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99ª SESSIONE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL LAVORO

INTERVENTO DI S.E. MONS. SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE
ED ISTITUZIONI SPECIALIZZATE

Ginevra
Giovedì
, 10 giugno 2010

 

Presidente,

Gli effetti della crisi economica e finanziaria hanno danneggiato globalmente il benessere di famiglie e individui. Nonostante i segnali di ripresa flebili, intermittenti e incerti, l'impatto di questa recessione ha arrestato i progressi nella riduzione della povertà, ha aumentato la disoccupazione nei Paesi industrializzati e tutte le famiglie hanno subito contraccolpi nei Paesi a basso reddito. Nel 2015, altri 20 milioni di persone nell'Africa subsahariana e 53 milioni in tutto il mondo si ritroveranno a vivere in povertà estrema (probabilmente la crisi avrà elevati costi come valutato da diversi indicatori di sviluppo umano: altri 1,2 milioni di bambini sotto i cinque anni e 265.000 neonati moriranno fra il 2009 e il 2015; altri 50.000 studenti non completeranno le scuole elementari nel 2015; 100 milioni di persone in meno avranno accesso all'acqua potabile nel 2015. Cfr. Banca Mondiale, Global Monitoring Report 2010; The MDGs after the Crisis). Sebbene esista un accordo generale sulla necessità di riforme strutturali, gli interessi investiti non devono gravare sui lavoratori, su chi vive in zone rurali, e su gruppi già emarginati nella società. Meccanismi economici privi di criteri etici non condurranno a soluzioni costruttive.

La crisi può aprire una nuova prospettiva sul ruolo dei mercati e dello Stato. La crisi alimentare del 2008 ha dimostrato che i Paesi che non hanno scorte alimentari di base non possono semplicemente contare sulle forze di mercato per garantire il cibo alla popolazione. Diversi Paesi esportatori hanno risposto con il protezionismo e con la speculazione derivante dalla percezione della scarsità. I Paesi fortemente dipendenti dalle importazioni di cibo hanno assistito a gravi proteste. Quindi un certo grado di autosufficienza e una regolazione migliore dei mercati dei beni sono divenuti una conclusione logica.

La crisi finanziaria del 2009 ha dimostrato che i mercati finanziari non si autoregolano. L'avidità ha impedito l'interruzione di un processo, i cui rischi sistemici erano stati previsti da molti. L'assicurazione e le misure finanziarie fornite dagli Stati e dalle Banche Centrali hanno salvato il sistema bancario e hanno evitato il crollo finanziario, ma non sono state in grado di impedire la crisi economica successiva, che è sfociata in un aumento significativo della disoccupazione e della precarietà e ha colpito le persone e i Paesi più vulnerabili. Un altro risultato è stata la quantità enorme di debito pubblico generato, in particolare dalle principali economie avanzate. Nei prossimi anni, nei Paesi industrializzati, il debito pubblico complessivo supererà il 100 per cento del Pil, sollevando, in tal modo, questioni relative alla sostenibilità. I governi, indeboliti dal livello del debito, si sentiranno obbligati dai mercati finanziari a ridurlo. Ne risentiranno i bilanci preventivi pubblici e la crescita economica: aumenteranno le tasse, diminuirà il potere d'acquisto e aumenterà la disoccupazione. La debole ripresa dell'economia corre il rischio di essere compromessa.

Si tratta di una condizione delicata per le maggiori economie avanzate, perché il processo di consolidamento fiscale ridurrà la crescita economica. L'esperienza recente mostra che il coefficiente di adeguamento è dato dal livello di occupazione, dal potere di acquisto delle persone e dalla loro capacità di nutrire, educare e accudire se stessi. La giustizia esige che la sofferenza delle persone non sia il coefficiente di adeguamento del sistema economico. Sebbene vada riconosciuto ai mercati aperti il merito della creazione di ricchezza, appaiono necessari un'ulteriore azione coordinata a livello internazionale nonché lo sviluppo di alcuni strumenti di governo comune. Dobbiamo tenere a mente che lavorare è più che guadagnare un salario. È uno strumento di autorealizzazione e il modo per perseguire un progetto di vita.

La Delegazione della Santa Sede sostiene pienamente l'obiettivo dell'ILO di dare priorità alle persone e al loro lavoro nella ricerca di politiche innovative e dinamiche, volte a rimuovere impedimenti strutturali per la ripresa dell'economia. L'attenzione verso i lavoratori domestici e il voto positivo espresso a favore di un nuovo strumento vincolante per la loro tutela esprimono la preferenza per i membri più vulnerabili della società. I lavoratori domestici sono doppiamente a rischio. In primo luogo, provengono da segmenti svantaggiati della società, con risorse di tutela molto limitate. L'estrema necessità li spinge ad accettare qualsiasi lavoro disponibile, anche se, nella maggior parte dei casi, le condizioni lavorative sono molto difficili. In secondo luogo, nell'ambiente in cui lavorano sono soggetti a sfruttamento. Donne e ragazze sono la maggioranza in questa categoria di lavoratori. Spesso non hanno tutela giuridica sociale, equa retribuzione, limiti nella quantità di ore lavorative, la garanzia di un tempo di riposo settimanale, tutele nei periodi di malattia e di maternità. Quando si verificano abusi, non c'è possibilità di fare appello e l'unica opzione è andarsene e quindi perdere il salario e il posto di lavoro. In molte occasioni, nella riservatezza delle pareti domestiche, la dignità di questi lavoratori viene violata. Violenze fisiche e sessuali non sono rare. Le identità religiose e razziali espongono questi lavoratori, in particolare le donne, a una forte discriminazione.

Se il lavoratore domestico è un immigrato, soprattutto se non ha la corretta documentazione e un contratto di lavoro, la sua vulnerabilità è maggiore.

Tuttavia dovremmo considerare che questo è uno dei pochi settori dell'economia in cui i lavoratori immigrati stanno affiancando e non sostituendo i lavoratori locali, perché i primi accettano lavori che i secondi non vogliono svolgere. In molti Paesi poveri, le giovani donne sono impegnate in lavori domestici e le loro famiglie considerano il loro servizio un contributo normale alla sopravvivenza della famiglia. D'altro canto, i lavoratori domestici svolgono un ruolo critico, in particolare nelle società occidentali, dove lo stile di vita e i cambiamenti demografici richiedono la loro presenza. Divengono una presenza importante nella famiglia perché gestiscono la casa, accudiscono gli anziani e i bambini e, in tal modo, permettono a madri e figlie di perseguire carriere e ruoli attivi nella società. Un altro contributo importante offerto dai lavoratori domestici è quello delle rimesse che inviano a casa e che sono di beneficio alle loro famiglie e allo sviluppo locale. L'opportunità e la necessità di una nuova norma vincolante, una Convenzione Internazionale per i Lavoratori Domestici, è innegabile: promuoverà una legislazione nazionale opportuna per la loro tutela, sosterrà i loro diritti di associazione, di negoziazione collettiva e di rappresentanza sindacale. Dovrebbe già essere avviata una campagna di educazione per rendere i lavoratori domestici nonché i datori di lavoro consapevoli dei reciproci doveri e diritti. Questo ampliamento dell'orizzonte del mondo del lavoro offre una sfida e nuove possibilità come afferma Papa Benedetto XVI nell'Enciclica sociale Caritas in veritate: "Le organizzazioni sindacali dei lavoratori,da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa... Superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria, le organizzazioni sindacali sono chiamate a farsi carico dei nuovi problemi delle nostre società... il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. La difesa di questi lavoratori...permetterà alle organizzazioni sindacali di porre in evidenza le autentiche ragioni etiche e culturali che hanno loro consentito, in contesti sociali e lavorativi diversi, di essere un fattore decisivo per lo sviluppo" (n. 64).

Come parte di questo ampliamento degli orizzonti nella lotta per la realizzazione globale del lavoro decoroso, si dovrebbe prestare attenzione ad altre categorie di lavoratori che hanno bisogno di tutela: le masse di lavoratori ancora disorganizzati, lavoratori rurali e giovani disoccupati. I diritti dei lavoratori non organizzati vengono troppo spesso ignorati, e, di conseguenza, la loro sicurezza sul posto di lavoro, la loro tutela dal licenziamento ingiusto e il loro diritto ad almeno il minimo salariale non vengono rispettati. I lavoratori rurali, in particolare, vengono trascurati.

Non sempre pronti a confrontarsi con le forze di mercato a causa della mancanza di formazione o di informazione, dovuta alla crisi attuale, rischiano di venire privati del sostegno pubblico per il commercio o per la formazione di abilità tecniche. Queste sono misure urgenti per rispondere alle politiche di adeguamento che si sono dimostrate controproducenti.

Quindi, alcune di queste politiche andrebbero riviste e bisognerebbe permettere un aumento dell'apertura delle frontiere per gruppi omogenei di Paesi, in modo che possano migliorare la propria produttività e la propria capacità di trarre profitto dal mercato. In 92 Paesi, l'agricoltura costituisce più del 75 per cento del PIL. Tra 2 e 2,5 miliardi di persone traggono il proprio reddito dall'agricoltura. Questo settore dell'economia è una fonte di lavoro, di cibo, di reti sociali, di emancipazione delle donne e di tutela (o degrado) dell'ambiente. Sostenendo in modo creativo il lavoro di questo settore, la malnutrizione e la povertà si possono ridurre e infine eliminare.

Questi lavoratori possono essere integrati nell'economia globale.
Infine, il lavoro minorile e giovanile esige una risposta concertata. Più di 215 milioni di bambini sono costretti a lavorare, molti in condizioni di pericolo. Il numero di giovani disoccupati è aumentato di 8,5 milioni fra il 2008 e il 2009: si tratta dell'aumento annuo maggiore degli ultimi dieci anni e di oltre 10 milioni dal 2007. La frustrazione e le capacità sprecate possono avere conseguenze sociali disastrose per il futuro.
Signor Presidente,

La crisi economica può divenire una opportunità. La complessità della situazione rende difficile operare scelte appropriate. Se, però, la ripresa sarà tanto inclusiva da considerare tutti i lavoratori, rinnoverà il dialogo tripartito, che è al centro della missione dell'Oil, e accorderà priorità alle persone e alle loro capacità, allora verrà fatto un passo avanti nella ricerca della giustizia da parte della comunità internazionale. In questo approccio, A Global Jobs Pact ridurrà, di fatto, il ritardo fra una ripresa economica e una ripresa con opportunità di lavoro decoroso. Se a questi sforzi si aggiungerà una riduzione delle spese militari, invece di un aumento del 6 per cento di queste spese come è accaduto nel 2009, molte risorse potranno essere incanalate verso la ripresa di lavori veramente decorosi. Uomini e donne, lavoratori, datori di lavoro e imprenditori, sono le risorse migliori a disposizione; la loro intelligenza, creatività ed energia potranno sviluppare nuovi lavori e sostenere l'innovazione se la loro libertà non sarà scissa dalla responsabilità di prevenire l'emergere della speculazione finanziaria a spese dell' economia reale e di una avidità distruttiva di risparmi e di posti di lavoro.

In conclusione, sono necessarie buone decisioni per raggiungere una fase post-crisi della globalizzazione dell'economia e del lavoro. Tuttavia, solo una "interazione etica di coscienze e di menti" (ibidem n. 9) permetterà uno sviluppo integrale in cui la persona umana sia al centro delle relazioni di lavoro, fiduciosa di procedere verso un futuro migliore.  

 

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