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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
ALLA RIUNIONE DEL GRUPPO DI ESPERTI GOVERNATIVI
DEGLI STATI PARTE ALLA CONVENZIONE SULLA PROIBIZIONE O RESTRIZIONE
DELL’USO DI CERTE ARMI CONVENZIONALI
CHE POSSONO ESSERE CONSIDERATE ECCESSIVAMENTE DANNOSE
O AVERE EFFETTI INDISCRIMINATI

DISCORSO DI S.E. MONS. SILVANO MARIA TOMASI*

Ginevra
Lunedì, 14 gennaio 2008

 

Signor Presidente,

desidero innanzitutto congratularmi con lei per la sua elezione alla presidenza e assicurarla del sostegno della mia delegazione.

Nel suo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lunedì scorso, Papa Benedetto XVI ha tenuto a incoraggiare "l'adozione di misure appropriate... per affrontare il problema umanitario posto dalle munizioni a grappolo".

Da parte sua, il Segretario per le relazioni con gli Stati ha ribadito la posizione della Santa Sede nel suo discorso davanti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 1º ottobre scorso, affermando che una risposta rapida al problema delle munizioni a grappolo diviene un imperativo etico, conoscendo il costo elevato in vite umane, in maggior parte di civili e soprattutto di bambini.

Signor Presidente, desidero ribadire la posizione della Santa Sede che è stata chiarita già in diverse occasioni, in particolare lo scorso maggio in una nota dettagliata, che è stata ampiamente diffusa.

Tuttavia, permettetemi di insistere su tre punti che mi sembrano importanti per le nostre deliberazioni in questo momento del dibattito cruciale che la comunità internazionale sostiene in diversi forum che auspichiamo siano fecondi e complementari.

1. Non è un caso che l'intervento del Papa sia avvenuto subito prima della nostra riunione odierna e alcune settimane prima della Conferenza di Wellington. Le nostre deliberazioni saranno giudicate dai risultati pratici che faranno o non faranno la differenza per migliaia di persone e decine di paesi.

La delegazione della Santa Sede si rallegra del fatto che gli Stati membro del CCW hanno riconosciuto l'urgenza di una risposta appropriata ai problemi umanitari posti dalle munizioni a grappolo. Perché sia credibile, questo riconoscimento dell'urgenza dovrebbe avere una traduzione nelle nostre deliberazioni, nella conclusione di negoziati in buona fede e in un eventuale strumento che risponda adeguatamente alle sfide poste agli Stati membro della CCW.

2. La partecipazione dei produttori, degli utilizzatori e dei possessori degli stock agli sforzi attuali è evidentemente importante. La Santa Sede non può che rallegrarsi nel vedere l'impegno di numerosi paesi appartenenti a queste categorie nell'ambito della CCW e anche in quello del processo di Oslo. È però anche cruciale prendere in considerazione il fatto che numerosi paesi possono a loro volta divenire produttori, utilizzatori o possessori di stock. I rischi di proliferazione, in questo ambito come in altri, sono lungi dall'essere trascurabili. Al contrario. L'utilizzazione di queste armi da parte di entità non statuali in conflitti recenti dovrebbe spingerci a essere vigili e determinati ad agire con urgenza. La prevenzione, fra le altre cose, dovrebbe essere il punto comune di un'azione concertata fra i produttori e gli utilizzatori attuali e di quanti non lo sono ancora.

3. L'esperienza ci mostra che l'interdizione di categorie di armi operata dal negoziato in buona fede di strumenti internazionali non ha mai messo in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati. Il vero pericolo viene piuttosto dal superarmamento e dal fatto di affidarsi solo alle armi per garantire la sicurezza nazionale o internazionale. Lo sviluppo, la fiducia reciproca, la prevenzione, la creazione delle condizioni di una vita degna sono i parametri senza i quali non vi può essere sicurezza né stabilità.

L'affermazione della necessità militare delle munizioni a grappolo ci sembra inaccettabile. Una semplice domanda dovrebbe trovare una risposta: come mai fin dalla prima utilizzazione delle munizioni a grappolo non si è stati in grado di rispettare le regole del diritto umanitario internazionale, soprattutto quella della distinzione fra civili e militari?

Inoltre invocare le esigenze finanziarie per rifiutare o rimandare misure che gli Stati membro della CCW qualificano come urgenti, ci sembra inaccettabile se si guarda seriamente all'entità dei budget militari degli uni e degli altri.

Signor Presidente,

se la guerra ha un prezzo, anche la pace ne ha uno. È in tutti i casi molto più modesto. Preservare la vita, creare le condizioni di un'esistenza degna per intere popolazioni, garantire la sicurezza e la stabilità al livello più basso di armamenti, ecc. sono sfide entusiasmanti. La CCW acquisterà maggior prestigio e credibilità se gli Stati membro sapranno, collettivamente, raccogliere queste sfide.

La ringrazio signor Presidente.


*L'Osservatore Romano 30.1.2008 p.2.

 

 

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