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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'INTERPOL
[Principato di Monaco, 3-7 novembre 2014]

INTERVENTO DI SUA ECCELLENZA Mons. DOMINIQUE MAMBERTI,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,
SUL TEMA: MINACCE CRIMINALI CONTEMPORANEE E
NUOVE SFIDE ALLA COOPERAZIONE DI POLIZIA INTERNAZIONALE

Principato di Monaco
Martedì, 4 novembre 2014

    

Signor Presidente,
Signor Segretario Generale,
Eccellenze, Signore e Signori,

Nel porgere il mio saluto personale, ho l’onore di trasmettere i saluti e gli auguri di Sua Santità Papa Francesco a questa alta assemblea, riunita a Monaco per l’occasione, particolarmente significativa, della celebrazione del centenario del primo congresso internazionale di polizia giudiziaria, che si svolse qui, nel Principato, costituendo così la premessa di quello che in seguito divenne l’Interpol. Oggi, possiamo valutare con gratitudine tutto ciò che è stato fatto in questi cento anni per garantire, grazie alla collaborazione internazionale delle forze di polizia, maggiore sicurezza alla comunità umana ovunque nel mondo.

La Santa Sede apprezza le iniziative, gli sforzi e i progetti dell’Interpol volti a migliorare le condizioni di vita e di sicurezza dei membri della famiglia umana. La sicurezza è stata e continua a essere una delle sfide più importanti della nostra epoca. Perciò il Vaticano, nel 2008, ha voluto unirsi a questa Organizzazione per apportare il proprio contributo alla promozione e al rafforzamento dello Stato di diritto, a livello sia locale che mondiale, al fine di consolidare la fiducia tra i popoli e di ravvivare le speranze di pace nel mondo.

Papa Francesco, fin dai primi giorni del suo Pontificato, ha voluto aprire a tutte le persone di buona volontà un nuovo orizzonte di speranza, fondato sulla cultura dell’incontro, principio e misura dei rapporti sociali, sia dei rapporti interpersonali sia delle relazioni internazionali. Questa cultura si caratterizza per il riconoscimento, concreto ed esigente, del valore dell’altro, sia esso un individuo, un gruppo sociale o uno Stato, ed ha il suo fondamento ultimo nel riconoscimento della dignità e della trascendenza dell’uomo. Auspico che questa 83ª sessione dell’Assemblea Generale dell’Interpol sia ispirata dallo stesso spirito d’incontro tra le diverse società che rappresentiamo e di solidarietà universale.

Nel corso degli ultimi decenni, la criminalità transnazionale e organizzata si è notevolmente trasformata, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista della violenza delle sue manifestazioni, mettendo così in grave pericolo il progresso dell’umanità. Questa evoluzione è stata indubbiamente favorita dall’uso perverso degli strumenti che la globalizzazione e il progresso tecnologico mettono oggi a disposizione di tutti, facilitando gli scambi, i trasferimenti di fondi e gli spostamenti delle persone. Di conseguenza, le caratteristiche dell’azione criminale sono anch’esse cambiate, rendendola a volte più grave per l’aggressività e la crudeltà dei fatti. Per fare un solo esempio, gli atti compiuti in questi ultimi mesi con una ferocia spietata dai terroristi dell’Isis sono ancora più esecrabili in quanto sono stati filmati e resi pubblici dagli autori stessi di quei misfatti.

Fonte di grande preoccupazione è soprattutto la pianificazione delle attività criminali a livello planetario, con sistemi di coordinamento che superano le frontiere degli Stati. Questo pericolo è reso ancora più grave dall’uso di mezzi tecnici sempre più sofisticati, di ingenti risorse finanziarie, con a volte oscure complicità politiche che concorrono a fornire un appoggio deleterio a forme organizzate di un’estrema violenza (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 513). Inoltre, diversi gruppi criminali svolgono attività delittuose su vasta scala in ambito finanziario, traendo vantaggio dalle lacune del regolamento e del controllo del cyberspazio.

Che dire poi della drammatica piaga del traffico di esseri umani, forma moderna della schiavitù? Questo crimine odioso deve essere contrastato con determinazione, in particolare con la messa in atto degli strumenti necessari, poiché è inaccettabile che più di ventisette milioni di persone, secondo stime recenti, siano oggi ridotte in schiavitù, sotto diverse forme.

La Santa Sede cerca di offrire il suo contributo migliore alla formazione delle coscienze individuali e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica a favore dei diritti e della dignità della persona umana. Ovviamente il percorso da compiere è lungo; vorrei sottolineare qui che è di fondamentale importanza partire da una presa di coscienza collettiva della vastità e della malvagità del fenomeno della tratta, al fine di agire risolutamente e su tutti i fronti perché le vittime siano liberate e riabilitate e i responsabili e i loro complici vengano giudicati con un giusto rigore. Rivolgendosi a un gruppo di Ambasciatori, in occasione della presentazione delle loro lettere credenziali, Papa Francesco ha ricordato con forza che «la persona umana non si dovrebbe mai vendere e comprare come una merce. Chi la usa e la sfrutta, anche indirettamente, si rende complice di questa sopraffazione» (12 dicembre 2013).

Oggi, lo sviluppo delle istituzioni democratiche ha permesso di affinare le tecniche di tutela della libertà degli individui e anche le modalità di un uso equilibrato e ragionevole della forza pubblica. Ciononostante, sussiste ancora un certo grado di vulnerabilità di fronte alla criminalità più violenta, che erode il tessuto sociale e morale sul quale le istituzioni dello Stato moderno sono fondate. La difesa e la promozione di questa trama di valori costituiscono la prima e più importante azione di prevenzione della criminalità. Per riuscirci, è bene che ogni Stato s’interroghi sulle cause di alcuni comportamenti criminali e indaghi sulle loro origini lontane.

La complessità del fenomeno esige di affrontare gli interrogativi che riguardano la forza dello Stato di diritto, persino nelle situazioni più complesse della vita degli Stati, come quelle create dalla criminalità più estrema: come rispettare i principi fondamentali del diritto nelle situazioni di massima tensione? Che ruolo attribuire al diritto nella necessaria lotta contro la criminalità più violenta e imprevedibile? Come conciliare esigenze di sicurezza e garanzia delle libertà?

La storia dell’umanità ha sempre presentato situazioni paradossali o contraddittorie, provocando frustrazioni e sentimenti d’ingiustizia. Nel contesto attuale d’interdipendenza generalizzata, il contrasto tra la ricchezza e la povertà più degradante diviene ancora più inaccettabile. Lo sviluppo asimmetrico negli ambiti tecnico ed economico ha contribuito ad accrescere il divario tra quanti dispongono dell’educazione e dei mezzi necessari per progredire e quanti, invece, ne sono privi. Inoltre, il moltiplicarsi dei vincoli giuridici ed economici tra le nazioni ha provocato un effetto acceleratore nella trasmissione della crisi economica e finanziaria, che si è propagata con la rapidità di un fuoco di boscaglia, colpendo soprattutto i più svantaggiati. In questo contesto, il ricorso alla criminalità, al terrorismo e alla guerra intrapresa per motivi ideologici, etnici o culturali, ad alcuni sono sembrati il mezzo più facile, se non l’unico alla loro portata, per uscire dalla povertà e diventare protagonisti del villaggio globale. A ciò si aggiungono la facilità dell’uso delle nuove comunicazioni per fini illeciti e criminali e un accesso troppo facile alle tecnologie della guerra.

Sembra dunque evidente che la lotta contro ogni forma di criminalità, soprattutto quella che si manifesta con la più grande brutalità, implica il dovere morale di fare tutto il possibile per creare condizioni avverse al suo avvio e al suo sviluppo. Quanti operano nelle istituzioni di sicurezza pubblica, come le forze di polizia che voi rappresentate, sono consapevoli del fatto che il primo freno alla criminalità dipende dai cittadini di ogni paese; la loro fiducia e il loro sostegno alle forze dell’ordine costituiscono un fondamento essenziale della sicurezza collettiva. A ciò vanno aggiunte azioni efficaci di solidarietà sociale al fine di ridurre i fattori che generano il crimine organizzato e le sue infiltrazioni nel sistema sociale.

Più a monte, occorre recuperare la convinzione — indebolita, soprattutto, dal formalismo giuridico — che la sostanza del diritto positivo (la lex) deve coincidere con la giustizia sostanziale (lo jus). In questa ricerca, sempre difficile ma necessaria, di ciò che è veramente giusto perseguire, promuovere e difendere nei diversi settori dell’organizzazione dei rapporti sociali, una luce preziosa ci viene data dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che invita a riconoscere l’esistenza di una natura umana, anteriore e superiore a tutte le teorie e le costruzioni sociali, che l’individuo e le società sono tenuti a rispettare, senza poterla manipolare a proprio piacimento. Il valore trascendente della dignità umana, radicato nella natura stessa dell’uomo e riconoscibile dalla retta ragione, offre allo Stato di diritto un fondamento stabile e sicuro, poiché corrisponde alla verità dell’uomo, così come è stato creato da Dio, e orienta lo Stato verso il suo vero fine, che è la promozione del bene comune e delle persone. A tale riguardo, vorrei ricordare un concetto che sta particolarmente a cuore alla Santa Sede: il pieno rispetto dei diritti umani esige di conservare sempre la convinzione che il criminale, per quanto gravi possano essere i delitti che ha commesso, è sempre una persona umana, dotata di diritti e di doveri. Ne consegue che lo Stato ha il dovere di prevenire e di reprimere gli atti criminali e di porre rimedio ai disordini causati dalle azioni delittuose; ma, nel farlo, deve anche garantire scrupolosamente i diritti fondamentali di cui gode ogni persona. Pertanto, per essere legittima, ogni restrizione alla libertà individuale, pur avendo come fine la prevenzione o la repressione di un’attività criminale, non dovrà mai attentare alla dignità della persona o compromettere ingiustamente l’esercizio effettivo dei diritti fondamentali. La finalità della pena deve essere la riabilitazione del colpevole affinché possa, per quanto possibile, reinserirsi nel tessuto sociale.

La tentazione di affrontare situazioni nuove con sistemi e soluzioni vecchi deve essere respinta. Dobbiamo imparare a ridefinire le priorità in base alle quali mobilitare le risorse per lo sviluppo morale, culturale ed economico, poiché lo sviluppo, la solidarietà e la giustizia non sono nient’altro che il vero nome della pace, una pace duratura nel tempo e nello spazio. Solo operando in questo modo i governi, le forze di polizia e le autorità giudiziarie riusciranno a suscitare e ad alimentare la fiducia e il rispetto dei cittadini, ravvivando al contempo ciò che sta alla base dello Stato di diritto e rendendo sempre più efficace la lotta contro la criminalità.

La Santa Sede è lieta di offrire il suo contributo al rafforzamento della cooperazione nel quadro delle recenti attività normative che riguardano diversi settori specifici. Sono lieto di segnalare in questo luogo prestigioso l’eccellente lavoro svolto dal Corpo della Gendarmeria vaticana, non solo nella sua delicata missione di proteggere il Santo Padre e la Sede Apostolica, ma anche nel suo costante impegno — che è pure di carattere internazionale — nello svolgere i delicati compiti di polizia giudiziaria a esso affidati.

Concludendo, vorrei mettere in evidenza che, unendosi agli sforzi che la comunità internazionale compie dinanzi alle diverse forme di criminalità, vecchie e nuove, di fronte soprattutto alla cyber-criminalità, alla contraffazione, al finanziamento del terrorismo, al bioterrorismo, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, al traffico di esseri umani, la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano si sono recentemente dotati di strumenti normativi efficaci destinati, da una parte, a lottare contro queste diverse forme di delinquenza e, dall’altra, a favorire il rafforzamento della collaborazione internazionale che, in questo ambito, è oggi più che mai essenziale.

Grazie, Signor Presidente!