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INTERVENTO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE
DURANTE I LAVORI DELLA XIII SESSIONE PLENARIA
DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI

Casina Pio IV, Vaticano
Lunedì, 30 aprile 2007

 

Premessa

Ringrazio sentitamente la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali per l'invito rivoltomi a partecipare all'Assemblea Plenaria, riservandomi l'opportunità di proporre una breve riflessione sul tema International justice and international governance in the context of the crisis of multilateralism. Tematica piuttosto complessa, che cercherò di svolgere approfondendo soprattutto il concetto di governance. Tale approfondimento, oltre a venire incontro all'esigenza di delineare meglio il profilo di tale concetto a partire dalla dottrina sociale della Chiesa, risulta essere assai utile e necessario per individuare le strade per affrontare adeguatamente i problemi connessi alla promozione della giustizia internazionale e quelli più specifici legati alle attuali difficoltà - non parlerei di crisi - in cui si dibatte il multilateralismo.

La visione debole della Governance internazionale

Nelle scienze politiche e sociali, come anche nella prassi delle relazioni internazionali, oggi si parla molto di governance, soprattutto per indicare qualcosa di diverso dal governo (Government). Non è sempre chiaro, però, se si intenda qualcosa di meglio o di peggio. I motivi di questo largo utilizzo del concetto di governance ritengo siano soprattutto la complessità sociale e la globalizzazione. Referendosi il governo soprattutto all'ambito dello Stato, la complessità sociale spiega l'esigenza della governance a livello infra-statale, mentre la globalizzazione ne spiega l'utilizzo a livello sovra-statale. Complessità sociale significa che i sistemi sociali di oggi sono articolati in sottosistemi aventi spesso codici e linguaggi diversi e quindi non sono più governabili da un centro. Sono entrate in crisi, per questo motivo, le categorie moderne della pianificazione, dell'organizzazione e della programmazione centralistica. Globalizzazione significa interconnessione tra i vari sistemi - economico, giuridico, fiscale, finanziario, sociale - oltre i confini degli Stati e delle Nazioni in modo che risulta impossibile delimitare con precisione i campi di intervento e dividere in modo netto le competenze. I due processi - di articolazione sociale infra-statale e di articolazione globale sovra-statale - hanno messo in crisi l'idea di "sovranità" cui era legato il concetto stesso di governo. Si può avere così l'impressione che la governance nasca da una crisi di governabilità e sia espressione di una deficienza, come se fosse un "di meno" di governabilità o si riduca alla governabilità "possibile" data la situazione di complessità. Questo è un concetto debole di governance, vista come un navigare a vista, un galleggiare su una situazione confusa, nella impossibilità di dare vita ad un governo mondiale.

Uno degli aspetti principali di questa accezione debole di governance è il suo prevalente uso in senso tecnico, lasciando da parte le dimensioni etiche ed antropologiche. La complessità e la globalizzazione a prima vista fanno risaltare la diversità e perfino l'eterogeneità, soprattutto nei sistemi etici di riferimento e, quindi, alimenta una certa visione relativistica delle relazioni tra persone, tra popoli e tra Stati. La tendenza a ridurre quindi l'ambito della governance ai soli aspetti tecnici o procedurali è forte. Capita così che la governance internazionale sia intesa colo come una fitta rete di contatti tra Cancellerie, che la governance dell'uso delle risorse e dello sfruttamento dell'ambiente sia in fondo null'altro che un problema di protocolli internazionali, che la governance del commercio internazionale sia un abile bilanciamento di dazi e tariffe. Nella realtà si è visto che spesso le Cancellerie non sanno evitare le guerre, che i protocolli sull'ambiente vengono concordati con grande fatica e che gli accordi tariffari conoscono fasi prolungate di stagnazione. Non posso non far mia la grave preoccupazione espressa dal Santo Padre Benedetto XVI circa il fatto che nemmeno davanti alla governance delle "emergenze umanitarie" di oggi, molti Stati non facciano quanto è in loro potere fare (1).

Multilateralismo e unilateralismo nella Governance debole

Quella ora prospettata è una concezione di governance piuttosto debole, nella quale hanno modo di inserirsi alcune disfunzioni nei rapporti internazionali che in questi anni tutti noi abbiamo potuto sperimentare. Il dibattito sul multilateralismo e sull'unilateralismo ne è un esempio. Alcuni limiti degli Organismi internazionali ne è un altro, peraltro connesso con il precedente. Il multilateralismo non può, evidentemente, essere un dato solo quantitativo. Un intervento militare internazionale non è maggiormente giustificato dal fatto di essere stato intrapreso da più Stati anziché da uno solo. Ciò che eventualmente lo può giustificare - oltre a rispondere alle richieste dell'etica internazionale e del diritto umanitario a tutti ben note, come la legittima difesa da un attacco e la proporzionalità dell'uso della forza - è la sua legittimità internazionale, ossia il fatto che sia stato deciso non solo multilateralmente, vale a dire da più Stati, ma soprattutto ed essenzialmente dai legittimi organismi internazionali (2). Questa esigenza rimanda al problema non solo e non tanto dell'ingegneria organizzativa degli Organismi internazionali, in primo luogo dell'ONU, ma, ancor di più e in primo luogo, rimanda alla loro autorevolezza morale di fronte alla famiglia umana. Ora, in un contesto di governance debole, quale abbiamo cercato di descrivere più sopra, è a rischio l'autorevolezza degli Organismi internazionali e si aprono molte eventualità di interventi multilaterali variabili. Per lo stesso motivo, l'unilateralismo diventa una tentazione, soprattutto se il sistema di governance non riesce ad affrontare seriamente, dapprima sul piano teorico e poi su quello delle strategie pratiche, i problemi creati dai nuovi volti che purtroppo la guerra - anche a causa del terrorismo - ha assunto in questi ultimi anni.

La debolezza dell'attuale sistema di governance internazionale emerge anche nel riscontrare che raramente le nazioni e gli Stati sono stati in grado di attuare interventi di tipo umanitario e al cosiddetto "dovere di ingerenza umanitaria", proposto anni or sono da Giovanni Paolo II, non è stato dedicato il necessario approfondimento etico, giuridico e politico. La Chiesa lo ha spesso riproposto nei consessi internazionali e ultimamente il Cardinale Angelo Sodano, mio predecessore come Segretario di Stato, lo ha definito come il "dovere di proteggere" (3). Attualmente il dibattito su multilaterialismo e unilaterialismo è incentrato sul legittimo dovere di "proteggersi", anche di fronte ai nuovi scenari, per molti versi molto preoccupanti, dei conflitti internazionali cosiddetti asimmetrici. Poco si è fatto, però, per capire meglio i contorni del dovere di "proteggere" chi non sa proteggersi. Basta scorrere i Discorsi al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede tenuti da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI in questi ultimi anni per rendersi conto delle attese della Chiesa in questo campo.

L'autorevolezza degli Organismi internazionali

La situazione di governance debole che abbiamo descritto è causa e nello stesso tempo conseguenza di una certa incertezza sulla capacità degli Organismi internazionali di porsi alla guida della governance stessa. Questo argomento è assai complesso e la Chiesa non intende entrare nelle specifiche questioni di bilanciamento tra i poteri e di riforma dell'assetto istituzionale di tali Organismi. Mi preme da un lato fornire una assicurazione e, dall'altro, segnalare delle raccomandazioni.

L'assicurazione riguarda il grande interesse della Chiesa cattolica verso gli Organismi internazionali e la grande considerazione che essa coltiva circa il loro ruolo nel mondo. Essi rappresentano una via privilegiata di incontro tra le nazioni e i popoli, di dialogo e di intesa. Fin dai tempi della Populorum progressio (4) - della quale ricorre quest'anno il 40° anniversario - i Sommi Pontefici hanno più volte manifestato questi sentimenti e l'attività diplomatica della Santa Sede presso questi Organismi lo ha sempre dimostrato assieme, naturalmente, all'altro compito proprio della Chiesa che consiste nel "levare la voce in difesa dell'uomo" (5). Di recente, nel 60° anniversario della fondazione dell'Onu, Benedetto XVI ha voluto di nuovo rimarcare tale "fiducia" (6).

Quanto alle raccomandazioni, o per meglio dire auspici, il primo è che questi Organismi non perdano di vista, anche nelle necessarie ristrutturazioni istituzionali, la loro originaria ragione d'essere e le loro finalità ultime. Essi sono a servizio dell'uomo, di tutti gli uomini. Essi sono a servizio della famiglia dei popoli per contribuire al "bene comune universale". Per poter svolgere pienamente questa loro missione, gli Organismi internazionali non devono perdere la certezza che i diritti e doveri dell'uomo e i grandi valori della dignità della persona, della giustizia e della pace, sono radicati in un ordine delle cose e non dipendono da un voto assembleare. Se gli Organismi internazionali perdono o anche allentano lungo il tempo questa convinzione, irrimediabilmente ridurranno anche la loro autorevolezza. Una governance non debole ma intensiva ha bisogno che all'interno degli Organismi internazionali, sia a carattere continentale come per esempio l'Unione Europea, o a carattere mondiale come l'Organizzazione delle Nazioni Unite e le sue molteplici Agenzie, venga coltivata con forza la convinzione della indisponibilità dei diritti e doveri della persona, ossia la convinzione della sua trascendente dignità. La trascendenza è, appunto, la garanzia della indisponibilità. Lo ha solennemente affermato Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2007: "È importante che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell'uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica. Se ciò accadesse gli Organismi internazionali risulterebbero carenti dell'autorevolezza necessaria [...]" (7). Fa obbligo constatare che talvolta gli Organismi internazionali si fanno portatori di una ideologia radicale di tipo materialistico in settori molto importanti quali la procreazione, la famiglia e la tutela della vita. La Chiesa ha più volte indicato le proprie perplessità sulla ideologia soggiacente, per esempio, alle nozioni di "salute riproduttiva" e di "diritti riproduttivi" fatte proprie dalle Agenzie internazionali e che comportano spesso politiche contrarie al rispetto della vita.

Una seconda raccomandazione, o auspicio, è che si riesca a far lavorare sempre di più gli Organismi internazionali in una rete sussidiaria con altri attori: dagli Stati e i governi alle molteplici realtà locali, dalle Organizzazioni non governative ai molteplici soggetti della società civile mondiale per creare, come affermava la Populorum progressio una "collaborazione internazionale a vocazione mondiale" (8). A questo proposito, però, occorre anche dire che se ci sono dei ritardi nella capacità collaborativa - e ci sono - la responsabilità va equamente condivisa tra tutti gli attori attualmente o potenzialmente implicati. Tutti, e non solo gli Organismi internazionali o gli Stati, devono far crescere una maggiore disponibilità alla collaborazione internazionale. Lamentavo più sopra che non mi sembra sia stato adeguatamente approfondito il concetto di "dovere di ingerenza umanitaria". Ecco un caso in cui la responsabilità non è solo degli Organismi internazionali o degli Stati, ma anche delle realtà della società civile, dei governi dei paesi maggiormente bisognosi di aiuto e delle stesse Chiese locali. Una nuova governance a carattere non debole ma intensivo ha bisogno dell'apporto di tutti.

Gli Stati continuano ad avere un ruolo centrale nella governance globale. Vorrei evitare qui un possibile equivoco. All'inizio ho affermato che il piano del "governo" è soprattutto il piano dello Stato. Ma questo non significa - anzi! - che lo Stato non abbia un ruolo molto importante nella governance. Certo, è sempre meno possibile trasferire automaticamente la logica del governo nei settori internazionali che invece richiedono una governance. Ma proprio per questo gli Stati, senza rinunciare a governare, sono sempre più invitati a concertare insieme non solo agli altri Stati ma anche, come ho più volte detto, con altri soggetti ed attori non statali. Un compito di coordinamento per la governance, al di sotto e al di sopra del livello statale. Gli ambiti legati alla promozione della giustizia internazionale, alle emergenze umanitarie e allo sviluppo sono, per esempio, luoghi privilegiati affinché gli Stati mettano in atto questa capacità di coordinamento per la governance.

Una Governance a carattere intensivo

In questi ultimi anni, come ho già ricordato, soprattutto dopo i tragici fatti dell'11 settembre 2001 e quanto ne è seguito, i Sommi Pontefici hanno dato delle importanti indicazioni per passare da una governance debole della vita internazionale ad una a carattere maggiormente intensivo. Mi soffermerò in questa occasione a sottolinearne solo tre.

Facevo notare che la Governance debole si fonda su una visione relativistica delle culture per cui l'apertura seguita alla globalizzazione ha prodotto scollamento nelle relazioni internazionali ed è esplosa una specie di incommensurabilità tra i criteri di giudizio. Il codice di comunicazione internazionale ne ha risentito. Nell'epoca del colonialismo o in quella della guerra fredda i codici comunicativi erano - ancorché sbagliati - chiari. Ma dopo, e soprattutto dopo l'11 settembre 2001, essi sono diventati confusi. Da un lato una concezione debole e relativistica di democrazia, dall'altro l'impegno ad esportarla; qui una guerra intesa in senso convenzionale, là una guerra senza dichiarazioni formali e senza preavvisi, una guerra diffusa e impalpabile; popoli che non sanno bene se sono sfruttati da agenti sopranazionali o dalle proprie oligarchie; integralismi della ragione tecnologica da un lato e integralismi religiosi dall'altro. Per affrontare questa problematica, bisogna ricostruire un codice comune e per farlo occorre cominciare a vedere, oltre le diversità, quanto ci accomuna. La governance debole si fonda maggiormente sulla percezione delle diversità. Se non è più possibile un governo, ma si richiede una governance, è - così almeno si crede e si dice - perché prevale la frammentazione e il mosaico piuttosto che l'uniformità. Solo che questa frammentazione sta impedendo alla comunità internazionale di capirsi. Ecco perché ritengo che in questa fase storica sia maggiormente importante puntare sul riconoscimento di quanto ci accomuna. Interpreto in questo modo l'insistenza, diventata ormai addirittura pressante in questi ultimi anni, con cui i Sommi Pontefici sottolineano la forza della legge naturale affinché essa ritorni ad essere il punto di riferimento per un'etica di base condivisa e per un codice comunicativo non formale.

Mi sembra questo anche il motivo per cui - e così siamo al secondo punto che vorrei toccare - gli insegnamenti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI insistano sulla verità nelle relazioni internazionali. Il Santo Padre Benedetto XVI ha dedicato il suo primo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2006 (9) al tema della verità. Io stesso ho avuto modo di sottolineare che la "concertazione" tra gli Stati ha lo scopo di "contribuire ad una società in cui ogni persona ed ogni famiglia abbia il suo posto e possa vivere serenamente, dando il proprio contributo al bene comune" (10). Con la parola "concertazione" intendevo un dialogo profondo e rispettoso, verace nel senso di andare al cuore delle persone e dei popoli, realistico e capace di mantenere gli impegni presi. La verità nella concertazione internazionale richiede che gli Stati, nel dialogare o anche nel disputare tra loro, abbiano sempre davanti i popoli che essi rappresentano e l'intera comunità mondiale, in quanto la loro dignità morale consiste proprio in questo (11). Gli Organismi internazionali e le organizzazioni della società civile internazionale possono aiutare gli Stati a maturare sempre di più questa consapevolezza, ma non possono sostituirsi ad essi in quanto spetta a loro fare. Si noti che questo tema della verità è strettamente legato con il precedente tema della riscoperta di quanto è comune ed anche con quello del riferimento alla legge naturale. Ha detto infatti Benedetto XVI: "Questa medesima ricerca della verità vi porta al contempo ad affermare con forza ciò che vi è di comune, di appartenente alla medesima natura delle persone, di ogni popolo e di ogni cultura, e che deve essere parimenti rispettato" (12).

La terza sottolineatura è una estensione di questo stesso tema della verità e la faccio tenendo conto del luogo in cui mi trovo. Dovendo io parlare alla Pontificia Accademia delle Scienze sociali non posso non osservare che si nota oggi un gran bisogno di un coordinamento dei saperi che riguardano la vita internazionale. Molte scienze sociali se ne occupano ed è bene che sia così. Non sarebbe possibile, contrariamente, inquadrare teoricamente le immani problematiche che ci attendono. Le scienze sociali, tuttavia, chiedono un coordinamento e un orientamento epistemologico, in modo che tutte possano collaborare al bene dell'uomo. Il piano delle relazioni internazionali sente oggi in modo molto acuto questa necessità, proprio per non disperdere i saperi dentro una governance debole. Ritengo che la dottrina sociale della Chiesa, per come è stata proposta nel Compendio pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, possa dare un proprio significativo contributo a questo scopo in quanto, proprio per sua natura, essa ha un carattere orientativo della interdisciplinarietà (13).

Da una Governance tecnica ad una Governance etica

Nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2004, Giovanni Paolo II ha fatto due affermazioni - strettamente legate l'una con l'altra - che voglio qui richiamare. "L'umanità, - Egli ha scritto - di fronte ad una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento", e poi ha aggiunto: "Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stato freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale" (14). Queste due frasi mettono in relazione l'esigenza di darsi non semplicemente un nuovo ordinamento internazionale, ma di darsene uno di "superiore" e, nel contempo, di puntare su un rinnovato rilancio dell'etica nelle relazioni internazionali. L'auspicio fatto da Giovanni Paolo II per l'Onu non riguarda, evidentemente, solo questa Organizzazione ma tutti gli attori della società internazionale. Io credo che proprio questo sia il punto. Una governance debole, quale mi sembra essere quella di oggi, finisce per essere solo o prevalentemente tecnica. In questo modo, però, anche il ricorso alla guerra è facilitato, perché anche la guerra è, in fondo, l'idolatria della tecnica. Sia che essa venga svolta con sofisticate armi moderne sia che si utilizzino rudimentali strumenti per atti terroristici, dietro la guerra c'è senz'altro - accanto alle tante drammatiche sue cause - anche l'idea che un intervento "chirurgico" possa risolvere i problemi. Anche la guerra è espressione dello "spirito di tecnicità", che è una delle principali ideologie dei nostri giorni. Occorre passare da una governance debole che troppo spesso si affida alla guerra, in quanto non è capace di prevenire mediante lo sviluppo e la giustizia, ad una governance ad alta intensità etica che produca un ordine nel bene.

Libero è l'uomo che governa se stesso. Ma chi può dire veramente di governare se stesso? Chi si fa governare dalla verità e dal bene. "Farsi governare" sembra in opposizione con il "governarsi", sicché solitamente si ritiene che per governarsi ci si debba liberare completamente da ogni rotta da seguire. Quando però l'uomo arriva a questo punto, risulta più schiavo di prima. Libero da tutto e da tutti - anche dalla verità e dal bene -, egli è però (e perciò) schiavo di se stesso e disponibile a farsi ricattare pur di soddisfare i propri interessi. È così compromessa la sua libertà interiore (15), sacrificata ad una presunta totale libertà esteriore. Capita così anche per la comunità politica, compresa quella internazionale. Come il singolo individuo, anche il corpo sociale ha tentato più volte lungo la storia di governarsi senza farsi governare dalla verità e dal bene. Di governarsi, cioè, in modo assoluto, togliendo qualsiasi riferimento ad esso superiore e proclamandosi, rispetto a tutto e a tutti, legibus solutus. Il passaggio dal governo alla governance può essere così un passaggio salutare, se nella governance cogliamo tutti l'opportunità per governarci non già senza dover rispettare nulla al di fuori dei nostri interessi, bensì nel rispetto dell'autentico essere di ogni persona e di ogni popolo che non ci siamo dati, ma che abbiamo ricevuto come una vocazione.


Note

1) "Ma si chiede un accresciuto sforzo congiunto delle Diplomazie per individuare nella verità, e superare con coraggio e generosità, gli ostacoli che tuttora si frappongono a soluzioni efficaci e degne dell'uomo. E verità vuole che nessuno degli Stati prosperi si sottragga alle proprie responsabilità e al dovere di aiuto, attingendo con maggiore generosità alle proprie risorse. Sulla base di dati statistici disponibili si può affermare che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall'indigenza lo sterminato esercito dei poveri" (Benedetto XVI, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2006, in "L'Osservatore Romano" 9-10 gennaio 2006, p. 8).

2) Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 501, pp. 273-274.

3) Card. A. Sodano, Discorso alla Riunione Plenaria di Alto Livello delle Nazioni Unite, 16 settembre 2005, in L'Osservatore Romano" del 7 ottobre 2005, p. 7.

4) Cfr Populorum Progressio n. 78.

5) Benedetto XVI, Discorso ai Rappresentanti della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali, 18 marzo 2006, in "L'Osservatore Romano" 19 marzo 2006, p. 6.

6) Benedetto XVI, Nella verità la pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2006, in "L'Osservatore Romano" 14 dicembre 2005, p. 5.

7) Benedetto XVI, La persona umana cuore della pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2007, n. 13, in "L'Osservatore Romano" 13 dicembre 2006, p. 5.

8) Populorum progressio 78.

9) Benedetto XVI, Nella verità la pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2006 cit., pp. 4-5.

10) Card. Tarcisio Bertone, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 29 settembre 2006, in "L'Osservatore Romano", 30 settembre 2006, p. 7.

11) "Gli Stati devono essere al servizio della cultura autentica che appartiene in modo particolare alla Nazione, al servizio del bene comune, di tutti i cittadini e le associazioni, cercando di stabilire per tutti delle condizioni di vita favorevoli" (Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 1994, n. 4). Secondo Giovanni Paolo II gli Stati godono di una autorità finalizzata al bene della nazione, del popolo, della cultura e, contemporaneamente ad edificare la comune famiglia umana (Cf G. Crepaldi, Introduzione a Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Giovanni Paolo II e la famiglia dei popoli. Il Santo Padre al Corpo Diplomatico (1978-2002), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 11-15).

12) Benedetto XVI, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2006 cit., p. 7.

13) Cfr G. Crepaldi e Stefano Fontana, La dimensione interdisciplinare della Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2006.

14) Giovanni Paolo II, Un impegno sempre attuale: educare alla pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2004, n. 7, in Supplemento a "L'Osservatore Romano", 17 dicembre 2003, p. 3. Trattasi di due citazioni dalla Sollicitudo rei socialis, 43 e dal Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite del 5 ottobre 1995.

15) "La libertà interiore - ha detto Benedetto XVI - è, di fatto, la condizione per un'autentica crescita umana" (Messaggio ai Partecipanti alla XII Sessione Plenaria della Pontificia Accademia per le Scienze sociali, in "L'Osservatore Romano", 29 aprile 2006, p. 5).

     

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