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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
PER UN GRUPPO DI PELLEGRINI DELLA FEDERPENSIONATI
DELLA COLDIRETTI LOMBARDA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Altare della Cattedra della Basilica Vaticana
Giovedì, 8 marzo 2007

 

Le immagini usate dal Profeta Geremia sono senz'altro familiari ai coltivatori della terra. "Un albero, piantato lungo l'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell'anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti". È questo il paragone che fa con la sorte dell'uomo che confida nel Signore e che pone in Lui la sua fiducia.

Nel mondo la fiducia spesso viene riposta nel denaro, ed è proprio a questo proposito che la liturgia propone di riflettere sulla parabola di Lazzaro e del ricco epulone.

La parola che vince la classifica dei discorsi quotidiani della gente è quella dei soldi: o perché ne ha troppi o perché ne ha pochi o perché non ne ha. Neppure Gesù elude l'argomento; oggi mette in guardia dai rischi di chi cede alle lusinghe del dio-denaro. E lo fa attraverso una parabola diversa dalle altre, che potrebbe essere definita la "rivincita dei poveri". È il racconto del gaudente, senza nome, e del mendicante, di nome Lazzaro.

Si è soliti dividere la parabola in due tempi: la scena del ricco epulone e del mendicante Lazzaro "prima" della morte e "dopo". Con il rovesciamento totale dei ruoli. Ma in realtà i nuclei del racconto sono tre, tesi a mettere in risalto i rischi gravissimi della schiavitù del dio-denaro.

Il primo: la ricchezza spegne la vita dei poveri.

L'evangelista Luca descrive la figura del ricco: colori sgargianti come la porpora e il bisso di un monarca orientale, chiuso nel suo mondo dorato; sfoggio di feste e tavole imbandite a dispetto della miseria del mondo. Un uomo senza nome. Invece il povero Lazzaro: "Giaceva alla sua porta, coperto di piaghe" (v. 20); un verbo per dire la drammatica sorte di tutti i disgraziati del mondo. "Alla porta", per non turbare la vista dei ricchi. Il povero accattone di briciole ha una sola dignità: il nome. Ma il contrasto è crudo; i due mondi sono distinti; nessuno guarda l'altro. La ricchezza scava il primo abisso della vita: quello tra ricchi e poveri.

Ma c'è un secondo rischio: la ricchezza spegne la vita dei ricchi.

L'ora dei conti è la morte, come soglia di un mondo che sta "oltre". Lazzaro è "portato" in alto dagli angeli nel seno di Abramo. Finalmente il povero entra nella gioiosa comunione del banchetto messianico, il ricco invece "fu sepolto... nell'inferno tra i tormenti" (Luca 16, 22.23).

Al desiderio frustrato dei poveri durante la vita, corrisponde il desiderio drammaticamente negato ai ricchi di accedere al banchetto messianico: "Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione" (Luca 6, 24).

E c'è infine un terzo rischio serio: la ricchezza spegne la fede dei ricchi.

Il disgraziato epulone dall'abisso della sua infelicità lancia un grido disperato: che almeno i fratelli siano ammoniti perché non sprofondino nella stessa sorte. Ma la lezione di Gesù è chiara e terribile. Non serve a loro la parola di un morto per cambiar vita. Per credere e convertirsi è sufficiente la parola dei profeti, la parola di Dio. Del resto Gesù l'ha sperimentato più volte: quanta durezza di cuore e quanta ottusità, persino davanti ai miracoli.

L'attaccamento tentacolare alla ricchezza, si sa, rende ottusa la coscienza. Sotto il potere del dio-danaro si consumano drammatiche divisioni familiari, si calpestano gli affetti più cari, i valori più veri. Il primo a farne le spese è Dio.

Ma c'è un valore che può salvare la vita dei poveri e, insieme, quella dei ricchi: la solidarietà che sboccia da una vita sobria e genera una vita sobria.

Una volta si accoglievano generosamente e incondizionatamente i poveri che bussavano alle nostre porte e si spezzava con loro il pane e il companatico. Questa tradizione era forte e consolidata soprattutto nel mondo contadino. Io, che vengo da una famiglia contadina, ricordo che la nostra mamma, la domenica, nonostante avesse già 14 bocche da sfamare, ci mandava dalla vicina Maria la Veneta, madre di ben 10 figli, a portare una bella confezione di cibo da condividere (come racconta il Manzoni, a proposito del sarto, nei Promessi Sposi).

La solidarietà nel cuore del cristiano ha sempre trovato mille rivoli nei quali esprimersi. I carismi sociali di tanti fondatori di ordini religiosi tra il XVIII e il XIX secolo, hanno dato vita ad ospedali, scuole, opere caritative. Tutte esperienze a movente ideale e spirituale, certamente, ma che hanno arricchito e in certi casi determinato lo sviluppo economico e sociale dei nostri paesi. Potremmo anche citate il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, sviluppatesi anche nel nostro tempo, che si fanno carico di una molteplicità di servizi. Benedetto XVI esorta soprattutto i giovani a praticare questa forma di solidarietà nel volontariato: "Tale impegno diffuso - dice il Papa -costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi. All'anti-cultura della morte, che si esprime per esempio nella droga, si contrappone così l'amore che non cerca se stesso, ma che, proprio nella disponibilità a "perdere se stesso" per l'altro (cfr Lc 17, 33 e par.), si rivela come cultura della vita" (Let. Enc. Deus caritas est, n. 30).

Al termine di questa riflessione, pieni di quella fiducia che vive e opera in colui che confida nel Signore - come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale - rivolgiamo a lui la nostra preghiera per i frutti della terra da condividere:

Dio onnipotente, che hai benedetto la terra
affinché sia fruttifera e produca ciò che è necessario per la vita dell'uomo,
e che ci hai comandato di lavorare con quiete mangiando il nostro proprio pane;
benedici il lavoro dell'agricoltore,
e concedici un tempo propizio
per raccogliere i frutti della terra
e goderne sempre, per la tua bontà
e a gloria del tuo Nome.

Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

 

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