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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
IN OCCASIONE DELLA 28ª SESSIONE DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI,
NEL CORSO DI UN DIBATTITO SU DIRITTI UMANI E CAMBIAMENTO CLIMATICO

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO LE NAZIONI UNITE E ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Ginevra
Venerdì, 6 marzo 2015

  

Signor Presidente,

La Santa Sede si sente incoraggiata dai crescenti sforzi per affrontare il cambiamento climatico globale, intrapresi da diverse parti interessate.

Ci sono sempre maggiori evidenze che sarà la gente più povera nei Paesi più vulnerabili a dover sostenere la parte più grande del fardello di adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico, alla cui creazione non hanno quasi partecipato [1]. Guardando alla Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite del 2015 a Parigi, ci viene offerta un’importante opportunità per prendere due decisioni etiche. In primo luogo, le Nazioni del mondo devono impegnarsi a ridurre le emissioni di carbonio a un livello minimo per evitare interferenze antropogeniche con il sistema climatico; in secondo luogo, le Nazioni del mondo devono finanziare in maniera sufficiente le misure di adattamento necessarie alle Nazioni e ai popoli vulnerabili per resistere agli impatti del cambiamento climatico. La nostra sollecitudine per il bene comune del pianeta e per l’umanità ci spinge a riconoscere il nostro senso d’interdipendenza sia con la natura sia gli uni con gli altri. Nessuno è esentato dagli impatti del cambiamento climatico, né dalla responsabilità morale di agire in solidarietà reciproca per affrontare questa preoccupazione comune.

Riteniamo che simili decisioni daranno prova dell’impegno degli uomini a mostrare rispetto per l’ambiente, per quanti soffrono di più  e per il bene delle generazioni presenti e future. Mentre la scienza continua ad analizzare le piene implicazioni del cambiamento climatico, la virtù della prudenza ci invita ad assumerci la responsabilità di agire al fine di ridurre i potenziali danni, specialmente per quanti vivono nella povertà, per quanti vivono in aree d’impatto climatico molto vulnerabili e per le generazioni future. Come ha sottolineato Papa Francesco: “La lotta efficace contro il riscaldamento globale sarà possibile unicamente attraverso una risposta collettiva responsabile, che superi gli interessi e i comportamenti particolari e si sviluppi libera da pressioni politiche ed economiche” (Messaggio del Santo Padre Francesco in occasione della 20ª Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Sul cambiamento climatico “esiste pertanto, un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire” (ibidem). La realizzazione di un trattato internazionale sul cambiamento climatico è “una grave responsabilità etica e morale” (ibidem).

Signor Presidente,

La solidarietà con le Nazioni e i popoli più vulnerabili, che stanno sentendo in modo più forte e immediato l’impatto del cambiamento climatico, ci spinge a contribuire a migliorare la loro situazione e a difendere il loro diritto allo sviluppo. La povertà e il cambiamento climatico sono ora strettamente collegati. Le strategie per affrontare la prima devono tener conto del secondo e vice versa.

Di fatto, i poveri che vivono nei Paesi in via di sviluppo sono particolarmente vulnerabili data la loro sproporzionata dipendenza dalle risorse sensibili al clima per quanto riguarda il cibo e il sostentamento (IPCC AR4 WG II, p. 359. Progetto del Millennio delle Nazioni Unite 2005, Halving Hunger: It Can Be Done, Task Force sulla fame, p. 66) [2]. Il Relatore Speciale sul diritto al cibo ha documentato come gli eventi climatici estremi stanno minacciando sempre più la sussistenza e la sicurezza alimentare. Di fatto, si stima che 600 milioni di persone dovranno affrontare la malnutrizione causata dal cambiamento climatico, con tassi di malnutrizione crescenti specialmente nel sud dell’Asia e nell’Africa sub-sahariana (http://www.ifpri.org).

Inoltre, il moltiplicarsi di inondazioni e tempeste e l’aumento del livello dei mari stanno mostrando alcuni degli effetti che il cambiamento climatico avrà anche sul diritto umano a un’abitazione adeguata. L’erosione dei mezzi di sostentamento, causata in parte dal cambiamento climatico, è uno dei principali fattori di “spinta” per la crescente migrazione dalle aree rurali a quelle urbane. Molti si trasferiranno nelle baraccopoli urbane e in insediamenti informali, dove saranno costretti a costruirsi un riparo in aree a rischio (A/63/275, par. 31-38). Già oggi si stima che un miliardo di persone vive in baraccopoli urbane, su colline fragili o su argini di fiumi soggetti a inondazioni, che sono fortemente vulnerabili agli eventi climatici estremi.

Mentre continuiamo a cercare soluzioni fattibili, sappiamo che il cammino verso un futuro più giusto e sostenibile è complesso e talvolta incerto. Nel nostro lavoro collettivo per rispondere al cambiamento climatico globale, la Santa Sede s’impegna a lavorare con tutte le persone di buona volontà e garantisce il suo sostegno agli sforzi che promuovono il bene comune, il rispetto della dignità umana e una particolare attenzione per chi è più vulnerabile.

La Santa Sede spera anche che i contributi promessi al Green Climate Fund continuino a aumentare, così da permettere alle nazioni più vulnerabili di mitigare gli effetti del cambiamento climatico e di adattarsi ad essi in maniera più efficace. Infine, la costante e sempre più profonda collaborazione e l’impegno della società civile e del settore privato sono un segnale gradito. Tutte queste misure dovrebbero aumentare le possibilità di compiere passi significativi e costruttivi per affrontare il cambiamento climatico durante l’imminente Conferenza di Parigi. L’atteso nuovo accordo dovrebbe comprendere misure vincolanti di responsabilità e di solidarietà per un’azione efficace da parte della comunità internazionale per affrontare insieme le minacce risultanti dal cambiamento climatico. Il cambiamento climatico è, di fatto, una questione di giustizia per tutti. Il nuovo strumento deve basarsi su questa giustizia, che dovrà guidare le nostre deliberazioni nelle prossime settimane.  Sia i Paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo hanno la responsabilità di proteggere: costituiscono l’unica famiglia umana di questa terra, con uguale mandato di gestire e di proteggere il creato in modo responsabile, al fine di assicurare che le nostre generazioni future trovino un mondo che permetta loro di prosperare.


[1] Come indicato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNPD), “nei Paesi Bassi la gente sta investendo in case che possono galleggiare sull’acqua. L’industria sciistica alpina svizzera sta investendo in macchine per creare la neve artificiale”, ma “nel Corno d’Africa ‘adattamento’ significa che le donne e le ragazze devono camminare più lontano per prendere l’acqua”. Nei delta del Gange e del Mekong “le persone stanno costruendo ripari in bambù su palafitte contro le inondazioni” e “piantando mangrovie per proteggersi contro l’impeto delle tempeste”.

[2] Inoltre, secondo il Relatore Speciale del Consiglio per i diritti umani sul diritto al cibo, “metà della popolazione affamata del mondo … dipende per la sua sopravvivenza da terre che sono inerentemente povere e che potrebbero diventare meno fertili e meno produttive come risultato degli impatti di ripetute siccità, del cambiamento climatico e dell’uso insostenibile della terra” (A/HRC/7/5, par. 51).