Index

  Back Top Print

INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
IN OCCASIONE DELLA CONFERENZA DI VIENNA
SULL'IMPATTO UMANITARIO DELLE ARMI NUCLEARI

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE A GINEVRA
PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE E ISTITUZIONI SPECIALIZZATE*

Vienna
Martedì, 9 dicembre 2014

 

Le armi nucleari sono un problema globale. Non riguardano solo gli Stati dotati di armi nucleari, ma anche gli altri firmatari non nucleari del Trattato di non proliferazione, i non firmatari, gli altri Stati possessori non riconosciuti e gli alleati «sotto l’ombrello nucleare». Hanno un impatto sulle future generazioni e sull’intero pianeta, che è la nostra casa. La riduzione della minaccia nucleare e il disarmo esigono un’etica globale. Ora più che mai, i fatti dell’interdipendenza tecnologica e politica richiedono un’etica di solidarietà nella quale lavorare gli uni con gli altri per un futuro globale meno pericoloso e moralmente responsabile. La risposta data dalla comunità internazionale interesserà le generazioni future e il nostro pianeta.

Tutti conosciamo i rischi collegati alle armi nucleari, non ultimo quello dell’instabilità che esse causano. È ragionevole pensare che l’equilibrio del terrore è la base migliore per la stabilità politica, economica e culturale del nostro mondo?

Lo status quo è insostenibile e indesiderabile. Se non è pensabile immaginare un mondo in cui le armi nucleari siano a disposizione di tutti, è però ragionevole immaginare un mondo in cui nessuno le possiede. Inoltre, è proprio così che leggiamo le parole e lo spirito del Trattato di non proliferazione.

Sono stati compiuti alcuni passi positivi in direzione dell’obiettivo di un mondo senza armi nucleari (TNP, CTBT, START, NEW START, e così via). La Santa Sede continua però a ritenere che questi passi siano limitati, insufficienti e congelati nello spazio e nel tempo. Le istituzioni che dovrebbero trovare soluzioni e nuovi strumenti sono in una situazione di stallo. Il contesto internazionale attuale, compreso il rapporto tra gli stessi Stati nucleari, non porta all’ottimismo.

Il mondo deve affrontare sfide immense (problemi ambientali, flussi migratori, conflitti militari, povertà estrema, regolari crisi economiche e così via). Solo la cooperazione e la solidarietà tra le nazioni sono in grado di farvi fronte. È paradossale continuare a investire in costosi sistemi di armi. In particolare, è illogico continuare a investire nella produzione e nella modernizzazione delle armi nucleari. Ogni anno vengono sprecati miliardi per sviluppare e mantenere scorte che, si suppone, non verranno mai usate. Si può giustificare un costo così elevato solo per ragioni di status?

L’espressione sicurezza nazionale salta fuori spesso nei dibattiti sulle armi nucleari. Pare che questo concetto venga utilizzato in maniera parziale e tendenziosa. Tutti gli Stati hanno il diritto alla sicurezza nazionale. Perché la sicurezza di alcuni può essere garantita solo con un particolare tipo di arma, mentre altri Stati devono fare senza? D’altro canto, ridurre, in pratica, la sicurezza degli Stati alla sua dimensione militare è artificiale e semplicistico. Lo sviluppo socioeconomico, la partecipazione politica, il rispetto dei diritti umani fondamentali, il rafforzamento dello Stato di diritto, la cooperazione e la solidarietà a livello regionale e internazionale, e così via, sono essenziali per la sicurezza nazionale degli Stati. Non è forse urgente rivedere, in modo trasparente, come gli Stati, specialmente quelli dotati di armi nucleari, definiscono la propria sicurezza nazionale?

Stiamo ora assistendo, dopo due decenni persi, a una rinnovata sensibilità alla causa del disarmo nucleare. Durante l’ultimo decennio della guerra fredda, Chiese, Ong, accademie, gruppi di esperti e movimenti popolari si sono impegnati per un mondo senza armi nucleari. L’obiettivo, le intenzioni e gli argomenti continuano ad essere validi anche se il contesto internazionale è mutato.

L’«iniziativa umanitaria» è una nuova speranza per compiere passi decisivi verso un mondo privo di armi nucleari. La collaborazione tra Stati, società civile, Cicr, organizzazioni internazionali e Nazioni Unite è un’ulteriore garanzia di inclusione, cooperazione e solidarietà. Non si tratta di un’azione di circostanza. È un cambiamento fondamentale che risponde alla ricerca profonda di molte popolazioni del mondo, che sarebbero le prime vittime di un evento nucleare.

Sin dagli inizi dell’era nucleare, la Santa Sede sostiene l’abolizione di queste armi che, a quanto pare, sono prive di qualsiasi logica militare. Dall’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) la Santa Sede continua a mettere in discussione la base etica della cosiddetta dottrina della deterrenza nucleare. Le conseguenze etiche e umanitarie del possesso e dell’utilizzo di armi nucleari sono catastrofiche e vanno ben oltre la razionalità e la ragionevolezza.

Questa Delegazione è consapevole che l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari non è facile da raggiungere. Per questo sono necessarie tutte le energie e l’impegno. Lo sono ancora di più in questo tempo di tensioni internazionali. Il ruolo delle Chiese e delle comunità religiose, della società civile e delle istituzioni accademiche è essenziale per non far morire la speranza, per non permettere al cinismo e alla realpolitik di prendere il sopravvento. Un’etica basata sulla minaccia e sulla mutua distruzione assicurata non è degna delle generazioni future. Solo un’etica radicata nella solidarietà e nella pacifica coesistenza è un grande progetto per il futuro dell’umanità.


* L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n. 291, Dom. 21/12/2014.