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CERIMONIA PER IL 25° ANNIVERSARIO DEL RISTABILIMENTO DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA LA SANTA SEDE E L'UNGHERIA

INTERVENTO DEL SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI, ARCIVESCOVO PAUL RICHARD GALLAGHER

Budapest
Martedì, 14 aprile 2015

 

Eminenza, Eccellenze,
Illustri Autorità,
Signori e Signore!

Ringrazio vivamente gli organizzatori per l’invito rivoltomi a prendere parte a quest’incontro, in occasione del 25° anniversario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Ungheria, che si svolge nella splendida cornice dello storico palazzo del Parlamento, la cui maestosa bellezza si rispecchia nelle vicine acque del Danubio e dove il 9 febbraio 1990 il Cardinale Agostino Casaroli e il Primo Ministro Miklós Németh firmarono il rispettivo Accordo, aprendo un nuovo capitolo nella millenaria storia dei rapporti tra la Sede di Pietro e lo Stato ungherese, iniziata «quando, nel lontano anno 1000, il giovane principe ungherese Stefano ricevette la corona reale inviatagli da Papa Silvestro» [1]. La «Sacra Corona», custodita in questo Parlamento come la Prima Reliquia Nazionale, ricorda con orgoglio a quanti vengono a vederla che Santo Stefano mille anni fa ha dotato il suo Stato di stabili fondamenta e ha inserito l’Ungheria nell’Europa cristiana [2]. All’eredità cristiana fa riferimento anche la Legge Fondamentale dell’Ungheria, sia con l’invocazione del nome di Dio all’inizio, sia tramite i valori cristiani ai quali si ispira nel suo testo.

Saluto con deferenza le Autorità, i relatori e quanti intervengono a questo solenne atto commemorativo, durante il quale verranno ricordati i Monsignori Angelo Rotta e Gennaro Verolino, rispettivamente Nunzio Apostolico e Uditore della Nunziatura Apostolica a Budapest, nonché la loro azione in favore degli innocenti nei tempi bui e difficili della storia ungherese.

Nel mio intervento, desidero rendere omaggio a quell’ «appassionato tessitore di rapporti di pace tra gli individui e le Nazioni» [3], il Cardinale Agostino Casaroli, che, dopo aver rivestito per oltre venticinque anni un ruolo di primissimo piano nelle trattative con l’Ungheria, firmò, per la Santa Sede, il 9 febbraio 1990, l’Accordo con il quale la Santa Sede e la Repubblica di Ungheria hanno convenuto di ristabilire le relazioni diplomatiche a livello di Nunziatura, da parte della Santa Sede, e di Ambasciata, da parte della Repubblica Ungherese. Mi limiterò a esporre qualche considerazione circa la figura, profondamente umana e caratterizzata da una grande spiritualità sacerdotale, e l’opera del Cardinale Casaroli, con particolare attenzione alle sue relazioni con l’Ungheria.

Durante l’omelia per le sue esequie, Giovanni Paolo II volle ricordarlo come «pastore zelante» e «illustre diplomatico» [4]. L’azione diplomatica di Agostino Casaroli accompagnò il ministero di ben cinque Pontefici, sin da quando, nel 1940, intraprese il suo servizio nella Segreteria di Stato di Pio XII, nell’allora Sezione degli Affari ecclesiastici straordinari, in qualità di archivista, e proseguì, negli anni 1950-1961 come minutante per l’America Latina. San Giovanni XXIII nel marzo 1961 lo nominò Sottosegretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari della Chiesa e cominciò ad inviarlo presso i Paesi comunisti dell’Est. Il beato Paolo VI lo nominò Segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari, che successivamente assunse la nuova denominazione di Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa, e lo consacrò Vescovo il 16 luglio 1967. Breve fu senz’altro il servizio che poté rendere a Giovanni Paolo I. San Giovanni Paolo II, nell’aprile 1979, lo nominò dapprima pro-Segretario di Stato e pro-Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Creato Cardinale nel giugno del medesimo anno divenne Segretario di Stato. Il Papa volle servirsi, come i suoi predecessori, della sua valida ed esperta collaborazione fino al 1° dicembre 1990, quando lasciò l’incarico per raggiunti limiti di età. Con Giovanni Paolo II condivise numerosi viaggi apostolici. Gli fu al fianco in storici incontri come quello con Michail Gorbaciov. Nel 1988 si recò a Mosca per celebrare, a nome del Papa, i mille anni di cristianesimo in Russia.

Come negoziatore della Santa Sede, Agostino Casaroli fu un autentico operatore di pace, guidato dal «profondo amore alla causa della pace e della cooperazione tra le Nazioni e all’interno di esse» [5]. Questa pace, egli sempre la domandò, negli innumerevoli colloqui e incontri avuti con rappresentanti di Stati e di organismi nazionali e internazionali, anzitutto per la Chiesa. Non tutti valutavano positivamente l’apertura della Santa Sede nei confronti dei Paesi comunisti. Non mancarono critiche e contestazioni da parte di quanti erano contrari a qualsiasi intesa con i comunisti, ritenendola inutile e dannosa, e di quelli che diffidavano delle intenzioni del regime totalitario e della possibilità di accordi che potessero portare un vero miglioramento della situazione della Chiesa. Le voci critiche si ripetevano con crescente insistenza di pari passo con le segnalazioni di nuove restrizioni, violenze e abusi nei confronti della Chiesa e dei suoi fedeli. Tuttavia, la difesa della libertà della Chiesa nell’adempimento della missione affidatale da Cristo fu la sua costante preoccupazione. «Il fine supremo a cui sempre ispirò la sua azione fu il bene delle anime, in particolare del grande numero di cattolici rimasti fedeli alla Chiesa, ma in grave pericolo di progressiva scristianizzazione» [6]. Il dialogo fu il metodo che favoriva l’efficacia e i risultati della sua azione diplomatica: un dialogo «fermo nell’affermazione della verità e nella difesa del diritto, rispettoso verso le persone» [7].

Egli non fu solo un brillante diplomatico, tessitore di relazioni, ma fu, e rimane per sempre, sacerdote di Cristo. «Pur occupato in questioni di grande rilevanza per la Chiesa e per le relazioni internazionali, egli dal 1943 non cessò di svolgere un servizio pastorale nel Centro di rieducazione per minorenni di Casal del Marmo in Roma. Aveva stretto con quei giovani e le loro famiglie un legame di reciproca fiducia» [8]. Per sua iniziativa fu istituita la «Villa Agnese», una casa-famiglia per accogliere alcuni giovani che uscivano dal carcere o che si trovavano nella necessità di essere aiutati a inserirsi nel mondo del lavoro. Incontrò i «suoi» ragazzi per l’ultima volta dieci giorni prima della morte.

La ricerca del dialogo e del negoziato con i regimi comunisti, che caratterizza l’azione diplomatica di Agostino Casaroli, copre un lasso di tempo dal 1963 al 1989. Nel 1963 Monsignor Casaroli, Sottosegretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari, guidò la delegazione della Santa Sede alla Conferenza delle Nazioni Unite sulle relazioni consolari a Vienna. Per disposizione del Papa Giovanni XXIII, incoraggiato dalla presenza di alcuni Vescovi dell’Ungheria e della Cecoslovacchia alla prima sessione del concilio Vaticano II e allo stesso tempo desideroso di aprire qualche varco di dialogo per far uscire la Chiesa dall’isolamento in cui era venuta a trovarsi in quei Paesi, Monsignor Casaroli partì da Vienna per compiere due viaggi a Budapest e a Praga per riprendere i contatti, interrotti da anni, con i governi comunisti. «Si trattava di vedere che cosa fosse possibile fare al servizio della Chiesa nell’Ungheria e nella Cecoslovacchia comuniste, cercando di non limitare il dialogo ai soli “casi” Mindszenty e Beran» [9].

In Ungheria, la riforma agraria del 1945 espropriò la Chiesa della maggior parte delle sue proprietà fondiarie. Nel 1948 lo Stato nazionalizzò le scuole, sino ad allora in gran parte della Chiesa. L’insegnamento religioso nelle scuole era ostacolato. Le organizzazioni e la stampa cattoliche erano quasi scomparse. Nel 1950 il governo disciolse ordini e congregazioni religiose. Solo quattro istituti — tre maschili e uno femminile — furono lasciati, con un numero molto limitato di membri. Un decreto governativo del 1957 rendeva praticamente impossibile alla Santa Sede provvedere al governo delle Diocesi.

Si prospettava quindi un negoziato di straordinaria difficoltà. Per instaurarlo bene, bisognava conoscere nel miglior modo possibile i problemi e le situazioni, studiare una specie di piano, valutando le priorità, le urgenze e le possibilità, e avere una visione d’insieme della situazione.

In questo piano si presentava per prima la questione dell’episcopato, cioè l’impegno per non lasciare mancare alle Diocesi legittimi pastori. Su dodici Diocesi, solo cinque avevano un proprio Vescovo; gli altri erano «impediti». Occorreva ricostruire il corpo episcopale, nella misura più completa possibile. Il governo si mostrò irremovibile nel non consentire che i Vescovi impediti riprendessero le loro funzioni. C’era il problema della scelta di nuovi candidati: da una parte il governo era intento a far passare «i suoi uomini»; dall’altra l’opinione pubblica cattolica era preoccupata di avere Vescovi della Chiesa e non del regime. Alla fine si riuscì a far accettare il principio che la ricerca di possibili candidati sarebbe spettata alla Santa Sede che avrebbe potuto compiere le consuete indagini sui candidati. Il governo si riservava di dare o di rifiutare il proprio consenso alle nomine. Inoltre, ai Vescovi, come ai sacerdoti, si imponeva il giuramento di fedeltà alla Repubblica Popolare Ungherese. La Santa Sede volle almeno che al giuramento i Vescovi e i sacerdoti aggiungessero la clausola «sicut decet episcopum, vel sacerdotem» (“come conviene a un vescovo o a un sacerdote”), per sottolineare che la fedeltà promessa alla Repubblica da un Vescovo o da altro ecclesiastico aveva dei limiti invalicabili nei principi della Chiesa. Per la vita e per l’attività quotidiana dei Vescovi, era importante che il governo rinunciasse all’istituto dei «commissari ministeriali» che esercitavano nelle curie e presso i Vescovi il potere di controllo e, praticamente, di decisione.

Il 15 settembre 1964 fu firmato a Budapest un Atto con annessi un Protocollo e due Allegati. Un documento bilaterale, che non era destinato a essere reso pubblico nel suo testo, faceva il punto della situazione, impegnando entrambe le parti quanto alle assicurazioni e alle promesse fornite. I Vescovi ungheresi ne ricevettero un’ampia e fedele informazione. Contemporaneamente all’annuncio della firma del documento è stata annunciata la nomina di cinque nuovi Vescovi riconosciuti dal governo. Inoltre, fu riaperto il Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese a Roma per i sacerdoti provenienti dalle Diocesi di Ungheria.

La vita rimaneva difficile per la Chiesa sotto l’occhio vigilante dello Stato e dell’Ufficio per i culti. Le intese del 1964 servivano, tuttavia, per tenere vivo il dialogo e le discussioni. Gli incontri tra Monsignor Casaroli, diventato nel 1967 Segretario per gli Affari ecclesiastici straordinari, e i rappresentanti governativi si ripetevano, ora a Roma, ora a Budapest.

Il punto più spinoso per il governo era il caso del Cardinale Mindszenty, rifugiato nell’Ambasciata degli Stati Uniti dopo il fallimento della rivolta del 1956. Egli impersonava la tragedia della Chiesa e del popolo ungherese. Il governo insisteva sulla necessità di un provvedimento di «grazia», ma il Cardinale lo rifiutava, ritenendosi — a ragione — vittima di una vergognosa ingiustizia. Alla fine, il governo prospettò una grazia concessa senza previa richiesta da parte del «beneficiario». Restava la questione delle «garanzie» che il governo esigeva circa il comportamento del Cardinale una volta uscito dall’Ambasciata e dall’Ungheria. La Santa Sede avrebbe dovuto prendere l’impegno e poi convincere il Cardinale a non intervenire nella vita ecclesiastica ungherese e ad astenersi da parole e da attività «ostili» alla Repubblica Popolare d’Ungheria.

Nel 1980 il Cardinale Lékai, Arcivescovo di Esztergom, chiese al Papa di inviare il Cardinale Casaroli alle celebrazioni del millenario del vescovo e martire san Gerardo, venerato insieme al re Stefano e a suo figlio Emerico tra i fondatori della Chiesa nelle terre ungheresi. In quell’occasione, Agostino Casaroli tornò in Ungheria in veste di Segretario di Stato. Il governo organizzò anche un incontro con i più alti vertici dello Stato.

Dieci anni più tardi il Cardinale Casaroli «ha avuto la gioia di veder coronare i suoi saggi e pazienti sforzi con l’avvento della nuova fase storica, segnata dagli eventi del 1989» [10]. Dopo i crolli che avevano cambiato il volto dell’Europa, il Porporato tornava ancora una volta in Ungheria, rinata a nuova speranza. Il 9 febbraio 1990 ebbe la gioia di firmare un nuovo Accordo per sancire la revoca di quello sottoscritto il 15 settembre 1964. Caduto in Ungheria il regime comunista, fra i primi atti del nuovo governo vi fu la revisione della legislazione ecclesiastica, con il riconoscimento della piena libertà di religione. Con la grande Messa celebrata nella Basilica di Santo Stefano l’11 febbraio 1990 si chiudeva la vicenda ungherese del Cardinale Casaroli, incominciata ventisei anni prima.

Con l’Accordo del 1990 hanno avuto termine le intese restrittive della libertà religiosa e si è inaugurato un nuovo capitolo dei reciproci rapporti di amicizia, aperto a nuovi accordi bilaterali sulle questioni di mutuo interesse. Oggi, la Chiesa Cattolica in Ungheria «si impegna su larga scala con le sue istituzioni nel campo dell’educazione scolastica e della cultura, nonché dell’assistenza sociale, e in tal modo contribuisce alla costruzione morale davvero utile» [11] al Paese. Mi piace cogliere quest’occasione per ringraziare coloro che hanno reso possibile la firma e la ratifica dell’Accordo sull’assistenza religiosa alle Forze Armate e di Polizia di Frontiera nel 1994, al quale ha fatto seguito l’Accordo sul finanziamento delle attività di servizio pubblico e di altre prettamente religiose («della vita di fede») svolte in Ungheria dalla Chiesa Cattolica e su alcune questioni di natura patrimoniale, nel 1997, e, recentemente, l’Accordo che è stato firmato il 21 ottobre 2013 e ratificato il 10 febbraio 2014 per apportare alcune modifiche a quello del 1997, aggiornandolo nel contesto delle nuove normative collegate con la Legge Fondamentale dell’Ungheria, promulgata il 25 aprile 2011. Grazie per il vostro ascolto e per la vostra attenzione. Dio benedica l’Ungheria! (Isten, àldd meg a Magyart!).

 


[1] Benedetto XVI, Discorso al Signor Gábor Győriványi, nuovo Ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, 2 dicembre 2010.

[2] Cfr. La legge fondamentale dell’Ungheria, 25 aprile 2011, Professione Nazionale.

[3] Giovanni Paolo II, Insegnamenti, XXI, 1, 1988, p. 1332.

[4] Giovanni Paolo II, Omelia, 12 giugno 1998.

[5] Agostino Casaroli, Nella Chiesa per il mondo, Milano 1987, 494.

[6] Giovanni Paolo II, Omelia, 12 giugno 1998.

[7] Agostino Casaroli, Nella Chiesa per il mondo, Milano 1987, 494.

[8] Giovanni Paolo II, Omelia, 12 giugno 1998.

[9] Agostino Casaroli, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i Paesi comunisti (1963-1989), Torino 2000, 9.

[10] Giovanni Paolo II, Omelia, 12 giugno 1998.

[11] Benedetto XVI, Discorso al Signor Gábor Győriványi, nuovo Ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, 2 dicembre 2010.

 


* L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.086, 16/04/2015