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97a SESSIONE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL LAVORO

INTERVENTO DI S. E. MONS. SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE E ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA*

Martedì, 10 giugno 2008

Presidente,

l'economia attuale è afflitta dalla scarsità di posti di lavoro, dagli elevati prezzi delle abitazioni, dei generi alimentari e del petrolio, dall'instabilità dei mercati finanziari e dal calo demografico. È quindi di vitale importanza valutare attentamente l'impatto di queste crisi sui lavoratori, in particolare su quelli vulnerabili e meno qualificati, ricordando sempre che il lavoro ha un ruolo duplice: economico e sociale.

Presidente,

negli ultimi anni un importante elemento di disturbo dei mercati internazionali del lavoro è stato il numero di posti di lavoro, molto basso rispetto a quanto ci si aspettava in base al tasso di crescita economica. Infatti, la recente fase di crescita economica sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo non è stata accompagnata da un aumento proporzionale dell'occupazione: "una crescita senza occupazione". Questa tendenza riduce la possibilità di perseguire gli obiettivi desiderati. Nei Paesi industrializzati, per esempio, l'invecchiamento della popolazione introduce la necessità di garantire che i lavoratori godano del diritto alla pensione e che la solidarietà fra le generazioni venga rispettata. Nei Paesi in via di sviluppo, lo stadio attuale di progresso economico non è riuscito a migliorare la qualità del lavoro. Ne è un esempio chiaro l'Africa. Sebbene in questa regione vi sia un elevato rapporto fra popolazione e occupazione, quest'ultima è associata alla povertà. Troppo spesso, la mancanza di opportunità educative e professionali e la crescita lenta della produttività costringono i poveri a lavorare per sopravvivere, indipendentemente dalla qualità e dal decoro del lavoro che svolgono.

La presenza di un gran numero di "lavoratori poveri" è un altro aspetto importante dei mercati internazionali. Il documento 2008 Global Employment Trends dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) mostra che nel mondo esistono ancora 486,7 milioni di lavoratori che non guadagnano a sufficienza per elevare se stessi e le loro famiglie al di sopra della linea di povertà di un dollaro al giorno, e 1, 3 miliardi che non possono oltrepassare la linea di povertà di 2 dollari al giorno. In altre parole, il 40% di tutti i lavoratori è povero nonostante lavori. La situazione è peggiore nei Paesi in via di sviluppo, per esempio nel continente africano. Nell'Africa sub-sahariana in particolare, le persone che si trovano in situazioni lavorative vulnerabili (sia come dipendenti sia come autonomi) supera il 70%. Nel 2007, il numero di lavoratori poveri da un dollaro al giorno era maggiore del 50% e quello dei lavoratori poveri a 2 dollari al giorno superava l'85%. Questo squilibrio è accompagnato da rapporti commerciali e finanziari sbilanciati con partner più potenti e tecnologicamente avanzati. Papa Benedetto XVI ha osservato: "In molte situazioni i deboli devono piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di loro".

Intrappolati nelle attuali difficoltà economiche, giovani, donne, piccoli agricoltori e disabili trovano difficile offrire il proprio contributo al mondo del lavoro e ottenere occupazioni adatte alle proprie capacità. I giovani sono il futuro e abbiamo la particolare responsabilità di soddisfare le loro aspettative: "Le attuali generazioni dovrebbero garantire condizioni di sviluppo socio-economico equo, sostenibile e universale a quelle nuove" (Unesco; Dichiarazione sulle Responsabilità delle Attuali Generazioni verso le Future Generazioni, 1997, articolo 10). Le donne lottano ancora per ottenere un pari trattamento: la società deve essere più creativa ed elaborare appropriate opportunità occupazionali per le donne, considerando il ruolo essenziale che svolgono in famiglia. I piccoli agricoltori operosi dovrebbero essere messi nelle condizioni di espandere la propria produzione nella attuale crisi alimentare. La loro operosità merita sostegno affinché possano avere accesso al mercato e divenire elementi di edificazione dello sviluppo nei loro Paesi. I disabili non dovrebbero essere emarginati e, secondo le loro possibilità, dovrebbero anche essere inclusi come lavoratori nelle imprese per poter offrire il proprio contributo e veder riconosciuta la propria dignità.
Da qualche tempo l'Ilo è una guida efficace nella promozione di occupazioni decorose, rispettose della dignità umana, sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. A tale proposito bisogna far attenzione a non ridurre il concetto di "decoro" a lavori semplicemente remunerati meglio e a condizioni di lavoro più sane. La dignità umana esige un concetto più ampio: il lavoro è per una persona l'opportunità di vedersi all'opera e di sviluppare la rete di rapporti in cui è inserita, permettendole di realizzare la propria vocazione sfruttando appieno le sue qualità. In altre parole, un lavoro decoroso permette l'espressione della libertà personale e la responsabilità di autorealizzazione che porteranno a uno "sviluppo integrale dell'essere umano" (Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo, Risoluzione Unga 41/128, 4 dicembre 1986).

La creazione di lavori più decorosi e produttivi implica uno sforzo comune da parte di operai, impiegati e Stato, secondo la tradizionale tripartizione dell'Ilo. In questa cornice, le società multinazionali e altre imprese commerciali assumono un ruolo decisivo. Come ha affermato la Commissione sui Diritti Umani essi hanno la responsabilità sociale di promuovere diritti culturali, sociali, economici, civili e politici e contribuire alla loro realizzazione. Per quanto possibile, nelle aree più povere "daranno ai lavoratori una retribuzione che garantisca un adeguato livello di vita a loro e alle loro famiglie" (Commissione sui Diritti Umani, Norme sulle responsabilità delle società multinazionali e altre imprese commerciali a proposito dei diritti umani, Doc. Un e/c n. 4/Sub. 2/2003/12/Rev.2 del 26 agosto 2003).

Nel mercato del lavoro globale la mobilità geografica dei lavoratori è emersa quale importante questione politica e sociale. Il rispetto della dignità umana e dei diritti dei migranti è la migliore garanzia affinché il loro lavoro sia un contributo positivo all'economia locale e allo sviluppo dei Paesi d'origine. Quindi, a lungo termine, contribuiranno alla creazione di condizioni che renderanno la migrazione una scelta libera e non più una pressante necessità.

Un altro evidente elemento nei mercati del lavoro internazionali riguarda principalmente i Paesi industrializzati: la flessibilità lavorativa. La flessibilità sembra una delle caratteristiche prominenti dell'attuale fase della globalizzazione e, se riferita al mercato del lavoro, è spesso fonte di gravi preoccupazioni. In alcuni settori dell'economia, la flessibilità offre vantaggi sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori, mentre in altri potrebbe diventare una forma inaccettabile di occupazione precaria e basata sullo sfruttamento. In ogni caso, la flessibilità richiede una politica in cui le offerte dei datori di lavoro e le necessità e le preferenze dei lavoratori si incontrino in modo giusto e cooperativo.

Nonostante questi problemi, il dibattito sulla flessibilità ci permette di mettere la persona umana al centro delle politiche di mercato. Infatti, la flessibilità sposta l'attenzione dal lavoro alla persona che lo svolge. In altre parole, nonostante alcuni costi da affrontare, la flessibilità permette all'uomo di esprimere pienamente la sua creatività e il suo talento. Ciò è ottenibile mediante il ricorso corretto al principio di sussidiarietà, elaborando politiche e strumenti che permettano a ogni persona di essere nella posizione migliore per realizzare la propria vocazione.

Tuttavia, senza ombra di dubbio questi cambiamenti nel mercato del lavoro implicano costi di transizione che possono essere rilevanti: la flessibilità può essere accompagnata da una maggiore incertezza e volatilità economica, che potrebbero essere fonte di preoccupazione, in particolare per le famiglie.

Ciò è sicuramente vero per i lavoratori poco qualificati che inevitabilmente hanno un più debole potere contrattuale nei rapporti con i datori di lavoro. Infatti, una delle conseguenze della crescente flessibilità è la tendenza ad ampliare il divario fra elevate capacità e scarse abilità a beneficio delle prime.

È dunque necessario che gli individui non siano soli nella transizione verso la flessibilità: la sussidiarietà deve essere accompagnata dalla solidarietà e ciò si deve riflettere in azioni precise intraprese da chi stabilisce le politiche e da altri attori economici quali i sindacati e gli imprenditori. Queste politiche dovrebbero essere elaborate per sostenere quanti sono penalizzati dalla flessibilità, in particolare i più deboli, mediante un uso appropriato della sicurezza sociale e migliorando le loro competenze con la formazione e l'educazione relativa alla propria vocazione.

Nel dibattito attuale sul mercato internazionale del lavoro, tutti i suggerimenti dovrebbero prendere in considerazione due fatti fondamentali. Innanzitutto l'importanza della "dimensione soggettiva" del lavoro. Ciò che dà valore al lavoro non è il suo prodotto, ma chi lo svolge. Questo ci permette di parlare di dignità del lavoro. Senza questa dimensione soggettiva non ci si preoccupa della dignità del lavoro perché l'unica dimensione importante diviene quella legata alla produttività economica. In secondo luogo, la rilevanza della "dimensione sociale": il lavoro è un'attività sociale intrapresa dall'individuo, ma sempre in seno a una società. Come ha affermato Papa Giovanni Paolo II: "Più che mai, lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno" (Centesimus annus, n. 31).

Le dimensioni soggettiva e sociale del lavoro gettano nuova luce su un aspetto cruciale dell'attuale globalizzazione: il movimento internazionale dei lavoratori. Il lavoro non può essere considerato come altri anonimi fattori di produzione come il capitale. Infatti, sebbene sia complementare a essi, ha la priorità sulla produzione. Se, poi, la priorità viene data alla persona, le politiche di immigrazione devono sostenere il ricongiungimento familiare e affrontare il problema della "fuga dei cervelli" che affligge i Paesi poveri.

Nella fluttuazione dell'economia, l'Ilo può continuare a svolgere un ruolo attivo e cruciale nel mondo, riducendo i persistenti divari sociali. La strategia della produttività e la creazione di occupazione, l'accesso universale alle conoscenze, alla tecnologia e a maggiori competenze, la cooperazione, tutti elementi favorevoli allo sviluppo sostenibile, permetteranno all'organizzazione di raggiungere l'obiettivo a livello globale. Tuttavia, la correttezza richiede una diversificazione delle politiche e delle strategie che devono essere appropriate alle condizioni specifiche dei Paesi che non sono allo stesso punto di partenza della concorrenza economica. Anche "il miliardo di ultimi" (The Bottom Billion) deve essere inserito in un processo positivo di globalizzazione e condividerne i benefici. Può contribuire direttamente al proprio miglioramento mediante la conoscenza delle condizioni locali, l'impegno di tutte le parti della società civile che possono intraprendere iniziative appropriate, utilizzando gli esperti che le agenzie internazionali possono fornire.

Presidente,

la comunità internazionale affronta diverse sfide. Nel farlo, un fattore decisivo comune a tutte è la dignità della persona umana. Partendo da quest'ultima si possono elaborare politiche e affrontare i problemi e le sfide con fiducia, pervenendo a soluzioni creative per la realizzazione del bene comune.

 


*L’Osservatore Romano, 11.7.2008, p.2.

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