vita al Vangelo. Se il fatto materiale del pellegrinaggio perde questo contenuto di "segno", diventa un atto magico, una superstizione.

Di conseguenza, il vero pellegrinaggio salvifico è quello che si compie nella propria coscienza. S. Agostino ha scritto: "Pregate senza esitazione, c'è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi... Dovunque tu sia, dovunque tu preghi, è dentro di te colui che ti ascolta. Non andare lontano" (In Jo. Evang. Tract. 10, 1). Tuttavia, il pellegrinaggio esterno ha pure la sua importanza. Lo stesso Agostino, in occasione della disputa tra un religioso del suo monastero e un prete, esorta ambedue a recarsi a Nola dove era sepolto il martire Felice perché il santo martire li avrebbe aiutati a capire chi aveva torto: "Iddio è certo dappertutto e non può essere limitato e circoscritto in nessun luogo". Dovunque si può pregarlo. Tuttavia, data la fama di cui gode il "locum sanctum" del martire Felice, "chi può mai scrutare perché certi prodigi avvengano in certi luoghi e non in altri?" (Epist. 78, 3).

Sempre in questa prospettiva del significato che è insito in ogni pellegrinaggio, la prospettiva si allarga a tutta la vita dell'uomo, soprattutto oggi. Alla mobilita umana, una mobilità in senso materiale, ma anche in senso interiore, cioè una mobilità inerente all'incalzante bisogno di ricerca che impedisce all'uomo del nostro tempo di sostare su nessuna certezza. C'è nella lingua italiana una significativa distinzione tra "peregrino" e "pellegrino" l'altra. Il primo termine si riferisce a colui che di solito si sposta e viaggia, a chi è viandante o meglio errabondo. Il secondo a colui che compie un pellegrinaggio a un luogo sacro.

L'uomo oggi, più che nel passato, è "peregrino", errabondo nel senso di una mobilità materiale, sociale, spirituale: è in continua ricerca, ma senza una meta cui dirigersi. Il "peregrino", invece, sa che la vita non è un semplice "peregrinare" senza meta, ma un "pellegrinare" verso una meta precisa. Così il pellegrinaggio diventa una forma di evangelizzazione.

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