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XXVI SESSIONE ORDINARIA DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI DELL'UOMO

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE
E ISTITUZIONI INTERNAZIONALI A GINEVRA*

Ginevra
Mercoledì, 11 giugno 2014

Imprese transnazionali e promozione dei diritti umani

 

Signor Presidente,

La Delegazione della Santa Sede accoglie con favore il documento redatto dal gruppo di lavoro durante l’elaborazione dei Principi guida sulle imprese e i diritti umani “proteggere, rispettare e rimediare. Mentre l’approvazione unanime dei Principi guida da parte del Consiglio per i Diritti dell’Uomo ha indicato un forte impegno politico globale, sono stati necessari sforzi mirati per diffonderli in maniera efficace tra tutte le parti interessate nel mondo.

Dal 2011 il gruppo di lavoro sostiene gli sforzi per la loro diffusione e applicazione avvicinando nuovi pubblichi, moltiplicatori e catalizzatori. Ha anche contribuito a fornire uno spazio per un dialogo costruttivo sul progresso e le sfide dell’attuazione dei Principi guida, a livello sia internazionale sia regionale; alla costruzione di un regime imprenditoriale e di diritti umani più forte, anche attraverso lo sviluppo di piani d’azione nazionali per le imprese e i diritti umani; e al miglioramento della comprensione della nozione di rimedio efficace agli impatti negativi sui diritti umani legati alle attività imprenditoriali.

Malgrado i grandi sforzi compiuti per attuare i Principi guida, continuano a esservi alcune sfide fondamentali, tra cui una maggiore diffusione degli stessi, il raggiungimento della loro applicazione su vasta scala, la costruzione di fiducia tra le parti interessate e il superamento delle barriere ai rimedi efficaci. Le difficoltà sono tante, a livello sia dell’applicazione organizzativa e delle implicazioni legali, sia della comprensione del significato e dei benefici dei principi stessi. Ma l’affermazione centrale ora sembra aver ottenuto un vasto consenso: le imprese devono riconoscere i diritti umani come quadro vincolante delle loro attività. Pertanto, la Delegazione della Santa Sede è lieta dell’opportunità di compiere un ulteriore passo, che va ad aggiungersi agli sforzi del gruppo di lavoro per promuovere i Principi guida.

L’abilità delle società internazionali di sfuggire parzialmente alla territorialità e di ricavarsi un’esistenza “in mezzo” alla legislazione nazionale è giustamente una delle preoccupazioni della comunità internazionale. La loro mobilità in termini di paese di incorporazione, gestione, produzione e flussi finanziari consente loro di manovrare le legislazioni nazionali, approfittare dell’arbitrato normativo e scegliere le giurisdizioni che offrono il guadagno migliore in termini di profitto. Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, e altri leader religiosi della comunità internazionale hanno ripetutamente sottolineato che il profitto non può essere l’unica logica dell’attività imprenditoriale. Le società transnazionali fanno parte della famiglia umana e, pertanto, la loro attività deve rispettare lo standard dei diritti umani (cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 56 e 204; Arcivescovo Justin Welby, Good Banks: Transcript of Archbishop Justin Welby’s speech on 12th June 2013, (terza della serie), The City and the Common Good: What kind of City do we want?, St Paul’s Institute. London).

Un altro aspetto che preoccupa la comunità internazionale è la complessità inerente delle società transnazionali per quanto riguarda i loro modelli operativi (modus operandi), che rende difficile monitorarle e supervisionarle. La conseguente assenza di una solida e puntuale trasparenza rende molto difficile valutare la conformità alle norme e alle legislazioni. Le violazioni dei diritti umani troppo spesso avvengono per la totale disattenzione verso conseguenze che avrebbero potuto essere prevedibili se qualcuno si fosse preoccupato di rifletterci. Questa sorta di negligenza non è casuale, ma sistematica. È il risultato razionale dell’esclusione sistemica di chi è vulnerabile nella logica delle attività economiche. Papa Francesco descrive così questa realtà: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (Evangelii gaudium, n. 53).

La morte di oltre millecento operai innocenti nel crollo della fabbrica di abbigliamento di Rana Plaza in Bangladesh lo scorso anno è stata vergognosa, ma purtroppo non era che la punta di un iceberg. La violazione dei diritti umani nel posto di lavoro è un’esperienza di vita quotidiana per decine di migliaia di persone nel mondo, specialmente in giurisdizioni in cui vige un’applicazione lassista delle leggi e delle norme. In questo senso, la mia Delegazione condivide la conclusione della Relazione circa la priorità di «rivedere l’accesso ai rimedi per le vittime di impatti negativi sui diritti umani, derivanti da attività imprenditoriali, comprese le barriere legali e pratiche per accedere ai tribunali, e la disponibilità e l’efficacia di meccanismi statali non giudiziari».

Un’altra importante sfida a un ordine internazionale guidato dagli Stati e all’applicazione dei Principi guida è l’emergere di società transnazionali come attori globali con molteplici centri operativi. Le dimensioni delle loro operazioni, il numero dei lavoratori, i flussi finanziari permettono loro non solo di essere «semplicemente un altro attore nel mercato», ma anche di plasmare in modo significativo leggi e norme, mercati e società a proprio vantaggio e per i propri fini. Il fatto che le imprese svolgano un ruolo sociale attraverso la «licenza sociale a operare» che le società concedono loro per mezzo delle agenzie governative non è una novità, ma una dimensione purtroppo dimenticata dei programmi di studio delle scuole d’economia moderne. Sia la Chiesa sia la comunità internazionale affermano che, al di là del legittimo profitto, le imprese economiche devono operare per il bene comune. Perché la globalizzazione sia conforme all’umanità, queste società devono rispettare lo standard dei diritti umani e assumersi la loro parte di responsabilità verso il bene comune (cfr. ibid. n. 203 e 205).

Signor Presidente,

La Delegazione della Santa Sede è consapevole che non esistono soluzioni facili per rispondere alle sfide multiformi e complesse degli affari e dei diritti umani, o per proporre un rimedio efficace e l’obbligo di responsabilità che le vittime stanno legittimamente chiedendo con urgenza. Affrontare tali sfide e gestire in modo efficace i rischi per i diritti umani collegati agli affari esige un’attenzione costante e una «mescolanza intelligente» di approcci normativi e politici e di incentivi. L’impegno costruttivo e gradito di tutte le parti interessate nelle questioni economiche e commerciali internazionali aiuterà a raggiungere uno sviluppo integrale e una solidarietà radicata in una visione del futuro che garantisca un’equa distribuzione delle risorse e risponda all’interdipendenza dei popoli (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 373, Roma, 2004).

Il Commento al Principio Fondazionale 11 afferma l’universalità dei diritti umani e quindi la responsabilità delle società che operano a livello transnazionale: «La responsabilità di rispettare i diritti umani è uno standard globale di condotta attesa da tutte le imprese economiche, ovunque esse operino. Esiste indipendentemente dalla capacità e/o volontà degli Stati di adempiere ai propri obblighi relativi ai diritti umani e non riduce tali obblighi. Ed esiste al di sopra e al di là della conformità alle leggi e le norme nazionali che tutelano i diritti umani» (cfr. UN Office Of The High Commissioner for Human Rights, Guiding Principles on Business and Human Rights – Implementing the Human Nations “Protect, Respect and Remedy” Framework, United Nations Publishing Service, Ginevra, 2012, p.13. HR/PUB/11/4). Sottolineando che la responsabilità deriva direttamente dai diritti umani, i Principi guida evidenziano che la natura obbligatoria di tale responsabilità in fondo è di tipo morale, e inoltre esprimono una delle principali difficoltà nell’applicazione delle linee guida: come possiamo convincere le società internazionali a rispondere volontariamente a tale responsabilità se nessun vincolo legale nazionale impone loro di farlo?

Uno strumento vincolante innalzerebbe gli standard morali e cambierebbe il modo in cui le società internazionali intendono il loro ruolo e le loro attività. A tale riguardo è stato proposto che la sinergia tra le società del settore pubblico e quello privato potrebbe costituire un’altra forma emergente di impresa economica che si preoccupa del bene comune senza rinunciare ai profitti («Considerando le tematiche relative al rapporto tra impresa ed etica, nonché l’evoluzione che il sistema produttivo sta compiendo, sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese [...]. Non si tratta solo di un “terzo settore”, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali. Il fatto che queste imprese distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano l’una o l’altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società [...]. Esse, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici» (Caritas in veritate, n. 46).

Signor Presidente,

I Principi guida sono uno strumento importante per creare un quadro per l’attività delle società transnazionali. La responsabilità di rispettare i diritti umani deriva dal riconoscimento del fatto che le imprese hanno una funzione sociale che non può essere ridotta alla mera produzione e distribuzione di beni e servizi. Come attori importanti in un mondo globalizzato, esse hanno la responsabilità di osservare e di promuovere i diritti umani negli ambiti della loro attività. Mentre i Principi guida possono migliorare l’integrazione della priorità della persona umana e dell’ambiente nelle attività economiche internazionali, solo uno strumento vincolante sarà più efficace per portare avanti tale obiettivo.


*L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n. 136, Mart. 17/06/2014.