Index

  Back Top Print

Collaborazione tra Santa Sede e Italia in materia fiscale *

di S.E. Mons. Paul Richard Gallagher,
Segretario per i Rapporti con gli Stati

 

Con la firma della Convenzione in materia fiscale Santa Sede e Italia sono ancora più vicine. Al legame storico si aggiungono sempre più stabili vincoli istituzionali e giuridici che, dopo la quiescenza negli anni successivi al 1870, hanno conosciuto dai Patti lateranensi in poi una crescita costante con reciproci benefici. Il traguardo rappresentato da questa Convenzione è in buona parte frutto dell’impegno internazionale profuso dalla Santa Sede nei settori della trasparenza, della vigilanza e dell’informazione finanziaria che, dal 2010 in poi, ha consentito la realizzazione di significative riforme, accolte da un consenso diffuso da parte degli operatori internazionali.

È sulla base di queste premesse che la collaborazione tra Santa Sede e Italia viene estesa oggi alla materia fiscale. Questo ambito può sembrare piuttosto sorprendente alla luce di quelle che sono le Parti contraenti, posto che né la Santa Sede né lo Stato della Città del Vaticano hanno una legislazione fiscale in senso stretto o un sistema tributario che possa giustificare i contenuti tradizionali delle convenzioni fiscali stipulate tra gli Stati.

Questa disciplina convenzionale si giustifica infatti proprio alla luce della specialità dei rapporti correnti tra la Santa Sede (e lo Stato della Città del Vaticano, su cui la Santa Sede esercita la sovranità) e la Repubblica Italiana, tali da richiedere anzitutto una semplificazione nel pagamento delle imposte sulle rendite prodotte dalle attività finanziarie detenute nello Stato della Città del Vaticano. In questo modo la Santa Sede e le Istituzioni che operano nello Stato della Città del Vaticano potranno, da un lato, agevolare le attività di riscossione delle autorità fiscali italiane e, da altro lato, offrire un importante servizio a tutti quelle persone (fisiche e giuridiche) residenti in Italia e che per motivi di natura ecclesiale detengono attività finanziarie nel territorio vaticano.

Questo ambito riguarda il complesso universo degli Istituti di Vita Consacrata, delle Società di Vita Apostolica, nonché di tutti gli altri enti dotati di personalità giuridica canonica e che attendono ad opere di pietà, apostolato o carità, spirituale o temporale (ex can 114 CIC). Un ambito non meno importante riguarda poi la pluralità dei dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, nonché tutti i pensionati di queste Istituzioni, che ricevono presso l’Istituto per le Opere di Religione il pagamento delle rispettive retribuzioni o pensioni. Anche per costoro è previsto l’accesso alla suddetta semplificazione tributaria.

La parte forse più rilevante della Convenzione consiste poi nell’accordo relativo allo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali, la cui disciplina introduce il complesso articolato della Convenzione. Con tale accordo si stabilisce che la Santa Sede comunicherà allo Stato italiano le “informazioni verosimilmente rilevanti … per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione …”, senza possibilità di opporre in senso contrario alcun vincolo di segreto in materia finanziaria. Le disposizioni appaiono in proposito piuttosto ampie in quanto corrispondenti allo standard internazionale più accreditato e recente, quale quello approvato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ed adottato dall’Italia anche nei recenti accordi con la Svizzera, il Liechtenstein ed il Principato di Monaco.

Anche questo contenuto, al pari del precedente, opererà in senso unilaterale, in funzione cioè del solo diritto fiscale italiano, considerato che la Santa Sede (e lo Stato della Città del Vaticano) non hanno motivo di chiedere informazioni in assenza di un sistema tributario che possa giustificare la richiesta. In proposito occorre comunque evidenziare come l’accordo sullo scambio di informazioni  realizzi un significativo passo della Santa Sede verso l’obiettivo della massima trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, dimostrando al tempo stesso la complessiva idoneità del proprio sistema istituzionale e giuridico a sostenere in modo efficace il confronto con i più elevati parametri internazionali in materia.

Della Convenzione sono infine da apprezzare i riferimenti, brevi ma tecnicamente puntuali e opportuni, alle disposizioni del Trattato lateranense che possono in qualche modo essere interessate dai contenuti della Convenzione. In particolare: l’esclusione di ogni modifica al regime di esenzione stabilito nell’articolo 17 del Trattato del Laterano con riferimento alle retribuzioni corrisposte ai dipendenti della Santa Sede; nonché l’esclusione degli enti centrali della Chiesa Cattolica, di cui all’art. 11 del Trattato, dall’applicazione delle disposizioni più strettamente fiscali della Convenzione concernenti lo scambio di informazioni ed il pagamento delle imposte sulle rendite finanziarie.

L’assetto fondamentale del Trattato è infine non solo confermato, ma anche portato a compimento in relazione al regime fiscale peculiare degli immobili situati nelle zone cc.dd. extraterritoriali, di cui la Convenzione ribadisce l’esenzione da ogni tributo che aveva costituito di recente oggetto di incertezze giurisprudenziali.

Conclusivamente, la Convenzione in materia fiscale è destinata a segnare una tappa importante nella cooperazione tra Italia e Santa Sede, che conferma come queste realtà, accomunate dalla storia, sanno procedere insieme e sostenersi reciprocamente, conservando e rinsaldando vincoli peculiari e caratteristici, anche in un contesto internazionale sempre più articolato e globale.

 


* L'Osservatore Romano, 2 aprile 2015