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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
IN OCCASIONE DEL TRIGESIMO DELLA MORTE
DEL CARD. ANTONIO MARÍA JAVIERRE ORTAS

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Parrocchia di Santa Maria Liberatrice
Sabato, 3 marzo 2007

 

Proseguiamo il nostro cammino dei 40 giorni nel deserto, luogo di tentazione e di prova, per giungere alla terra promessa.

La scorsa settimana abbiamo meditato sul fatto che la Quaresima è in realtà la nostra vita: l'intera nostra vita è il cammino nel deserto, dove incontriamo la tentazione, per raggiungere la meta del Regno promesso.

In questo cammino Gesù Cristo si è impegnato per noi.

Con il sangue sparso sulla croce egli ha stabilito un'alleanza che non può venire meno. Nello stesso tempo ci ha tracciato con la via della croce la pista da percorrere nel deserto della vita. È questa l'unica via di risurrezione.

La Liturgia della Parola di oggi, II domenica di Quaresima, mantiene nello sfondo il medesimo orizzonte generale di riferimento, e approfondisce il discorso sulla nostra condizione esistenziale di pellegrini nel deserto della vita.

La 1 Lettura narra l'episodio della vocazione di Abramo: il paradigma di ogni vocazione per le tre grandi religioni monoteiste (ebraica, cristiana, musulmana). Un noto filosofo del secolo scorso, Soeren Kinkegaard, aveva visto giusto: la vocazione di Abramo è un po' il geroglifico, o la sigla, dell'esistenza di ciascuno di noi.

All'inizio c'è la misteriosa chiamata di Dio. È una chiamata contrassegnata da un imperativo esigente: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò".

Ancora all'inizio, la promessa di Dio, la benedizione; ma poi la prova, il cammino nel deserto, la via della croce, e la responsabilità continuamente tentata del credente.

Questa è anche la nostra quaresima e la nostra vita.

A volte sembra di sperimentare angosciosamente l'assenza di Dio. Il mistero del male, della sofferenza, del dolore, della cattiveria, non può non inquietarci e suscitare interrogativi. E tuttavia, al di là di tutto questo, ogni giorno, nel cammino della vita, il credente è invitato a mettere questo Dio, che pure non vede - ecco, è questo il paradosso - al primo posto, come unica indispensabile condizione di salvezza.

Tutto, assolutamente tutto, deve passare in seconda linea rispetto a questa certezza fondamentale: Dio mi ama.

La prova, la tentazione radicale del credente consiste nel mettere Dio al secondo posto, cioè nel sostituire la creatura al Creatore.

La fede è esigente: chiede che tu consegni te stesso fin nelle fibre più intime, per dichiarare il tuo assenso e la tua ubbidienza senza ombre di sorta all'unico Dio.

La tentazione resta sempre quella di erigere idoli al posto di Dio. Ed è assai sottile. A volte persino un valore, una persona cara, una persona che pare utile o persino essenziale, può offuscare la centralità di Dio, l'Unico assoluto e necessario.

Siamo tutti invitati ad esaminarci, da questo punto di vista: che cosa può compromettere la centralità di Dio nella mia vita? Sono pronto ad accettare da Dio la prova, la privazione, il distacco, per essere totalmente suo, a Lui disponibile?

Il nostro amato Cardinale Javierre ha compiuto un cammino di vita che lo ha portato dall'accettazione gioiosa della vocazione salesiana e sacerdotale fino all'accettazione obbediente della sua morte.

Tutto riconosceva come dono di Dio: la sua vita come la sua intelligenza: "Lo que soy es tuyo!". Ma di suo non possedeva nulla, se non i suoi libri "Los libros fueron mi pasión!". Con la sua intelligenza e i suoi libri egli fece cose meravigliose e divenne maestro di teologia e di vita. Anche se nella sua umiltà si paragona a una scopa nelle mani di Dio: "Te complace pintar miniaturas maravillosas con una escoba; hacer estatuas portentosas con material deleznable".

Ma poi venne la prova cruciale: la malattia ai reni con l'obbligo della dialisi: si sentì ferito nella sua libertà d'azione e mutilato nella qualità della vita, dovendo rinunciare in buona parte alle relazioni sociali, e ridurre notevolmente l'esercizio dell'attività intellettuale e persino spirituale (annota nel suo diario). Ma accetta la prova: "Anche se dolorosa - scrive - te la impone Colui che ti vuole bene; meglio di te stesso". E poi si rincuora: "Torna a baciare la croce: un bacio di riconoscenza a Lui, il Crocifisso morto per te, e un altro bacio dietro alla croce vuota che è quella riservata a te, per partecipare nel suo stesso sacrificio per la vita del mondo".

E infine: l'accettazione della morte, solo con la domanda accorata di una buona morte: "Quisiera que mi última acción terrena fuera la Eucaristia... Una morte gozosa, discreta, humilde, modesta... ni dolorosa que no soy capaz de soportar - ni gloriosa... un dormirme a la vera del Padre - Per ipsum et cum ipso et in ipso est tibi Deo Padri onnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria".

Il Vangelo ci narra la trasfigurazione di Cristo. Così Pietro e gli Apostoli diventano testimoni di speranza. È la profezia della nostra trasfigurazione.

Intanto la nostra personale trasfigurazione comincia qui in terra (o è già cominciata): attraverso l'ascesi personale, il lavorio interiore, il proposito/progetto: "Dio guarda più a ciò che vogliamo essere che a ciò che siamo stati" (S. Francesco di Sales). È un problema di imitazione-rassomiglianza.

Ecco tracciata la via della luce: siate luminosi, trasparenti, il riflesso della luce di Dio; il tempio di Dio, come i Santi, come Giuseppe e come Maria, ultimo lembo azzurro della speranza, anche sotto la croce, sicuro presagio della Pasqua.

Così il Cardinale Javierre ci insegna a vivere e a morire: uniti nell'Eucaristia che è la cifra di interpretazione di tutta la nostra vita: ringraziamento - obbedienza - sacramento di salvezza. Nell'Eucaristia ogni singolo è convocato, è chiamato per nome a questa gioia della famiglia di Dio, ognuno ha un posto nella casa di Dio che è la Chiesa. E la Chiesa proclama ogni giorno la grandezza di ogni uomo, per il quale Cristo è morto e risorto.

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