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INAUGURAZIONE DEI LAVORI DEL COLLOQUIO
 "CULTURA, RAGIONE E LIBERTÀ"

DISCORSO DI APERTURA DI MONS. FRANCESCO FOLLO
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
PER L'EDUCAZIONE, LA SCIENZA E LA CULTURA (U.N.E.S.C.O.)

Parigi
Giovedì, 2 giugno 2005

 

Venticinque anni sono trascorsi dal primo memorabile viaggio di Giovanni Paolo II in Francia, occasione in cui pronunziò la celebre Allocuzione all'Unesco, il 2 giugno 1980. Venticinque anni, ma quelle parole risuonano ancora di un'attualità sorprendente, e di una grande carica profetica, se si riprendono come lente attraverso cui leggere i problemi e le preoccupazioni di oggi. Questo eccezionale discorso ha avuto il merito di anticipare, in nuce, gran parte delle linee guida del magistero di questo grande, infaticabile Papa sui temi della cultura, del rapporto della cultura con la fede, con l'educazione e l'istruzione, con la scienza e la comunicazione sociale, con uno sviluppo ed un'economia dal volto umano, con i diritti umani e con un diritto internazionale regolato dalla logica dell'amore, e non dalla mera logica dell'homo homini lupus. "L'integrale umanità dell'uomo si esprime nella cultura", affermava Giovanni Paolo II, quando ancora la parola "cultura" non era divenuta il portabandiera (la parola d'ordine) di rivendicazioni identitarie e di battaglie per il riconoscimento. Perché oggi parlare di cultura significa dover affrontare tutti i problemi, e le sfide, della diversità culturale e del dialogo interculturale. È attraverso la cultura, infatti, che si fa strada la necessità umana di dare voce, spessore e corpo alla questione dell'identità: poiché "non di solo pane vive l'uomo", ogni uomo ha bisogno di ritrovare e assumere se stesso a partire dall'universo di valori e di senso, di rappresentazioni e di espressioni artistiche nel quale è nato e nel quale si è formato, e che contribuisce a trasformare: sempre "prodotto" e insieme "artefice".

Lungi dall'essere una semplice celebrazione, che unisce all'anniversario dell'evento il commiato per il compiersi dell'avventura terrena di Giovanni Paolo II, la rilettura attenta di questo documento ci riporta quindi a quell'attualità che egli aveva sempre lucidamente presente: consapevole già, negli anni in cui il tema della "globalizzazione" non era ancora di moda, delle aspirazioni di dignità e giustizia, non solamente economiche, che agitavano e tuttora agitano talora drammaticamente popolazioni intere. E già profeticamente annunciando che la liberazione dai totalitarismi, dagli imperialismi o dalle egemonie, "per i quali l'uomo non conta che come oggetto di dominazione e non come soggetto della sua propria esistenza umana" potrà avvenire solo se la diversità delle culture sarà inserita nell'orizzonte della fondamentale prospettiva dell'unità del genere umano: perché solo in una contestuale considerazione delle diversità e dell'unità è possibile una piena comprensione della verità di ogni cultura umana. In un certo senso, Giovanni Paolo II indicava lo "choc de civilisations" come un possibile terribile esito, quello che in quegli anni veniva prefigurato sotto forma di un'apocalisse nucleare (e che ancor oggi è lungi dall'essere scongiurato), ma non come la natura profonda dell'umano: "la pace del mondo dipende dal primato dello spirito... l'avvenire pacifico dell'umanità dipende dall'amore" ( 23). Si comprende allora tutto il pathos con il quale il Pontefice esortava i membri dell'UNESCO a "dar prova della più nobile solidarietà con l'umanità: quella che è fondata sulla dignità della persona umana" e a costruire "la pace cominciando dal fondamento: il rispetto di tutti i diritti dell'uomo, quelli che sono legati alla sua dimensione materiale ed economica come quelli che sono legati alla dimensione spirituale e interiore della sua esistenza in questo mondo" ( 22).

A tutti questi grandi temi Giovanni Paolo II non ha dato risposte "sociologiche", o suggerimenti "tecnico-politici", ha piuttosto indicato delle vie luminose e del tutto condivisibili per coloro che sanno mettere al centro di tutto l'uomo. Ma non un uomo che si basta a se stesso, che si interpreta prometeicamente, come l'artefice e il termine ultimo, "produttore" di ogni senso e di ogni valore. La fede, nella sua tensione dinamica con la cultura, "legame organico e costitutivo" ( 9), mostra l'origine e il destino soprannaturale della persona umana, che è veramente se stessa solo nella relazione viva con quell'Amore che è la radice trascendente di ogni bene.

 

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