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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL SECONDO COMITATO DELLA 69ª SESSIONE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO BERNARDITO AUZA,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO LE NAZIONI UNITE

New York
Mercoledì, 8 ottobre 2014

  

Signor Presidente,

Poiché è la prima volta in questa sessione che la mia Delegazione interviene dinanzi al Secondo Comitato, mi permetta di congratularmi con lei e con gli altri membri della presidenza per la vostra elezione. La mia Delegazione vi fa i migliori auguri!

La Santa Sede ritiene che i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile permetteranno di produrre un’Agenda di sviluppo post 2015 trasformativa e di favorirne l’attuazione.

La Santa Sede nota con soddisfazione che sono stati compiuti progressi significativi nel ridurre la povertà, la mortalità infantile e quella materna nel mondo. Tuttavia, è anche consapevole che c’è ancora molto da fare e che è possibile farlo solo se lavoriamo tutti insieme. Come ha affermato Papa Francesco nel discorso tenuto nel maggio 2014 al Segretario Generale delle Nazioni Unite e ai Capi esecutivi per il coordinamento delle Nazioni Unite, i futuri obiettivi dello sviluppo sostenibile devono essere formulati «con generosità e coraggio, affinché arrivino effettivamente a incidere sulle cause strutturali della povertà e della fame».

Signor Presidente,

Non c’è obiettivo di sviluppo più importante per la Santa Sede dello sradicamento della povertà estrema. Questo imperativo morale è sempre stato alla base dell’impegno sociale della Chiesa cattolica. Pertanto, la Santa Sede osserva con preoccupazione che, per quanto siano incoraggianti i recenti progressi nel ridurre la povertà globale, la povertà estrema continua a essere ancora molto diffusa in tante regioni del mondo in via di sviluppo. Oltre un miliardo di persone, ovvero il 15 per cento della popolazione mondiale, continua a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno. Per combattere le cause strutturali della povertà estrema, ogni linea e attività economica e politica deve essere volta a fornire a tutte le persone il minimo indispensabile per vivere dignitosamente e libere dal bisogno. Senza questa visione, le linee e le attività economiche e politiche sarebbero egoistiche e meramente volte al profitto e non contribuirebbero ad attaccare le cause strutturali della povertà estrema.

Nel quadro dello sviluppo post-2015, la Santa Sede desidera sottolineare l’importanza degli obiettivi di sviluppo sostenibile riguardanti le pressanti questioni del cambiamento climatico, della crescente disuguaglianza, dell’impiego produttivo per tutti e della promozione di società pacifiche. Tali realtà devono essere parte di qualsiasi quadro di sviluppo sostenibile, soprattutto perché tendono a colpire in maniera più forte le persone che vivono nella povertà estrema. Sono importanti anche nel contesto etico, poiché evidenziano gli obblighi globali dei Paesi sviluppati nei confronti di quelli meno sviluppati.

Le sfide collegate al cambiamento climatico dovrebbero incidere sulla futura politica di sviluppo in misura maggiore rispetto a quanto hanno fatto finora. Il mondo è diventato un villaggio, un quartiere. Le decisioni e i comportamenti dell’uno hanno profonde conseguenze per tutti gli altri. Pertanto, se vogliamo avere successo è essenziale una risposta collettiva a questo fenomeno, un’azione globale basata su una cultura di solidarietà e sulla decisione consapevole, individuale e comunitaria, di modificare stili di vita e pratiche che causano l’aggravarsi delle condizioni del nostro pianeta. La Chiesa cattolica, attraverso la sua vasta rete di scuole e istituzioni sociali in tutto il mondo, è impegnata a promuovere l’educazione alla responsabilità ambientale e a combattere sia il bisogno estremo, sia la cultura dello scarto nelle società opulente. Inoltre, non dobbiamo dare la colpa alla gente povera e ai Paesi che tagliano gli alberi per poter sopravvivere e che sono più vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico, causato principalmente dagli alti consumi e dalle elevate emissioni di carbonio negli altri Paesi. Bisogna invece aiutarli a superare o a mitigare tali effetti.

La crescente disuguaglianza indica che certi modelli economici e politiche non operano a favore della promozione di uno sviluppo equo. Di fatto, alcuni dati mostrano che la ricchezza delle 67 persone più benestanti al mondo è pari a quella di 156 milioni di persone più povere. Pur riconoscendo che sono tanti i motivi della disuguaglianza dei redditi, non possiamo essere indifferenti alle cause strutturali di questo divario tra ricchi e poveri, che cresce in maniera esponenziale, se vogliamo sconfiggere la povertà estrema e realizzare uno sviluppo sostenibile. Questo squilibrio deriva in non poca misura da politiche e da pratiche che sostengono l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria, negando alle autorità statali il diritto — ossia il dovere — di regolamentare le forze cieche del mercato che, lasciate sole, non farebbero altro che accrescere lo sviluppo impari e operare contro il bene comune. Un modello di sviluppo che non consente di condividere la prosperità in modo equo, a lungo andare non sarà sostenibile.

Dobbiamo inoltre affrontare con vigore la sfida di trovare un impiego produttivo per tutti quale elemento integrale dello sviluppo sostenibile. La Santa Sede ha sempre evidenziato la particolare dignità che un lavoro retribuito può dare. Oggi non occorre che ci vengano ricordate le conseguenze degli alti tassi di disoccupazione nel mondo in via di sviluppo e il suo impatto sulla migrazione internazionale. Anche nei Paesi sviluppati dobbiamo aumentare gli sforzi per integrare le famiglie immigrate nelle nostre società, al fine di evitare le conseguenze dell’alienazione sociale e della radicalizzazione.

Infine, Signor Presidente, i maggiori ostacoli al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio si sono presentati in modo molto allarmante nei Paesi devastati dai conflitti. La mia Delegazione è convinta che, a meno che in quei Paesi o in quelle regioni non vengano ripristinate la pace e la riconciliazione, gli obiettivi di sviluppo sostenibile post 2015 non verranno mai raggiunti. Come aveva già affermato Papa Paolo VI nel lontano 1967, il nuovo nome dello sviluppo è pace. La guerra distrugge; la pace costruisce. Con la guerra tutto si perde; con la pace tutto si guadagna.

Per concludere, Signor Presidente, mi permetta di ribadire l’assicurazione della Santa Sede che lo sviluppo dei popoli è al centro delle sue preoccupazioni, in particolare lo sviluppo di coloro che stanno cercando di fuggire dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall’ignoranza; di coloro che stanno lavorando per una partecipazione più equa ai benefici della civiltà e dello sviluppo. La mia Delegazione attende con piacere di poter lavorare strettamente con lei e con tutti per favorire l’attuazione di un’Agenda di sviluppo post 2015 trasformativa.

Grazie, Signor Presidente.