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XX SESSIONE DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI
(PUNTO 3, RAPPORTO DEL RELATORE SPECIALE
SUI DIRITTI UMANI DEI MIGRANTI)

INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE ED ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA

Venerdì, 22 giugno 2012

   

Signora Presidente,

la migrazione è la risposta naturale ai disordini interni, alla paura di persecuzioni o violenze, e alle scarse opportunità economiche. Queste ragioni conducono, tra le altre cose, alla migrazione di milioni di persone ogni anno. Lo spostamento di individui dalle proprie case, che sia all’interno del Paese di origine o verso un Paese straniero, pone una sfida significativa alla comunità internazionale per la protezione dei diritti umani. La migrazione è diventata una realtà strutturale parte integrante del mercato del lavoro globale, un risultato, in parte, della spinta delle influenze globalizzatrici. Le risposte degli Stati nei confronti di questi alti livelli di migrazione devono prevedere la difesa dei diritti umani di base.

Signora Presidente,

la Delegazione della Santa Sede prende nota del documento del Relatore speciale sui diritti umani dei migranti e della sua enfasi particolare sulle pratiche detentive. È evidente che la detenzione di migranti è un triste aspetto dell’esperienza migrante e che è necessario sviluppare norme internazionali che rispettino l’individualità della persona per salvaguardare i migranti dagli abusi. Purtroppo in molti luoghi i migranti irregolari sono trattati come criminali e la punizione che ne risulta è punitiva e molto spesso arbitraria.

La prima preoccupazione relativa alla detenzione è che la migrazione irregolare non dovrebbe essere trattata come un atto criminale. Il migrante deve avere il potere di agire in modo appropriato all’interno della necessaria cornice legale per garantirsi la propria sicurezza nel futuro. In secondo luogo, la detenzione non agisce da deterrente nella migrazione. La realtà ineludibile è che i migranti continueranno ad attraversare le frontiere e a cercare rifugio negli Stati vicini anche se le condizioni negli Stati ospiti possono essere fonte di gravi difficoltà. Spesso, i migranti rischiano queste conseguenze perché il prezzo da pagare nel rimanere nel Paese di origine è molto più grande della punizione che li aspetterebbe nel Paese che li accoglie. Inoltre, la detenzione dei migranti sotto qualsiasi forma, e specialmente la detenzione indefinita, costituisce una violazione del diritto umano fondamentale alla libertà, non trova sostegno nella legislazione internazionale e non dovrebbe essere sostenuta da norme internazionali.

La detenzione è certamente una componente preoccupante della più grande storia dei diritti e delle libertà dei migranti. Gran parte delle religioni del mondo incoraggia una pratica di ospitalità, di compassione e di cura verso i più deboli di noi. I migranti, a causa delle condizioni socioeconomiche e delle avversità cui vanno incontro nella loro presenza in un ambiente straniero, spesso rientrano appunto nella categoria dei più deboli. Respingere e voltare le spalle allo straniero in difficoltà, specialmente quando questo atteggiamento è motivato da stereotipi razziali, è chiaramente contrario alle idee universaliste fondamentali del credo cristiano. Questa richiesta unica di benvenuto e di solidarietà richiede l’attenta considerazione per i migranti e per la loro protezione.

Signora Presidente,

la Santa Sede sostiene un approccio incentrato sulla persona nei confronti delle politiche di migrazione. Per rispondere in pieno ai bisogni dei migranti e assicurare che i loro diritti umani siano protetti, l’individuo deve essere al centro delle politiche e della prassi. Leggi e pratiche discriminatorie basate su razza, etnia, sesso e religione sono un banco di prova nel trattamento dei migranti da parte di uno Stato. La discriminazione rafforza una cultura basata sulla paura della detenzione e sulla paura di scoprire situazioni irregolari, il che a sua volta produce una limitazione delle libertà personali e dei diritti dei migranti, quali quelli relativi ai servizi sanitari, all’istruzione, agli alloggi, agli spostamenti e a volte perfino del diritto di prendere parte in pubblico e come comunità agli atti di espressione religiosa.

Inoltre, le pratiche detentive hanno effetti negativi sulle famiglie, che sono le cellule vitali della società. La famiglia è il fondamento sul quale possono sorgere stabili situazioni sociali, culturali ed economiche e ha un ruolo centrale nel fondare società che siano di servizio al bene dell’uomo e mettano in pratica la responsabilità sociale («La famiglia, cellula vitale della società», Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2004, 97).

Come politica alternativa, la sussidiarietà nella forma della famiglia fornisce una struttura ai migranti per integrarsi nel Paese ospite, nello stesso tempo diversificandolo, e dà loro la possibilità di configurarsi come membri contribuenti e positivi della società. Lo Stato, sebbene ben equipaggiato per molti progetti, elimina la possibilità di vera partecipazione nella società attraverso politiche che costringono i migranti a lasciare le famiglie nei propri Paesi nativi o a separarli dai coniugi o dai figli al loro arrivo. Le politiche etiche di migrazione devono preservare la famiglia non soltanto per assicurare i diritti umani dei migranti ma anche a beneficio dello Stato.

Signora Presidente,

tutte le persone, compresi specialmente i migranti, devono vivere in ambienti che non siano discriminatori e che valorizzino i contributi culturali, sociali ed economici di tutte le persone. Inoltre, è essenziale che i migranti, a causa della loro innata dignità umana come persone, godano pienamente di tutti i loro diritti e libertà umani. Gli Stati non devono degradare la dignità della persona attraverso la politica, la pratica o gli atteggiamenti, che questo avvenga attraverso la criminalizzazione della migrazione, la detenzione di migranti irregolari o attraverso altre pratiche che dividono le famiglie o vittimizzano i migranti di cui spessissimo questi stessi Stati hanno bisogno.

Signora Presidente,

per concludere, la Delegazione della Santa Sede ricorda il ruolo importante delle religioni nel promuovere i diritti dei migranti come aspetto fondamentale del loro senso di compassione e solidarietà, che rendono la migrazione un’esperienza benefica per gli stessi migranti e per le società di origine e di destinazione. Papa Giovanni Paolo II ha saggiamente osservato che l’atteggiamento morale e sociale dell’interdipendenza è la solidarietà. Esso «non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 38).

      

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