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CONVEGNO ORGANIZZATO DALL'ISTITUTO SUPERIORE
DI STUDI RELIGIOSI - FONDAZIONE AMBROSIANA PAOLO VI
SU "LA LIBERTÀ RELIGIOSA PIETRA MILIARE DELLA NUOVA EUROPA"

DISCORSO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Centro Convegno Villa Cagnola (Gazzada - Varese)
Venerdì, 19 ottobre 2007

 

Eccellenze,
Illustri Autorità,
Distinti Signore e Signori,

Sono lieto d'intervenire a questo Convegno, su: La libertà religiosa, pietra miliare della nuova Europa, per celebrare due anniversari che hanno unito in modo particolare la storia di Villa Cagnola a quella della Sede Apostolica: il 60° della donazione della stessa villa alla Santa Sede ed il 30° della Fondazione Ambrosiana Paolo VI. Ringrazio, pertanto, Mons. Mistò ed i Presuli lombardi per il cortese invito, saluto con deferenza le illustri Personalità e tutti i presenti.

1) La libertà religiosa nel Magistero della Chiesa e nel panorama europeo

Con la Dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, il Magistero ecclesiale ha messo in nuova luce il tema della libertà religiosa. In realtà, non si è trattato di "rivoluzionare" - e nemmeno di correggere l'insegnamento precedente - ma piuttosto di svilupparlo. Già nel 300 d.C., infatti, Lattanzio affermava: Religio sola est, in qua libertas domicilium conlocavit (1) ed il Codice di Diritto Canonico del 1917 dettava lapidariamente: ad amplexandam fidem catholicam nemo invitus cogatur (can. 1351).

So che, più tardi, sarà Mons. Mistò a soffermarsi sulla Dichiarazione Dignitatis Humanae. Pertanto, mi limito a ricordare che essa sottolinea come la libertà religiosa si radichi nella dignità e, quindi, nella natura stessa della persona umana (2). Di conseguenza, è un diritto soggettivo insopprimibile, inalienabile ed inviolabile, con una dimensione privata ed un'altra pubblica; una individuale, un'altra collettiva ed una anche istituzionale (3).

Desidero poi sottolineare come la libertà religiosa non sia soltanto uno dei diritti umani fondamentali; ben di più, essa è preminente fra tali diritti. Preminente perché, come ricordò Papa Giovanni Paolo II l'11 ottobre 2003 (4), la sua difesa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri; preminente perché storicamente è stato fra i primi diritti umani ad essere rivendicato; preminente, infine, perché altri fondamentali diritti sono ad esso connessi in modo singolare. Dove la libertà religiosa fiorisce, germogliano e si sviluppano anche tutti gli altri diritti; quando è in pericolo, anch'essi vacillano. Proprio per questo, essa dovrebbe essere, per antonomasia, una pietra miliare della nuova Europa!

Quest'ultima, ha vissuto trasformazioni di grande portata: il crollo dei regimi comunisti, la crescita dell'immigrazione e l'accentuazione della multiculturalità, l'indebolimento dei sistemi di previdenza sociale, il tramonto di stili di vita e di modelli culturali consolidati sotto l'impatto della globalizzazione e del confronto con un mondo "a reti", fatto cioè di interdipendenze, integrazioni e interazioni che legano i diversi sistemi in un mosaico globale.

A livello comunitario, la libertà religiosa è riconosciuta dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e dalla Carta dei Diritti Fondamentali. Sotto il profilo istituzionale, le relazioni tra Stati e confessioni religiose si fondano sul presupposto, reso esplicito in alcuni testi normativi e nel futuro "Trattato di Riforma" dell'Unione Europea, che dette relazioni sono di competenza dei singoli Stati. La situazione europea, del resto, è assai variegata: dalla Chiesa di stato dell'ortodossia greca alle Chiese "stabilite" di alcuni Paesi nordici, dal "separatismo" francese ai sistemi concordatari e pattizi di numerosi Stati, fra cui quelli latini. Ciò non vuol dire che nella normativa e nella giurisprudenza europea non si rinvengano prese di posizione che interessano la libertà religiosa. Attualmente, ciò avviene soprattutto in alcuni ambiti eticamente sensibili, dove il Cristianesimo propone comportamenti diversi da quelli prescritti o ammessi dalle trasformazioni del sistema giuridico europeo. In linea generale, pertanto, nella disciplina europea della libertà religiosa non mancano ferite da sanare, incrostazioni da togliere e garanzie da estendere: la promozione di questo diritto fondamentale va ancora affinata, consolidata e potenziata.

In tale prospettiva, credo utile soffermarmi su alcune sfide, di maggiore portata.

2) Apertura alla trascendenza

La sfida forse più radicale, consiste nella negazione del fondamento stesso della libertà religiosa, ossia dell'apertura della persona alla trascendenza. La cultura contemporanea è solita considerare il bisogno di libertà come quello fondamentale per l'uomo; di conseguenza, la cultura si è costruita più su rivendicazioni di libertà, che di verità e di giustizia. Tuttavia, si fa sempre più evidente come la soluzione kantiana di garantire a tutti pari libertà, a condizione che non si rechi danno all'altro, è una clausola insufficiente e vaga, perché diventa sempre più controverso ed arduo stabilire chi sia l'"altro", oppure lo diventa chi si stabilisce che sia tale.

La libertà, pertanto, ha bisogno di un fondamento, che le permetta di svilupparsi, senza tuttavia mettere a rischio la dignità umana e la coesione sociale. Tale fondamento non può che essere trascendente, perché soltanto esso è così "alto" da consentire alla libertà di espandersi al massimo e, contemporaneamente, così "saldo" da poterla orientare e qualificare in qualunque circostanza. Laddove, invece, la trascendenza è negata o relativizzata - quando cioè Dio è considerato una grandezza secondaria, che si può temporaneamente o stabilmente mettere da parte in nome di valori erroneamente considerati più importanti - allora falliscono proprio questi presunti valori più importanti. Lo dimostra l'esito tragico delle ideologie politiche del secolo scorso, che, negando Dio, hanno oltraggiato la verità dell'uomo e hanno "incatenato" la sua libertà.

Spesso, però, Dio non viene negato in modo diretto, ma in nome di una concezione assoluta della tolleranza, oppure di una visone privatistica della libertà religiosa o, ancora, congedando la religione dalla ragione e relegando la prima esclusivamente nel mondo dei sentimenti. Di conseguenza, stimo utile spendere qualche parola anche su tali sfide.

3) Il concetto di tolleranza

Ciò che conferisce alla tolleranza il suo valore è la sacralità della coscienza. Questa tende sempre al bene ed alla verità, rispetto ai quali è, pertanto, un valore secondario. Se, invece, la tolleranza diventa il valore supremo, allora ogni convinzione autenticamente veritativa, che escluda le altre, è intolleranza. Per giunta, se ogni convinzione è altrettanto buona di un'altra, si finisce per essere tolleranti anche nei confronti dell'immoralità. Portando all'estremo quest'aporia, Engelshardt è giunto a denunciare il seguente paradosso: "se non si riesce a dimostrare l'immoralità di certe linee di condotta, allora l'assistenza sanitaria fornita da Albert Schweitzer e quella prestata nei campi di concentramento nazisti saranno ugualmente difendibili [...] il comportamento degli individui moralmente repellenti sarà giustificabile o ingiustificabile, né più ne meno di quello dei santi" (5).

La dignità dell'uomo si fonda sulla sua capacità di verità. Assolutizzare la tolleranza è, invece, ritirarsi davanti a tale dignità. Laddove le convinzioni sono proscritte e chi ne possiede e non è pronto a trasformarle in semplici ipotesi viene considerato inabile al dialogo, allora quest'ultimo diventa impossibile. Esso, infatti, non può avvenire ed essere efficace nella rinuncia o nella relativizzazione della verità, in nome di un presunto rispetto delle convinzioni altrui. La rinuncia alla verità ed alla convinzione non unisce e non innalza l'uomo, ma lo consegna al calcolo dell'utile o dell'immediato, privandolo della sua grandezza.

Il dialogo interreligioso, pertanto, dovrà incoraggiare il rispetto profondo per la fede dell'altro e la disponibilità a cercare, in ciò che s'incontra come estraneo, la verità che può aiutare ogni persona a progredire. D'altra parte, non può consistere nell'aiutarsi reciprocamente a divenire migliori Cristiani, Ebrei, Musulmani, Induisti o Buddisti. Questa sarebbe la più completa assenza di convinzioni, in cui - con il pretesto di convalidare ciò che ciascuno ha di meglio - non prenderemmo sul serio né noi né gli altri e rinunceremmo definitivamente alla verità (6).

4) Il dialogo con la ragione

La più alta tolleranza consiste, pertanto, nel rispetto della verità; fondandosi su tale rispetto, la libertà religiosa si apre alle esigenze della ragione umana, che è, appunto, capace di verità. La libertà religiosa esige allora discernimento: sia fra le forme di religione, per identificare quelle che rispondono pienamente alla sete di verità di ogni persona, sia all'interno stesso della religione, in direzione della sua altezza più vera. Non bisogna, infatti, nascondersi che l'uomo contemporaneo, spesso, non segue la ragione, ma vive di istinti. Ciò rappresenta una sfida per ogni religione, perché potrebbe indurla a cedere a tali debolezze, per soddisfare i capricci o, peggio, gli egoismi dei suoi fedeli. Una religione "secolarizzata", però, finisce per avere un "volto" così solcato dalle "rughe" delle incoerenze umane, da non riuscire più a far trasparire il divino.

In linea generale, pertanto, i protagonisti della nuova Europa e tutti i suoi cittadini dovrebbero considerare la religione per ciò che è, evitando le pressioni volte a trasformarla in "religione civile", oppure a ridurre le Chiese a semplici agenzie di solidarietà sociale. Solov'ëv attribuisce all'Anticristo un libro, La via aperta alla pace ed al benessere del mondo, che ha come contenuto essenziale l'adorazione del benessere e della pianificazione razionale. La religione certamente non può non svolgere una funzione sociale. Tuttavia, ciò avviene, anzitutto, tenendo vivo il senso di Dio e della trascendenza. La solidarietà, l'accoglienza ed i valori civili sono cioè fattori essenziali, che la religione da sempre promuove, proprio perché vive del senso di Dio. Riferendosi alla Chiesa Cattolica, Papa Benedetto XVI ha scritto: La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile (...) Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare (7).

5) La dimensione pubblica della libertà religiosa

Tale contributo della religione, presuppone ovviamente il riconoscimento della dimensione pubblica della libertà religiosa. Al riguardo, negli ultimi anni i Sommi Pontefici ed i loro Collaboratori, come pure autorevoli pensatori, anche non credenti, si sono soffermati più volte.

Una sana laicità comporta la distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato, senza che ciò renda Dio un'ipotesi privata, o escluda la religione e la comunità ecclesiale dalla vita pubblica. Una sana laicità, pertanto, non procede sistematicamente, a livello pubblico, etsi Deus non daretur. Al contrario, come ha suggerito più volte l'allora Card. Ratzinger, sarebbe più razionale che si configurasse etsi Deus daretur. All'epoca dell'Illuminismo, si cercò di assicurare le basi della convivenza tenendo i valori essenziali della morale indipendenti dalla religione. Ciò sembrava realizzabile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal Cristianesimo resistevano e parevano innegabili. Ma non è più così. Per giunta, la ricerca di una certezza che rimanesse incontestata al di là delle convinzioni religiose, è fallita.

Pertanto, nella celebre Conferenza tenuta a Subiaco alla vigilia della morte del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, il Card. Ratzinger disse: "Il tentativo, portato all'estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull'orlo dell'abisso, verso l'accantonamento totale dell'uomo. Dovremmo, allora, capovolgere l'assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell'accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita "veluti si Deus daretur", come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così tutte le nostre cose troverebbero un sostegno ed un criterio di cui hanno urgentemente bisogno" (8).

In un recente Simposio della Società Italiana di Filosofia Politica, su "Religione e politica nella società post-secolare", anche il noto filosofo Habermas ha sottolineato come sia errato scambiare la tendenza a privatizzare il fatto religioso per una perdita di rilevanza e di influenza del medesimo, sia nell'arena politica e nella cultura di una società, sia nella condotta personale.

Va poi aggiunto che il criterio di uguaglianza civile non è rispettato, laddove ai credenti s'impone l'onere aggiuntivo di argomentare etsi Deus non daretur. Mentre le ragioni teiste non potrebbero essere invocate pubblicamente, lo potrebbero gli argomenti razionalisti e secolari, con chiara violazione del criterio di eguaglianza e di reciprocità che sta alla base del concetto di giustizia politica.

In senso positivo, mi pare che una concezione più aperta e moderna di laicità, inclusiva e rispettosa di tutte le istanze, sia espressa dall'art. 52 del trattato costituzionale europeo, conservato nell'attuale "Trattato di Riforma" dell'Unione Europea. Tale disposizione prevede un dialogo costante fra le istituzioni di Bruxelles e le comunità religiose, riconoscendo l'identità ed il contributo specifico di queste ultime. Tale dialogo è necessario, tra l'altro, per rispettare i principi di un autentico pluralismo e per costruire una vera democrazia. Del resto, non fu de Tocqueville a sottolineare che il dispotismo non ha bisogno della religione, la libertà e la democrazia sì? (9). Per salvaguardare l'apertura del citato articolo al ruolo delle confessioni religiose, sarà ovviamente importante che esse continuino a presentare anche individualmente le proprie posizioni alle istituzioni comunitarie. Inoltre, bisognerà tenere in adeguata considerazione la loro diversa consistenza, analogamente a come si tiene conto delle differenze fra i Paesi dell'Unione, nel sistema di voto delle istituzioni.

6) La libertà di educazione

In merito al contributo sociale della religione, desidero poi accennare al tema dell'educazione, sul quale ci si sofferma anche in questo Convegno. La concezione privatistica della libertà religiosa spiega, almeno in parte, l'ostilità di alcune correnti del pensiero laico nei confronti delle istituzioni scolastiche dei Cattolici, considerate uno strumento con cui la Chiesa manterrebbe la sua influenza nella società. Tale ostilità, in realtà, non ha vere ragioni dalla sua parte, soprattutto dopo che la rete scolastica si è molto estesa, in tutti i Paesi europei, e dopo che essi hanno stabilito norme generali a cui debbono adeguarsi le scuole pubbliche non statali e, pertanto, anche le scuole cattoliche, per essere equiparate a quelle statali.

La concezione privatistica della libertà religiosa influisce, inoltre, sull'ostilità verso l'insegnamento religioso nella scuola pubblica statale, nonostante esso sia impartito nel rispetto della volontà delle famiglie e dei ragazzi (10). Se, tuttavia, si considera l'educazione come capacità di mettere la persona in relazione consapevole con la realtà, ossia come "provocazione" della libertà con la verità, allora risulta chiaro che la libertà di educazione è irrinunciabile, sia per una società realmente libera, sia per le istituzioni religiose, le quali, per antonomasia, manifestano una visione complessiva e trascendente della realtà.

7) La multiculturalità

Fra i fenomeni che, oggi, mettono in difficoltà la concezione privatistica della libertà religiosa va annoverata, infine, la cosiddetta multiculturalità.

È noto che la globalizzazione spinge gli uomini ad avvicinarsi e ad amalgamarsi. L'Europa, in particolare, è terra d'incontro di diverse culture e religioni e ciò costituisce una nuova sfida anche per la libertà religiosa. Questo continente deve infatti evitare che si formino comunità di fede nelle quali si entra ma da dove non si può uscire, e deve impedire che soltanto alcune religioni si diffondano liberamente, mentre ad altre non vengono riconosciuti pari diritti. Qualsiasi tradizione religiosa solida esige l'esibizione della propria identità; non vuole, cioè, restare nascosta o essere mimetizzata. D'altra parte, il volto migliore della laicità sa accogliere e tutelare il patrimonio di spiritualità e di umanesimo presente nelle varie religioni, respingendo quanto in esse dovesse essere in contrasto con la dignità umana.

La nuova Europa, pertanto, deve distinguere con chiarezza i necessari provvedimenti di accoglienza degli immigrati e di pieno rispetto per l'esercizio della loro libertà religiosa, dalle ingiustificate concessioni che mettono a rischio l'identità culturale e religiosa delle società che li ricevono. Sarebbe infatti strano e contraddittorio esigere visibilità per simboli e pratiche di religioni minoritarie e, al contempo, cercare di nascondere o relativizzare i simboli e le pratiche del Cristianesimo, che è la religione maggioritaria e tradizionale di questo continente.

Desidero poi aggiungere che, senza società plurali e coesi al loro interno, in forza di una sana laicità, intere fasce di popolazione potrebbero convincersi che non esista alternativa efficace al conflitto di civiltà. La salvaguardia della libertà religiosa, invece, è garanzia di pace e premessa di sviluppo solidale: essa, infatti, depotenzia la logica dello scontro promuovendo il dialogo e, prima ancora, il rispetto di ogni persona e delle sue convinzioni religiose.

8) Il Cristianesimo e la nuova Europa

Concludendo, desidero riferirmi alla convinzione di alcuni cittadini europei, per i quali la Chiesa cattolica, con la sua pretesa di verità, sarebbe incapace di dialogo e, persino, caratterizzata da una certa dose di fanatismo. In realtà, la Chiesa è ferma sui principi, perché crede; nella pratica è sempre tollerante e benevola, perché, nonostante i difetti dei suoi membri, ama ogni persona. Viceversa, gli accoliti della secolarizzazione sono spesso tolleranti per principio, perché non credono a valori irrinunciabili; d'altra parte, capita che siano incoerenti nella pratica, perché non sanno sempre amare.

Se i cittadini della nuova Europa vogliono vivere in modo responsabile, non dovranno sottrarsi allo sforzo di cercare la verità: in particolare la verità su se stessi e, quindi, su Dio, quale fine ultimo dell'esistenza. Fin dai suoi albori il Cristianesimo ha assunto, elaborato ed approfondito il meglio della sapienza greca e romana, presentandosi proprio come la vittoria del pensiero umano sul mondo delle mitologie e dei fanatismi religiosi. In un certo senso, pertanto, nel Cristianesimo la razionalità è divenuta religione: Dio non ha respinto la conoscenza filosofica, ma la ha assunta. S. Giustino, per esempio, dopo aver studiato tutti i sistemi di pensiero, aveva riconosciuto nel Cristianesimo la vera philosophia. Era convinto che, diventando cristiano, non aveva rinnegato la filosofia, ma anzi, soltanto allora era diventato pienamente filosofo. La forza che ha trasformato il Cristianesimo in una religione mondiale sta proprio nella sua sintesi fra ragione, fede e vita. Questa combinazione, così potente da rendere vera la religione che la manifesta, è anche quella che può consentire alla verità del Cristianesimo di risplendere, non soltanto nella nuova Europa, ma - più in generale - nell'odierno mondo globalizzato.

Il Cristianesimo, infatti, non si accontenta di mostrare "quella parte della faccia che Dio tiene rivolta verso l'Europa"; non si considera, cioè, la "religione degli Europei", ma del mondo, perché risponde perfettamente al desiderio di verità che alberga nel cuore di ogni uomo, a prescindere dalla latitudine in cui vive. Non soltanto, quindi, la libertà religiosa è la "pietra miliare" della nuova Europa: voglio concludere, aggiungendo che il Cristianesimo è la "via" lungo la quale l'Europa può diventare veramente "nuova". Il Cristianesimo, infatti, ha proposto all'Europa la promozione della libertà religiosa come misura di civiltà e sviluppo, capace di sottrarre il nostro amato continente ad una "giungla" di egoismi pressoché inestricabile, perché impenetrabile alla luce della dignità umana. Il "cammino" cristiano, dunque, garantisce il rispetto della libertà religiosa ed aiuta a costruire una nuova Europa.


1) Lattanzio, Epitome Divinarum Institutionum, 54.

2) Cfr Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis Humanae, n. 2.

3) Cfr Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis Humanae, nn. 3 e 4.

4) Giovanni Paolo II, Udienza ai Membri dell'Assemblea Parlamentare dell'OSCE, 11 ottobre 2003.

5) H.T. Engelhardt, Manuale di bioetica, Milano 1999, p. 22.

6) J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Ed. San Paolo 2000, pag. 73.

7) Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, n. 28.

8) Joseph Ratzinger, L'Europa nella crisi delle culture, Subiaco, 1° aprile 2005.

9) Cfr Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, I, 9.

10) Cfr Carlo Cardia, Le sfide della laicità, pagg. 92-100.

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