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125ª ASSISE SUPREMA DEI CAVALIERI DI COLOMBO

INTERVENTO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

"Celebrando 125 anni di fede in azione:
dare testimonianza al ‘Sì’ di Gesù Cristo"

 

Anzitutto, permettetemi di esprimere ancora una volta sincera gratitudine al Supremo Cavaliere Carl A. Anderson e ai colleghi Cavalieri per l'invito a visitare Nashville in occasione di questa 125ª Assise suprema dei Cavalieri di Colombo. Sono onorato di avere l'opportunità di rivolgermi a voi tutti questa sera su un argomento caro a me, come anche a Sua Santità il Papa Benedetto XVI: "Fede in azione: dare testimonianza al ‘Sì’ di Gesù Cristo".

Questa sera intendo riflettere sull'importanza di questo ‘Sì’ per i fedeli laici e indicare alcune delle caratteristiche primarie della vocazione laicale all’interno della Chiesa e nella società in generale, individuando alcune sfide particolari che il laicato cattolico si trova ad affrontare oggi.

Sia nella sua attività di teologo sia ora nel ministero di Successore di Pietro, Sua Santità il Papa Benedetto XVI ha ripetutamente attirato l'attenzione sul ruolo specifico e insostituibile del laicato nel rinnovamento della missione della Chiesa nel mondo moderno. All'età di 78 anni, Papa Benedetto XVI ha detto ‘Sì’ ai fratelli Cardinali, alla Chiesa e allo Spirito Santo quando gli fu chiesto di accettare il Ministero petrino, dopo il lungo e straordinario pontificato del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II. La disponibilità del Santo Padre ad assumersi i compiti pastorali di Primo Pastore della Chiesa universale rende testimonianza dell'atteggiamento fondamentale richiesto ad ogni cristiano, sia egli Papa, Vescovo, sacerdote, consacrato o laico. È la disposizione esemplificata nell'umile e ferma risposta della Vergine al messaggero del Signore a Nazareth: "Fiat" – "Sì".

Il ‘Sì’ della fede in Gesù Cristo

In realtà, che cosa è essenzialmente questo ‘Sì’? In maniera più specifica, come deve viverlo una persona in quanto membro del laicato?

Riguardo alla prima domanda, questo ‘Sì’ è molto semplicemente il ‘Sì’ della fede. È la nostra accettazione piena, assoluta di Gesù quale Signore e la decisione di seguirlo come Capo e Maestro. Certamente, la parola ‘Sì’ acquista significato soltanto entro il contesto di un dialogo fra due persone: una che pronuncia il ‘Sì’ e l'altra che lo accetta. Nel caso della fede, la persona alla quale noi pronunciamo questo ‘Sì’ altri non è che il Figlio di Dio, l'Unto del Signore, la Parola Eterna fatta carne. Papa Benedetto ha sottolineato il critico bisogno per ciascuno di noi di incontrare Gesù; e cosa più importante: egli ci ha mostrato e continua a farlo – tanto con la parola quando con la vita – che il vero compimento, la vera gioia, e la vera pace duratura possono essere trovati soltanto dicendo ‘Sì’ al piano redentivo di Dio, rivelato nella persona di Gesù Cristo. Soltanto attraverso un’intima comunicazione con il Figlio di Dio incarnato noi scopriamo la grazia necessaria per "porre la nostra fede in azione".

Il vostro Fondatore Padre Michael McGivney fu profetico – in verità, ben in anticipo sul suo tempo – nel comprendere chiaramente che il totale e completo ‘Sì’ a Cristo non era per nulla esclusivamente riservato a quanti avevano ricevuto gli Ordini sacri o professato i voti religiosi. Al contrario, si tratta di un ‘Sì’ che viene richiesto ad ogni uomo e ad ogni donna.

Da giovane sacerdote nella chiesa di Santa Maria a New Haven, Padre McGivney avvertì con chiarezza la necessità del laicato di essere coinvolto pienamente nella vita della Chiesa esercitando le virtù, coltivando la preghiera e prendendosi cura degli altri. Egli apprezzava moltissimo le speciali caratteristiche della vocazione laicale, profondamente immersa nelle realtà della famiglia, della società civile e della vita pubblica. Si assunse come scopo quello di sviluppare modi pratici per far sì che la fede si manifestasse attraverso azioni concrete, in modo speciale provvedendo ai bisogni materiali degli orfani, delle vedove, dei carcerati, degli alcolisti, dei disoccupati e degli indigenti.

Tuttavia, è talvolta facile dimenticare che il convincimento di Padre McGivney era fondato su un’intuizione ancora più fondamentale, e cioè che la nostra preoccupazione per i bisognosi e la perseveranza nell'attività caritativa si sarebbero potute attenuare e ritrovare prive del loro significato più profondo se non fossero state radicate nella fede, intesa come inabitazione della Santissima Trinità nei nostri cuori mediante la grazia divina che ci permette di rinnovare ogni giorno in nostro ‘Sì’ alla persona di Gesù Cristo.

Fede e amore

Questo è precisamente il messaggio che Benedetto XVI ci ha trasmesso attraverso la Lettera Enciclica Deus caritas est. A chi gli ha chiesto il perché della sua prima enciclica dedicata alla carità ha risposto che il suo desiderio era quello di manifestare l’umanità della fede. Solo vivendo la vita di fede – cioè, solo se ci immergiamo profondamente nell'amore e nella misericordia di Dio rivelati in Gesù Cristo – siamo capaci di amare e perdonare il prossimo come noi stessi. Quando si tratta di vivere una simile fede in un mondo sempre più complesso e contraddittorio, nessuno meglio dei laici della Chiesa conosce gli ostacoli e le sfide che ci possono scoraggiare. Sia nella vita familiare che nell’ambito del lavoro o in pubblico, i laici sono continuamente tentati di compromettere il ‘Sì’ a Dio annacquando i valori del Vangelo e ponendo limiti o condizioni all'amore verso il prossimo.

Il Santo Padre, durante la Visita Pastorale in Brasile, ha sottolineato le sfide particolarissime poste dal mondo contemporaneo alla vocazione laicale. Notando come l'America sia "un continente di battezzati", ha affermato che "è tempo di colmare la notevole assenza, nell'ambito politico, nel mondo della comunicazione e nelle università, di voci e di iniziative di leader cattolici di forte personalità e di dedizione generosa, che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose". Il Papa ha insistito con forza sulla necessità per i cristiani impegnati in questi ambiti sociali e culturali, di operare per la salvaguardia dei valori etici. Soprattutto – diceva – “dove Dio è assente – Dio dal volto umano di Gesù Cristo – questi valori non si mostrano con tutta la loro forza, né si produce un consenso su di essi. Non voglio dire – sottolineava il Papa – che i non credenti non possono vivere una moralità elevata ed esemplare; dico solamente che una società nella quale Dio è assente non trova il consenso necessario sui valori morali e la forza di vivere secondo il modello di questi valori, anche contro i propri interessi” [1]. In breve, essere cattolici nel mondo oggi esige coraggio; e tuttavia non richiede coraggio maggiore di quando Gesù chiamò i primi discepoli in Galilea.

Il ruolo dei fedeli laici: il Concilio Vaticano II e Benedetto XVI

Il Santo Padre inserisce il suo insegnamento sul ruolo dei laici entro il contesto del Concilio Vaticano II, e lo intreccia in una linea ininterrotta con l'insegnamento di Papa Giovanni Paolo II. Il principio-guida è sempre lo stesso, e cioè "la chiamata universale alla santità" [2].

"È chiaro a tutti – ci insegnano i Padri conciliari – che ogni fedele di qualunque stato o grado è chiamato alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” [3]. Nella misura in cui si tratta di una chiamata alla santità, la chiamata allo stato laicale non è una "vocazione" da meno di quella al sacerdozio o alla vita religiosa. Ha la propria natura caratteristica, assolutamente essenziale al funzionamento sano e completo del Corpo di Cristo, la Chiesa [4]. Spiega la Lumen gentium: "Per la loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali" [5].

È chiaro che se i laici devono "attendere" alle cose temporali e "svilupparle" secondo "la via di Cristo" [6], essi devono prima conoscere Cristo stesso. Devono prendere seriamente l'esortazione di san Paolo ad avere "il pensiero di Cristo" [7]. Questa visione della Chiesa proposta da san Paolo ed elaborata dal Concilio Vaticano II esige non solo il nostro impegno attivo nel mondo, ma prima di tutto la nostra attiva adesione alla persona di Cristo; altrimenti, si può facilmente cadere nella trappola di confondere la via di Cristo con le vie del mondo [8].

Mediante la sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo, Cristo ha rinnovato la faccia della terra; ma, come appare evidente dalle parole che pronuncia nel Vangelo di Giovanni, il "mondo non ha ancora conosciuto" Cristo, e infatti spesso "odia" Cristo [9]. Non sorprende, pertanto, che i cristiani incontrino spesso resistenza, opposizione ed anche persecuzione nel mondo. Papa Benedetto ci ricorda che l'unica risposta per un cristiano di fronte al rifiuto è l'amore, una risposta resa possibile mediante la grazia di Cristo. Perché Dio è amore [10], l'amore è l'essenza stessa della vita cristiana [11]. La chiamata universale alla santità significa condividere questo amore con il mondo pazientemente, deliberatamente e "programmaticamente" [12]; per questa ragione la metafora del "lievito", usata dal Signore e adottata dal Concilio Vaticano II [13], descrive in maniera appropriata la realtà concreta del vivere come cristiani in questo mondo: l'opera dei cristiani è spesso nascosta, ma nonostante ciò essa è costante e consistente, tanto da far sì che l'intera massa della pasta cresca. “La Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza” Tuttavia – faceva notare il Santo Padre “la cattolicità cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocifisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante la nostra povertà… In questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto…, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza” [14].

Entusiasmo ed audacia, pieni di speranza, hanno sempre caratterizzato i Cavalieri di Colombo e ciò rimarrà senza dubbio al centro del loro apostolato nel futuro.

Cooperazione nella Chiesa: una sfida e un'opportunità

Vorrei soffermarmi brevemente per riflettere su questo punto. La testimonianza integrale e persuasiva alla verità del Vangelo dipende fortemente dalla capacità dei Vescovi, dei sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi e dei laici ad operare insieme per la diffusione del Regno di Dio, riconoscendo il ruolo distinto di ciascuna vocazione all'interno del Corpo di Cristo. Per i Cavalieri di Colombo forse ciò si rende molto più evidente a livello parrocchiale. Come è meraviglioso scorgere il parroco, il locale Consiglio dei Cavalieri e il resto della parrocchia che si sostengono a vicenda nell'esercizio delle specifiche forme di servizio per l’edificazione della comunità locale!

Nel tempo speso assieme durante questa 125° Suprema Convenzione, desidero invitarvi a farvi reciprocamente coraggio e ad illuminarvi a vicenda mediante la condivisione di esperienze e idee su come facilitare la cooperazione pratica tra voi, i Vescovi, i parroci, i membri dello staff parrocchiale e le comunità civili nelle quali vivete e operate. Se la vostra comunità locale sta soffrendo per le ferite della divisione – siano esse piccole o grandi – approfittatene per intensificare la vostra coesione, poiché quando questa viene a mancare in una famiglia parrocchiale o una Chiesa locale si indebolisce la capacità di testimoniare Cristo nella società più vasta. In queste circostanze, preghiera e fede sono gli elementi essenziali perché si affermi la ripresa e la riconciliazione. Scrive Papa Benedetto: "lo Spirito è ... forza che trasforma il cuore della comunità ecclesiale, affinché sia nel mondo testimone dell'amore del Padre, che vuole fare dell'umanità, nel suo Figlio, un'unica famiglia" [15].

La visione paolina di Benedetto XVI sulla Chiesa

Il 28 giugno, alla vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, il Papa Benedetto XVI ha annunciato l'indizione di un anno giubilare speciale per commemorare il bimillenario della nascita di san Paolo. Nel prossimo anno la Chiesa rifletterà sulla vita e gli scritti di questo grande "Apostolo dei gentili" [16].

In realtà, le vivide immagini che Paolo usa per descrivere la Chiesa, sia a livello locale sia a livello universale, sono sempre state carissime a Sua Santità, che le usa spesso nelle discussioni più informali con il clero e il laicato.

Ad esempio, rispondendo ad una domanda formulataGli nel corso di una udienza con membri del clero della Diocesi di Roma, il Santo Padre ha detto di recente:"La Chiesa, pur essendo corpo, è corpo di Cristo e quindi un corpo spirituale, come dice San Paolo. È una realtà spirituale. Mi sembra questo molto importante: che la gente possa vedere che la Chiesa non è una organizzazione sovranazionale, non è un corpo amministrativo o di potere, non è una agenzia sociale, benché faccia un lavoro sociale e sovranazionale, ma è un corpo spirituale" [17].

Papa Benedetto non è soltanto uomo di profonda sapienza teologica; egli porta al ministero petrino una vasta esperienza pastorale: non si illude sulle serie sfide che stanno di fronte alle comunità ecclesiali locali odierne.

Una di tali sfide è la tendenza a concentrarsi troppo strettamente sugli aspetti amministrativi, burocratici ed economici della vita parrocchiale e diocesana. Non che non siano importanti, al contrario. E tuttavia, ci ridurremmo a guardare alle realtà mondane con lenti distorte, se non riuscissimo più a guardarle con gli occhi di Cristo. Possiamo soltanto essere prudenti custodi dei beni mondani, se li poniamo liberamente al servizio del bene della vita eterna.

Ogni metodo concreto ed ogni strategia insegnati e promossi da Padre McGivney in ambito sociale aveva come scopo il bene della persona umana, destinata alla vita eterna. L’eredità di Padre McGivney permane anche oggi nell’impegno costante dei Cavalieri di mantenere se stessi, insieme con gli altri, informati sui complessi problemi riguardanti la vita umana, la giustizia, la libertà e il bene comune.

Amicizia e gioia: la chiave per comprendere Papa Benedetto XVI

Da ultimo, devo dire una parola su due temi ricorrenti nell'insegnamento di Papa Benedetto; essi sono assolutamente essenziali per l’“animazione” dell’“intera esistenza dei fedeli laici”: la gioia e l’amicizia. Queste, io penso, sono le chiavi per comprendere il pensiero di Papa Benedetto su ciò che significa tradurre la fede in azione.

Le parole “amicizia” e “gioia” risuonano continuamente nella sua predicazione, specie quando si rivolge ai giovani, nel mentre si stanno preparando alla Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Sydney nel 2008. Secondo Papa Benedetto, “amicizia” e “gioia” hanno Dio quale riferimento primario. Il Santo Padre non si stanca mai di ricordarci che Dio è vicino, che è nostro amico e ci parla continuamente delle cose più essenziali nella vita. Dio ci accompagna nel cammino della vita, nelle gioie e nelle sofferenze, e, come Buon Pastore che ha cura del suo gregge, non ci abbandona mai.

A Colonia, nella Giornata Mondiale della Gioventù, Sua Santità aveva detto ai giovani: «La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?».

Ed è proprio all’amore che il Santo Padre si ispira in ogni suo impegno, specialmente nel dialogo. Ha dialogato con tanti laici, ponendosi attentamente in ascolto del loro concreto modo di ragionare. Lui vive veramente il programma che si è fissato nel discorso di inaugurazione del pontificato: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi con tutta quanta la Chiesa in ascolto della Parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, perché sia egli stesso a guidare la Chiesa in quest’ora della nostra storia» [18].

Nel suo Magistero il Santo Padre è sempre chiaro, preciso, ma con spirito umile e incoraggiante. Ed a tutti vuol far comprendere come sia bello e gratificante essere cristiani, fare esperienza di un personale, vivo incontro con un evento capace di cambiare la vita, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione nuova e decisiva. È proprio per questo motivo che anche i comandamenti non sono mai troppo pesanti se siamo fedeli a Cristo.

Nella sua prima intervista pubblica, dopo essere stato eletto Papa, il Santo Padre ha riassunto così il suo desiderio più profondo nei confronti dei giovani e del mondo intero: «Vorrei fare capire loro che è bello essere cristiani! L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’infinità di comandamenti, divieti, principi e simili e che quindi il Cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei rendere a tutti chiaro che essere sostenuti da questo grande Amore e da una sublime rivelazione di Dio non è un fardello ma semmai un paio di ali e che è veramente bello essere cristiani. Questa esperienza ci dona spazio per respirare e muoverci, ma soprattutto ci colloca all’interno di una comunità, e così come cristiani non siamo mai soli: in primo luogo c’è Dio, che è sempre con noi; e poi noi, tra di noi, formiamo sempre una grande comunità, una comunità in cammino, che ha un progetto per il futuro. Tutto questo significa che ci è data la capacità di vivere una vita degna di essere vissuta. Questa è la gioia di essere cristiano: è bello ed è giusto credere!» [19].

In verità, è davvero bello credere, dato che credere significa dire ‘Sì’ a Cristo; e dirlo a Cristo significa rendere testimonianza della nostra fede in azione. Cari Cavalieri di Colombo, possiate essere sempre persone impegnate in maniera ferma in tale ‘Sì’: ‘Sì’ alle vostre famiglie, alla vostra Chiesa, alle vostre comunità, ma più importante di tutto: ‘Sì’ a Cristo, che è il ‘Sì’ ad ogni nostra speranza e desiderio. Dio vi benedica tutti!

8 agosto 2007


[3] Ibid. n. 40; cfr Rm 8,28-30.

[4] Cfr Rm 12,4-5.

[6] Ibid.

[7] 1 Cor 2,16; cfr Fil 4,7.

[8] Cfr Mt 7,13-14; Dt 30,15-20; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1696.

[9] Gv 15,18; cfr 1 Gv 3,13; Mt 10,22 e 24,9.

[10] 1 Gv 4,8.

[11] Cfr Gv 13,34-35; 1 Cor 13,13.

[16] Si veda l'Omelia di Papa Benedetto XVI alla celebrazione dei Primi Vespri nella solennità dei santi Pietro e Paolo, pronunciata alla Basilica di san Paolo fuori le mura (28 giugno 2007).

[17] Risposta ad una domanda rivolta a Papa Benedetto XVI nel corso dell'udienza ai sacerdoti della Diocesi di Roma (22 febbraio 2007).

[19] Colloquio con E. von Gemmingen, capo della sezione tedesca della Radio Vaticana (15 agosto 2005).

   

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