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SANTA MESSA IN PREPARAZIONE ALLA SOLENNITÀ DI PASQUA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO

Chiesa di San Gregorio Nazianzieno in Roma, presso la Camera dei Deputati
Mercoledì 28 marzo 2007

 

Fratelli e sorelle,

vorrei esprimere, anzitutto, la mia gioia nel condividere con voi questo particolare momento di preghiera in preparazione alla Pasqua. Il mistero della passione e risurrezione del Signore costituisce il centro della nostra fede; esso si presenta, infatti, come il culmine a cui giunge l'evento dell'incarnazione del Figlio di Dio. Dall'Annunciazione del Signore, al Natale, alla morte redentrice questo sviluppo di una vita donata trova la sua piena esplicitazione nella festa di Pasqua. Siamo sempre dinanzi all'unità del mistero della nostra salvezza:  Dio si fa uomo per amore, e in forza di questo giunge fino alla morte come segno estremo di dove può arrivare  il  suo amore  per  noi. Lo  ha  ricordato  Papa  Benedetto XVI quando nella sua prima Enciclica Deus caritas est ha scritto:  "La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Gesù Cristo... Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore questo nella sua forma più radicale" (n. 12).

Le letture che abbiamo ascoltato hanno in comune il tema della fedeltà alla verità che tutti i credenti sono chiamati a rendere visibile con coerenza nella loro vita quotidiana. Il libro del profeta Daniele riprende un fatto conosciuto. I tre giovani portati come schiavi a Babilonia (siamo nell'attuale Iraq!) dopo la distruzione di Gerusalemme si rifiutano di obbedire alla legge del re Nabucodonosor che li obbligava all'apostasia. La forza della fede di questi tre giovani non retrocede neppure dinanzi alla prospettiva del martirio:  "Noi non serviremo mai i tuoi dei e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto". Tra la fede nel vero Dio e la richiesta di adorare statue scolpite da mano d'uomo, non si pone per loro neppure il dubbio dell'alternativa. La loro fede si mostra subito forte, solida, fondata sulla certezza della verità che non si lascia intimorire dalla paura della morte. A nessuno di noi sfugge il fatto che Sadràch, Mesàch e Abdenego sono tre giovani! Per paradossale che possa apparire, la potenza e la gloria del re Nabucodonosor viene oscurata dal coraggio di tre adolescenti. Nessuno si aspetterebbe una presa di posizione così radicale da parte loro e, invece, diventano icona di una fede che non dà spazio a compromessi né ad apostasie di sorta. Questo esempio ci potrebbe apparire lontano, d'altri tempi e troppo radicale per il mondo di oggi, mentre, al contrario, possiede una sua attualità profonda. La fede rimane sempre come una scelta libera, perché ci pone dinanzi alla verità profonda sulla nostra vita. Una simile scelta non può accontentarsi di sotterfugi, di piccoli giochi al ribasso o di furbi compromessi; essa richiede la forza della verità che sa sostenere le argomentazioni e il coraggio di subirne le conseguenze fino al dono della vita.

Lo stesso insegnamento proviene dal Vangelo di oggi:  "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". La nostra pretesa di possedere la verità prodotta solo da noi impedisce spesso di comprendere l'esistenza di un'altra verità che, invece, viene offerta:  quella che proviene dalla rivelazione di Gesù Cristo. Questa non è in contraddizione con le giuste aspirazioni che sono dentro di noi, ma le porta a compimento, aggiungendo una verità che l'uomo non potrebbe mai produrre da sé. Solo questa verità, che tocca in profondità la vita di ognuno - senza distinzione alcuna ma con una valenza universale sconfinata - riesce a dare risposta alla domanda di senso che abita nel cuore di ogni persona. È per questo che Gesù può dire:  "Se il Figlio vi farà liberi sarete liberi davvero". L'unità tra verità e libertà è uno dei contributi originali che il Cristianesimo ha portato allo sviluppo del pensiero come forma di progresso. La verità non sarebbe forse utopia che illude, se impedisse di sviluppare al meglio le profonde inclinazioni che sono in noi? E la libertà, come potrebbe essere chiamata tale se il nostro agire e il giudizio delle scelte provenisse solo da un egoistico desiderio individuale privo della responsabilità per gli altri? Se la libertà non fosse sostenuta dalla verità e dalla carità non sarebbe piuttosto libertinaggio?

Della verità abbiamo un bisogno vitale, irrinunciabile e, soprattutto oggi, non procrastinabile. I frammenti di verità possono accontentare per un istante, ma non riescono a dare consistenza alla vita. Senza la presenza della verità saremmo sempre sottomessi all'illusionismo di chi vende meglio, ma non per questo saremmo più liberi. Nessuno di noi si nasconde che la pressione di nuove schiavitù è sempre all'erta; cambia con il cambiare dei tempi e noi dobbiamo essere vigili per percepirne il pericolo e denunciarne i danni. Tutto questo, comunque, diventa possibile, se manteniamo la mente aperta alla verità che può essere offuscata per un attimo, ma non negata; essa permane con la sua nota di limpidezza che nessuno può sbiadire. I cristiani hanno una responsabilità particolare da questa prospettiva. Il vangelo che abbiamo ascoltato ci ricorda che dobbiamo rendere visibili le opere della nostra fede. Se così non fosse, le parole di Gesù risuonerebbero ancora oggi cariche di rimprovero:  "Se il sale perdesse il sapore a null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini" (Mt 5, 13). In altre parole, senza la testimonianza alla verità di Gesù Cristo avremmo poco di originale da dire al mondo e la nostra stessa presenza diventerebbe, alla fine, inutile. Tornano con forza, a questo proposito le parole di s. Agostino quando a commento di questo brano del vangelo di Giovanni scriveva:  "Ti sembra una cosa da poco la fede dei credenti, perché non hai la bilancia per pesarla, ma ascolta dove conduce e saprai misurarne il valore" (In Joh. 40, 8).

Il mistero di Pasqua ci rivela la verità profonda di cui l'uomo ha bisogno:  la morte è vinta e con essa la nostra distruzione e dissoluzione. Siamo chiamati tutti a una vita nuova che fin d'ora fa sentire la sua efficacia ed è resa visibile dalla nostra testimonianza. Dobbiamo essere riconosciuti, quindi, come testimoni della risurrezione del Signore. Questa è la vera sfida che dobbiamo cogliere e di cui è necessario mostrarne i segni evidenti. Se Cristo è risorto, allora la vita cambia e il mondo deve poter cogliere questa trasformazione. Pasqua indica proprio questo:  c'è un nuovo ordine, "cieli nuovi e terra nuova", frutto dell'amore di Dio per noi. L'annuncio che facciamo della risurrezione di Cristo, pertanto, deve essere accompagnato dai segni che ne attestano la verità profonda. Se noi che crediamo veniamo trasformati in una nuova creatura e, come insegna l'Apostolo Paolo "camminiamo in una vita nuova" (Rm 6, 4), allora il nostro impegno nel mondo non può che tendere alla trasformazione stessa del creato per imprimere anche in esso i segni della risurrezione e della vita.

L'Eucaristia che celebriamo non fa che ribadire questo unico mistero di radicale novità che la risurrezione di Gesù ha portato; essa si protrae nel corso dei secoli senza mai venir meno. Nella sua Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, Papa Benedetto XVI lo ricorda con forza quando scrive:  "La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di "fissione nucleare", per usare un'immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell'essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti" (n. 11). È in questo senso che tutti noi siamo chiamati alla "coerenza eucaristica" di cui parla lo stesso documento (cfr n. 83).

La nostra presenza nel mondo - anche per quanti hanno il compito della rappresentanza politica - non potrà mai essere ridotta a un mero fatto privato, perché ciò che crediamo non è da nascondere, ma, invece, da partecipare. I valori che appartengono alla fede non sono estranei a quelli che la natura conserva e la ragione raggiunge; sono condivisibili con tutti.

Igino Giordani, deputato al tempo di De Gasperi, costituente, ora Servo di Dio - nel suo saggio "Le due città", scriveva:  "Ora, la Chiesa che compie questa missione di vita contro la morte, non sta solo in chiesa (quella fatta di mura) né in canonica, né in convento, sta anche in casa e per istrada, nell'officina e nei campi, persino in banca e in parlamento... È la storia, è la vita che s'incarica di dar ragione all'universalità cristiana, la quale lotta, tra vessazioni e incomprensioni, da secoli, per abbattere i settori, onde è frantumata l'unica famiglia" (Ed. Città Nuova, Roma 1961, p. 490-491).

Giuseppe Tovini (1841-1897), avvocato e banchiere, padre di dieci figli, recentemente beatificato da Giovanni Paolo II, preoccupato della difesa della fede, ebbe ad affermare durante un congresso:  "i nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri".

Chiediamo alla Vergine Maria, che in questi giorni vedremo accanto alla croce di Gesù e, insieme, testimone della sua risurrezione, di sostenere la nostra fede e di accompagnare con il suo aiuto e protezione la nostra testimonianza nel mondo.

 

 

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