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28ª SESSIONE DEL CONSIGLIO PER I DIRITTI UMANI
SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA E LIBERTÀ D'ESPRESSIONE

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO LE NAZIONI UNITE E ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Ginevra
Martedì, 10 marzo 2015

 

Signor Presidente,

La Comunità Internazionale deve ora confrontarsi con una sfida delicata, complessa e urgente che riguarda il rispetto delle sensibilità religiose e la necessità di una convivenza pacifica in un mondo sempre più pluralistico, e più precisamente quella di stabilire un giusto rapporto tra la libertà di espressione e la libertà di religione. Il rapporto tra questi diritti umani fondamentali si è dimostrato difficile da gestire e da affrontare a livello sia normativo sia istituzionale. Occorre riconoscere che un dibattito aperto, costruttivo e rispettoso sulle idee, come anche il dialogo interconfessionale e interculturale a livello locale, nazionale e internazionale, possono svolgere un ruolo positivo nel combattere l'odio, l'istigazione e la violenza religiosi (Risoluzione del Consiglio per i diritti dell'uomo 16/18 su Combattere l'intolleranza, la creazione di stereotipi negativi e la stigmatizzazione, nonché la discriminazione, l'istigazione alla violenza e la violenza nei confronti di persone, basati sulla religione o sul credo par. 5 (h), p. 3). Il fallimento di questi sforzi appare evidente laddove l'uso eccessivo e irresponsabile della libertà di espressione si trasforma in intimidazione, minacce e insulti verbali e questi calpestano la libertà di religione e purtroppo possono portare a intolleranza e violenza. Allo stesso modo, il Relatore speciale sulla libertà di religione si è concentrato sulla violenza perpetrata in nome della religione (cfr. doc. A/HRC/28/66 par. 3-82 pp. 3-18), e sulle sue cause profonde.

Purtroppo oggi la violenza abbonda. Se con genocidio s'intende qualsiasi atto commesso con l'intento di distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale (cfr. art. II e III della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948), allora la Comunità Internazionale nel suo insieme sta certamente assistendo a una sorta di genocidio in alcune regioni del mondo, dove si continua a rendere schiavi e a vendere donne e bambini, a uccidere giovani uomini e a bruciare, decapitare e costringere persone all'esilio. In questo contesto, la Delegazione della Santa Sede desidera sottoporre alla riflessione comune del Consiglio per i diritti dell'uomo il fatto che questi e altri crimini indicibili vengano commessi nei confronti di persone appartenenti a comunità antiche semplicemente perché la loro credenza, il loro sistema sociale e la loro cultura sono diversi da quelli dei combattenti fondamentalisti del cosiddetto gruppo dello Stato Islamico. Il riferimento alla religione al fine di assassinare persone e distruggere testimonianze della creatività umana sviluppata nel corso della storia rende le atrocità che si stanno compiendo ancor più ripugnanti e condannabili. Una risposta adeguata da parte della Comunità Internazionale, che dovrebbe finalmente accantonare gli interessi di parte e salvare vite, è un imperativo morale.

La violenza, comunque, non nasce dalla religione, bensì da una sua falsa interpretazione o dalla sua trasformazione in ideologia. Per giunta, la stessa violenza può derivare dall'idolatria dello Stato o dell'economia e può essere un effetto della secolarizzazione. Tutti questi fenomeni tendono a eliminare la libertà individuale e la responsabilità verso gli altri. Ma la violenza è sempre l'atto di un individuo ed è una decisione che implica la responsabilità personale. Di fatto, è adottando un'etica di responsabilità che il cammino verso il futuro può diventare fecondo, prevenendo la violenza e interrompendo lo stallo tra posizioni estreme, di cui una sostiene qualsiasi forma di libertà di espressione e l'altra rifiuta ogni critica a una religione. Il pericolo di un doppio parametro nella protezione dei diritti umani non è mai troppo lontano. Alcuni limiti alla libertà di espressione vengono imposti in modo selettivo dalla legge e accettati; allo stesso tempo, attacchi sistematici, provocatori e verbalmente violenti contro la religione, che ledono l'identità personale di credenti, vengono appoggiati (cfr. U.N. doc. A/HRC/25/34, par. 127). La libertà di espressione che viene usata in modo improprio per ledere la dignità delle persone, offendendo le loro convinzioni più profonde, pianta il seme della violenza. Naturalmente la libertà di espressione è un diritto umano fondamentale che va sempre sostenuto e protetto; di fatto, implica anche l'obbligo di dire in modo responsabile ciò che una persona pensa in considerazione del bene comune. Senza questo diritto, l'educazione, la democrazia, la spiritualità autentica non sarebbero possibili. Tuttavia, non giustifica il relegare la religione a una subcultura di peso irrilevante o a un accettabile facile bersaglio di derisione e discriminazione. Le argomentazioni antireligiose, anche in forma ironica, certamente possono essere accettate, poiché è accettabile usare l'ironia sul secolarismo e l'ateismo. La critica del pensiero religioso può perfino aiutare a smantellare vari estremismi. Ma che cosa può giustificare insulti gratuiti e derisione maligna dei sentimenti religiosi e delle convinzioni di altri che, dopotutto, hanno uguale dignità? Possiamo prenderci gioco dell'identità culturale di una persona, del colore della sua pelle, di ciò che crede il suo cuore? Non esiste un diritto di offendere. La critica può dare buoni risultati se tiene conto del fatto che le persone sono più importanti delle loro convinzioni o del loro credo e che hanno, per il semplice fatto di essere esseri umani, il diritto innato al rispetto.

La mancanza di un'etica della responsabilità e della correttezza porta alla radicalizzazione delle posizioni, mentre invece sono necessari il dialogo e la comprensione reciproca per spezzare il circolo vizioso della violenza. La Costituzione dell'Unesco ci ricorda che poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della pace (Costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, le Scienze e la Cultura, 1945, Preambolo).

Diverse questioni interdipendenti come la libertà di religione, la libertà di espressione, l'intolleranza religiosa, la violenza nel nome della religione, si assommano nelle situazioni concrete che il mondo deve affrontare oggi. Il cammino per andare avanti sembra essere l'adozione di un approccio comprensivo, che contempli tali questioni tutte insieme nella legislazione interna e le affronti in modo tale che possano facilitare una convivenza pacifica, basata sul rispetto della dignità umana inerente e dei diritti di ogni persona. Quando si sceglie di stare dalla parte della libertà, non si possono ignorare le conseguenze dell'esercizio della stessa, che dovrebbero rispettare tale dignità, costruendo così una società globale più umana e più fraterna.

Grazie, Signor Presidente.