< Intervento della Santa Sede al 21° Consiglio ministeriale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) (Basilea, 4 dicembre 2014)

Index

  Back Top Print

INTERVENTO DELLA SANTA SEDE AL 21° CONSIGLIO MINISTERIALE
DELL'ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA (OSCE)

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO DOMINIQUE MAMBERTI,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI

Basilea
Giovedì, 4 dicembre 2014

 

La Delegazione della Santa Sede desidera ringraziare Sua Eccellenza il Signor Didier Burkhalter, Presidente della Confederazione elvetica e Capo del dipartimento federale degli Affari esteri svizzero, nonché la Presidenza svizzera del 2014 dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) per la loro generosa ospitalità qui, nella storica città di Basilea.

Il Consiglio ministeriale s’incontra quest’anno nel contesto degli inquietanti eventi che minano la sicurezza nell’area Osce. Gli strumenti politico-militari dell’Organizzazione, destinati a disinnescare conflitti e ripristinare un clima di fiducia e di sicurezza tra gli Stati partecipanti, sono stati messi alla prova come mai fino ad ora. Purtroppo, i fatti hanno dimostrato che anche gli strumenti migliori sono inefficaci se non c’è una sufficiente volontà politica per attuarli in buona fede.

La Santa Sede ha seguito molto da vicino e con profonda preoccupazione gli inquietanti sviluppi in Ucraina. La Chiesa cattolica e il Santo Padre Francesco sono vicini a quanti soffrono e sono esposti a violazioni dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali, in particolare il diritto a una vita nella dignità e libera dalla paura.

In questo contesto, apprezziamo una rapida reazione allo scoppio della violenza, in particolare attraverso il dispiego della Missione speciale di monitoraggio dell’Osce. D’altro canto, siamo dispiaciuti perché, malgrado i preziosi sforzi del Forum per la sicurezza e la cooperazione, la mancata attuazione di altri preziosi strumenti di cui la nostra Organizzazione dispone, come per esempio il Documento di Vienna o il Codice di condotta, ha impedito il realizzarsi delle condizioni necessarie per la risoluzione della crisi in corso.

Ancora più deplorevoli sono la perdita di vite, la sofferenza fisica, la violazione dei diritti fondamentali delle persone e l’enorme danno materiale che hanno già colpito troppi cittadini ucraini. Le nostre preghiere e il nostro pensiero solidale vanno a tutte le vittime e a tutti coloro che subiscono gravi violazioni del loro diritto a vivere in pace.

Tentare di risolvere le dispute con l’uso delle armi piuttosto che attraverso uno sforzo sincero per trovare soluzioni negoziate è uno sviluppo riprovevole, come hanno spesso osservato i vari Pontefici che si sono succeduti. Lo stesso Papa Francesco nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace ha detto: “desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi!” (Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2014, n. 7).

Pertanto, è nostra ferma convinzione che il modo migliore per risolvere la situazione attuale è attraverso il dialogo e i negoziati, per il bene non soltanto di quanti vi sono direttamente coinvolti, ma anche della comunità internazionale più in generale. Non dovrebbero esserci esitazioni, né mancanza di buona volontà, a usare ogni mezzo possibile per raggiungere una soluzione pacifica.

Quest’anno ricorrono alcuni anniversari importanti. Sono trascorsi cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale e 75 da quello della seconda. Tali anniversari riportano alla memoria ricordi di sofferenze senza precedenti che, per complessivi dieci anni, hanno colpito con furia tutto il mondo e specialmente la regione dell’Osce. Agli anni di guerra sono seguiti decenni di ripresa, ma anche di divisioni post-belliche, che hanno prolungato l’incertezza e ritardato il desiderio dei popoli e delle Nazioni di vivere nella libertà e nella prosperità senza la paura di nuove tragedie.

Dovremmo considerare un nostro imperativo morale evitare, con ogni mezzo possibile, gli orrori e le divisioni del passato, troppo spesso accresciuti da una propaganda insensata e spinta dall’interesse. Anzi, non bisogna lesinare sforzi per costruire e rafforzare la pace, che tutti noi ci siamo impegnati a perseguire, dove nessuno si sentirà minacciato e dove la libertà di nessuno sarà compromessa.

Allo scopo di gettare le fondamenta della sicurezza comune per tutti, i padri di questa Organizzazione, riuniti a Helsinki nel 1975, riuscirono a superare differenze in apparenza inconciliabili a favore del bene comune. Dovremmo quindi riflettere seriamente su questo fatto e andare ancora una volta oltre quanto ci separa e cercare quanto ci unisce. Il nostro obiettivo principale deve diventare il bene comune di tutti i cittadini della regione dell’Osce, in particolare di quanti vivono sotto una minaccia o corrono il pericolo di aver compromessi i propri diritti e la propria libertà. La pace è un bene indivisibile. O è il bene di tutti, o il bene di nessuno. Pertanto, dovremmo lavorare con determinazione per raggiungerla.

Meno di un mese fa è stato celebrato anche il 25° anniversario della caduta del muro di Berlino. Non è solo una memoria della fine di un’era di divisione profonda; è un simbolo di speranza, che dimostra come sia possibile superare ostacoli in apparenza insormontabili a beneficio di quanto è profondamente radicato nella nostra natura umana, ovvero una vita nella dignità e nella libertà. E il fatto che sia stato ottenuto in una maniera straordinariamente pacifica ci fa sperare che ciò possa accadere di nuovo. Abbiamo bisogno di ponti, non di muri, che colleghino i popoli da Vancouver a Vladivostok, diffondendo la pace in tutto il mondo.

Gli Stati partecipanti all’Osce hanno riconosciuto, e più volte ribadito, che la sicurezza va oltre le questioni politico-militari. Comprende, come parti integranti, questioni collegate alla sfera economica e ambientale, come anche ai diritti umani. Di fatto, l’Osce ha posto il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della democrazia e dello stato di diritto al centro stesso di ogni risposta efficace alle minacce alla sicurezza. È superfluo ricordare che la sicurezza non può essere ottenuta senza la tutela dei diritti umani e che, d’altro canto, il pieno rispetto dei diritti umani può essere garantito solo in un ambiente sicuro, che permetta all’individuo di godere dei diritti inalienabili e delle libertà che spettano a tutti in quanto esseri umani. Dovremmo anche tenere presente che l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte come garanzia per salvaguardare l’inerente dignità umana (cfr. Discorso di Sua Santità Benedetto XVI all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York, 18 aprile 2008).

Non vi è alcun dubbio che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali nella dignità e nei diritti e che sono uniti in un’unica famiglia umana. Per questo la Santa Sede accoglie con gratitudine l’attenzione costante che l’Osce dedica al problema del traffico delle persone umane. Infatti: “La tratta delle persone è un crimine contro l’umanità. Dobbiamo unire le forze per liberare le vittime e per fermare questo crimine sempre più aggressivo, che minaccia, oltre alle singole persone, i valori fondanti della società e anche la sicurezza e la giustizia internazionali, oltre che l’economia, il tessuto familiare e lo stesso vivere sociale. Tuttavia, occorre una presa di responsabilità comune e una più decisa volontà politica per riuscire a vincere su questo fronte. Responsabilità verso quanti sono caduti vittime della tratta, per tutelarne i diritti, per assicurare l’incolumità loro e dei familiari, per impedire che i corrotti e i criminali si sottraggano alla giustizia ed abbiano l’ultima parola sulle persone” (Discorso del Santo Padre Francesco ad un gruppo di nuovi ambasciatori in occasione della presentazione delle lettere credenziali, 12 dicembre 2013).

Desideriamo attirare particolare attenzione sulla libertà di religione o di credo, che è al centro dei diritti umani basilari. Numerosi documenti internazionali riconoscono che la dimensione spirituale della vita è una parte essenziale dell’esistenza umana. La libertà di religione o di credo è anche una costante ben radicata nei documenti dell’Osce, dall’Atto finale di Helsinki fino alle decisioni commemorative del summit di Astana e alla Decisione ministeriale di Kiev, adottata durante il nostro incontro lo scorso anno. L’adozione della Decisione dello scorso anno dimostra che i diritti associati alla religione esigono una protezione particolare. Non dobbiamo dimenticare nemmeno la sua forza unificatrice, poiché è qui che abbiamo trovato un terreno comune dopo anni in cui non erano state raggiunte decisioni nella dimensione umana. Tuttavia, malgrado gli impegni assunti dagli Stati partecipanti dell’Osce nell’ambito della libertà religiosa, che di fatto comprende molti altri diritti e libertà, come la libertà di espressione, di associazione e di assemblea pacifica, in diversi Paesi, compresi alcuni della regione dell’Osce e delle aree confinanti, tale diritto viene ancora gravemente violato.

Non possiamo restare in silenzio dinanzi a decine di migliaia di cristiani che ogni anno vengono perseguitati e uccisi nel mondo, anche in alcune aree che confinano con la regione dell’Osce. Non c’è alcun dubbio che questi crimini profondamente riprovevoli, che mettono a rischio anche la sicurezza degli Stati partecipanti, devono essere condannati e contrastati con forza.

A questo proposito, vorrei ricordare le parole di Papa Francesco, il quale insiste sulla responsabilità della comunità internazionale di aiutare quanti subiscono persecuzioni in Medio Oriente: “Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili. Tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti” (Parole del Santo Padre Francesco al Concistoro Ordinario Pubblico, 20 ottobre 2014).

L’Osce, i suoi Stati partecipanti e i suoi “partner per la cooperazione” devono alzare la loro voce contro questa ingiustizia e contro la brutale violazione dei diritti delle persone, solo a motivo della loro fede. Quel che occorre, come ha affermato il Santo Padre durante la sua recente visita in Turchia, sono una nuova solidarietà tra musulmani e cristiani nella lotta contro il terrorismo e “un forte impegno comune, basato sulla fiducia reciproca, che renda possibile una pace duratura” (Discorso del Santo Padre Francesco durante l’incontro con le autorità, Ankara, 28 novembre 2014). Deve esserci una nuova collaborazione tra credenti e non credenti per contrastare l’antisemitismo, l’intolleranza verso i musulmani e la crescente discriminazione dei cristiani anche in Europa, dove, sebbene non vi sia una persecuzione organizzata, ci sono molte forme di intolleranza che si manifestano in vari modi, perfino nei crimini motivati dall’odio contro persone e luoghi sacri.

Tenendo presente tutto ciò, continuiamo a insistere sul fatto che la piena garanzia della libertà religiosa non può essere limitata al libero esercizio del culto; deve tenere anche in debito conto la dimensione pubblica della religione e, quindi, la possibilità che i credenti esercitino la loro responsabilità nella costruzione dell’ordine sociale. Ogni violazione della libertà religiosa, sia esplicita sia velata, arreca un danno fondamentale alla causa della pace e della sicurezza.

In conclusione, desidero rinnovare i miei ringraziamenti alla Presidenza svizzera del 2014 dell’Osce per la sua guida e il suo servizio, nonché porgere i miei migliori auguri alla Presidenza serba entrante, mentre lavoriamo insieme per raggiungere gli obiettivi, attuare la visione comune e operare secondo i valori comuni approvati e condivisi da tutti gli Stati partecipanti dell’Osce.