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64ª SESSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’O.N.U.
SECONDO COMITATO SULL'ITEM 60:
LO SVILUPPO AGRICOLO E LA SICUREZZA ALIMENTARE

INTERVENTO DI S.E. MONS. CELESTINO MIGLIORE,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

New York, 23 ottobre 2009

 

Presidente,

la mia delegazione desidera ringraziare il Segretario Generale per l'ampio rapporto redatto in vista di questo dibattito, che è particolarmente pertinente in un momento in cui lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare acquistano rinnovata attenzione da parte delle istituzioni internazionali e dei governi.

Quest'anno, per la prima volta, la denutrizione affligge più di un miliardo di persone. Sebbene il mondo produca abbastanza cibo per la comunità globale, la richiesta alimentare continua ad aumentare più velocemente della produzione agricola. Nello stesso tempo, varie iniquità e una cattiva gestione dei prodotti e dei sistemi finanziari impediscono che tutti possano vivere in un mondo libero dalla fame. Con il cambiamento dei modelli di consumo nei Paesi in via di sviluppo, i terreni agricoli vengono utilizzati a scopi non agricoli o restano incolti, e i prodotti agricoli vengono sempre più destinati a fini non alimentari. Chiaramente la capacità di nutrire la crescente popolazione mondiale richiede un rinnovato impegno nel campo delle politiche agricole.

La terra, ovvero il suolo, è una base fondamentale della nostra ricchezza, l'elemento su cui possiamo contare per la sopravvivenza dell'umanità.

Ciò implica considerazioni, decisioni e seri impegni nel contesto del cambiamento climatico, direzione verso cui le Nazioni Unite stanno lavorando per un esito positivo della prossima Conferenza di Copenaghen.

Di recente, la Banca Mondiale e la FAO hanno pubblicato un rapporto dall'indicativo titolo Awakening Africa's sleeping giant. Il "gigante" consiste di quattrocento ettari di savana africana, che si estende per 25 Paesi, dal Senegal al Sud Africa, e ha un immenso potenziale agricolo.

Attualmente viene utilizzato solo il 10% della savana, ma una politica corretta e tempestiva basata sullo strumento della coltivazione su piccola scala potrebbe sortire gli stessi risultati sorprendenti ottenuti in altre regioni del mondo in cui la medesima politica è stata adottata circa vent'anni fa.

Per contribuire a questi sforzi, non si devono rinviare la riforma agraria e la revisione dei sistemi nazionali di proprietà, che dovrebbero anche essere accompagnati da politiche agricole e da altre misure nel campo della formazione, dell'informazione, del credito, delle infrastrutture e dei servizi sociali per permettere ai coltivatori di essere protagonisti della trasformazione agricola.

Le statistiche contenute nella recente pubblicazione State of Food Insecurity in the World (SOFI 2009) confermano che la fame è aumentata nell'ultimo decennio e non è stata causata, ma solo accentuata, dall'attuale crisi finanziaria. L'aumento della fame in tutte le principali regioni del mondo, in tempi sia di prosperità sia di crisi economica, evidenzia una causa più profonda, e precisamente una debole "governance" mondiale della sicurezza alimentare.

In effetti, bisogna ammettere che oggi il potere reale dell'agricoltura sembra stare non più nelle mani dei coltivatori, ma principalmente nelle fasi che precedono e seguono la produzione. La leadership agricola è nelle mani di quanti controllano il credito e la distribuzione delle nuove tecnologie, di quanti si occupano del trasporto, della distribuzione e della vendita dei prodotti.

Il ruolo sempre più importante dei contratti di filiera nei sistemi agroalimentari offre un certo margine di sicurezza e di stabilità ai produttori, ai quali viene garantita la vendita dei loro prodotti. Tuttavia, per rispettare la dignità dei coltivatori, questi contratti non devono privarli della creatività e dell'iniziativa trasformandoli semplicemente in lavoratori salariati.

A questo proposito, come dimostra l'attuale crisi finanziaria, bisogna sforzarsi di attribuire maggiore importanza ai ruoli del lavoro e della produzione rispetto a quelli del capitale, delle transazioni finanziarie e della speculazione. Quest'ultima, infatti, continua a istillare nei coltivatori una dose destabilizzante di incertezza e imprevedibilità, perché determina la caduta dei prezzi dell'uno o dell'altro prodotto agricolo, arrestando così la produzione di tali prodotti specifici e causando una perdita di impiego duratura e, a volte, tragica per moltissimi coltivatori. Inoltre, i sussidi che falsano il commercio e il mercato devono essere riesaminati alla luce della necessità di garantire che nei Paesi in via di sviluppo i coltivatori siano in grado di partecipare al mercato nazionale e globale e ricevano una retribuzione proporzionata al lavoro svolto.

Ci troviamo di fronte a un processo di ridefinizione del ciclo globale di produzione e di commercializzazione dei prodotti agricoli, che ci esorta a una seria riflessione sulle sue conseguenze e su quali potrebbero essere nuove soluzioni equilibrate. È a questi livelli che bisogna lavorare alla creazione di una nuova economia, più attenta non solo al profitto, ma, soprattutto, alle necessità e alle relazioni umane.

La scienza e la tecnologia, sebbene siano, senza dubbio, elementi necessari al miglioramento dell'agricoltura, non sono sufficienti ad affrontare i problemi esistenti. Ciò si può fare soltanto in un ambito di solidarietà e di azione così come di maggiore attenzione alla dignità dei coltivatori, che, più che beneficiari dello sviluppo agricolo e della sicurezza alimentare, ne sono i veri protagonisti.
Presidente, com'è evidente, il dibattito sulla denutrizione e sulla fame non necessita di stime astratte e di un moltiplicarsi di parole, ma richiede un'azione reale da parte di tutte le parti coinvolte.

Grazie, Presidente.

 

    

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