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OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE
IN OCCASIONE DELLA RIAPERTURA AL CULTO
DELLA BASILICA-CATTEDRALE DI BRINDISI

Brindisi
Domenica, 18 novembre 2007

 

Cari fratelli e sorelle,

Ci siamo riuniti per lodare, per ringraziare Iddio in questa splendida Basilica-Cattedrale che riapre i suoi battenti al culto e che raccoglie oggi il popolo in festa, orgoglioso delle sue antiche mura, delle opere d’arte che contiene, della bellezza della sua architettura, rese ancora più preziose dai recenti restauri promossi dal vostro Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci che saluto con affetto e ringrazio per avermi invitato a presiedere l'odierna celebrazione. Con lui saluto tutti i presenti, le autorità religiose, civili e militari, i sacerdoti, le persone consacrate e l'intera comunità diocesana. Ogni chiesa materiale, nota san Cesario di Arles, è simbolo permanente della Chiesa, edificio spirituale. Occorre costruirlo e restaurarlo continuamente questo edificio spirituale con l'apporto di tutti i cristiani.

Qui ci sentiamo tutti a casa, uniti da un vincolo di amore che non conosce limiti di spazio né di tempo. Qui possiamo ricordare con riconoscenza tutti coloro che hanno portato il cristianesimo in queste terre, in particolare San Leucio, Vescovo ed evangelizzatore del Salento. Non bisogna dimenticare che Brindisi è stata fra le prime città dell’occidente ad accogliere il messaggio evangelico, diffuso tramite le vie consolari romane. Si pensa addirittura che lo stesso Pietro potrebbe essere qui approdato proveniente da Corinto, per proseguire per Roma attraverso la Via Appia.

La storia dei suoi santi (oltre San Leucio, Sant’Oronzo, San Teodoro d’Amasea, San Pelino, San Pompilio Maria Pirrotti, San Giustino de Jacobis e il noto San Lorenzo da Brindisi, proclamato dottore della Chiesa da Giovanni XXIII), è incastonata nella memoria della gente e si ritrova espressa nei monumenti cristiani della città.

Ascoltando le parole del Vangelo che sono state proclamate poc’anzi, ancora presi dalla contemplazione della bellezza del tempio che ci accoglie, possiamo rimanere sconcertati e perplessi, proprio come lo furono i discepoli ascoltando il discorso sulla fine dei tempi; la cosiddetta "grande apocalisse lucana" (Luca 21,5-36) che chiude il ministero pubblico di Gesù, al termine del suo viaggio verso Gerusalemme.

Negli occhi dei discepoli, giunti porte della grande città, c'è un'ammirazione stupita per l'imponenza del tempio: le sue pietre squadrate, i preziosi doni votivi (v. 5) sono quasi il simbolo di una potenza indistruttibile. Eppure Gesù dice loro: «Verranno i giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta» (v. 6).

Che cosa voleva dire Gesù a proposito del tempio di Gerusalemme? Gli studiosi ci spiegano che il tipo di linguaggio da lui usato viene detto apocalittico, cioè riguardante la rivelazione delle ultime vicende. Diversi profeti antichi ricorrevano sovente a questo linguaggio, presentando la fine dei tempi in modo catastrofico e per questo erano detti “profeti di sventura”. Noi uomini di questo tempo di quel linguaggio abbiamo smarrito in gran parte la chiave di lettura, anche se, il genere catastrofico anche oggi non è andato del tutto smarrito, basti pensare a certi libri, fumetti, film, che vanno di moda…

Quanto a Gesù e al suo linguaggio, riconosciamo che anche in questo aveva accettato le consuetudini e la cultura del tempo e del mondo in cui s'era incarnato. Ma se guardiamo bene, nelle sue parole noi troviamo ‑ al di là del rivestimento esterno di catastrofi e terrori ‑ i più validi motivi di speranza.

La fine preannunciata da Gesù è solo la prefigurazione di un'altra fine: quella della storia, con la venuta del Signore per l'ultimo giudizio e per il compimento della salvezza offerta a tutti gli uomini. La storia futura sembra volgere verso un finale convulso tra le forze del male, le quali, però, restano pur sempre penultime; l'ultima parola è una promessa incoraggiante di salvezza: «Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».

In pratica, che cos'ha detto Gesù rispondendo agli Apostoli? In primo luogo, per così dire, ha distanziato quei due avvenimenti: quel «non rimarrà pietra su pietra» ossia la distruzione di Gerusalemme, lo ha separato da ciò che noi di solito chiamiamo «fine del mondo». Agli Apostoli, e ancor più ai primi cristiani, poteva essere facile confondere la fine di un mondo (il piccolo mondo giudaico) con la fine di tutto, del mondo. Ma Gesù spiega che non solo i due avvenimenti non coincidono, ma sono di natura totalmente diversa. La caduta di Gerusalemme è indicata da lui come fatto storico, e la fine del mondo è collocata come fuori della storia e nel segreto del Padre.

La fine del mondo, nelle parole di Gesù, non appare un prodotto della storia umana, ma un evento il cui protagonista è Dio. Egli concluderà la storia della salvezza mediante il suo Figlio Gesù, risorto e glorificato.

Dunque ecco la sorpresa conclusiva: la fine segna un inizio, si realizza la città di Dio tra gli uomini. Questo insegnamento di Gesù è quanto basta per orientare la vita degli Apostoli, e di ogni cristiano: anche se le modalità e i particolari rimangono un segreto del Padre, noi sappiamo e sentiamo che il Signore è vicino.

Non siamo nel buio, perché una cosa è certa: le parole di Gesù non ci vogliono spaventare mostrandoci la distruzione di questo mondo: vogliono, semmai, ricordarci che la vita, che qui in terra si consuma e che noi impregniamo ogni giorno con la qualità delle nostre azioni, può diventare, e anzi diventa immortale ed eterna.

Una volta poste le basi della comprensione della parola di Dio che la liturgia odierna ci propone, possiamo riflettere sull’oggi della nostra esistenza. Che cosa faremo noi nel tempo in cui viviamo? Il Signore ci invita a programmare le nostre esistenze alla luce di Cristo secondo le grandi direttrici della fede, speranza e carità.

Ecco allora che questo tempio, questa Basilica-Cattedrale che noi oggi ammiriamo, riprende il senso vero per il quale è stata edificata. A nulla servirebbero in effetti le chiese di pietre e di cemento, destinate in ultima analisi alla distruzione, se non ci fosse anzitutto la Chiesa viva, fatta di "pietre vive", che sono i santi, i martiri e i credenti nel loro insieme, chiamati tutti alla santità! Il tempio fatto di mura è l’espressione sociale dell’unità del popolo credente.

Proprio per questo ogni Chiesa locale deve proporsi come fermento della comunità degli uomini, e strumento di unità di tutte le componenti della società per il bene comune.

Un amministratore pubblico, Giorgio La Pira, vero uomo della "polis" in quanto Sindaco di Firenze, assegnava questo compito alla Chiesa particolare: «Rigenerare in Cristo la società civile; riparare, nella grazia, l'ordine umano collettivo; rifare le cattedrali e le chiese centro della città; ridare al culto collettivo della Chiesa il posto che gli spetta».

E' un sogno? Può sembrare tale, ma può anche diventare realtà se la nostra Chiesa particolare e le nostre comunità ecclesiali coopereranno con coerenza per l'edificazione della città degli uomini «attorno all'antica fontana della grazia e della verità» (come diceva Giovanni XXIII), che è la Chiesa, facendosi modello di carità e di comunione.

So che nel programma del vostro Anno pastorale sono ben evidenziati questi aspetti: la missione nella città, nel territorio come pastorale integrata in vista della celebrazione del Sinodo diocesano. Per realizzare ciò è quanto mai importante puntare alla comunione locale tra preti e laici, tra parrocchie e aggregazioni. In particolare e sopra tutto la comunione con il Supremo Pastore della Chiesa Universale Papa Benedetto XVI, che non cessa di invitare alla più coraggiosa testimonianza.

A questo punto vorrei rivolgermi particolarmente ai giovani. A voi dico: Ascoltate il Papa! Egli non vi inganna quando vi indica il progetto morale cristiano sulla famiglia, sulla difesa della vita; quando vi parla dell’amore, come ha fatto nella sua prima enciclica Deus caritas est. A chi Gli ha chiesto il perché della sua prima enciclica dedicata all’amore, alla carità, ha così risposto: «Volevo manifestare l’umanità della fede». C’è infatti nel Suo pontificato l’idea di una religione lieta, sentita per l’aldiquà e per l’aldilà, vissuta con i sensi e con la ragione.

Ricordate la risposta del Papa a quel ragazzo che nell’Agorà dei giovani a Loreto gli ha chiesto come è possibile sperare quando la realtà nega ogni sogno di felicità, ogni progetto di vita; quando ai giovani manca un centro, un luogo o persona capace di dare identità? In primo luogo il Papa ha indicato il pericolo della frantumazione della famiglia, che dovrebbe essere il luogo dell’incontro delle generazioni – dal bisnonno fino al nipote -; luogo dove si imparano le virtù essenziali per vivere. Poi ha indicato la parrocchia, cellula vivente della Chiesa, che deve essere realmente luogo di ispirazione, di vita, di solidarietà. «Dove si celebra l’Eucaristia – ha detto il Papa – dove c’è il Tabernacolo, c’è Cristo e quindi lì è il centro e dobbiamo fare di tutto perché questi centri vivi siano efficaci, presenti e siano realmente una forza che si oppone all’emarginazione. La Chiesa viva, la Chiesa delle piccole comunità, la Chiesa parrocchiale, i movimenti dovrebbero formare altrettanti centri nella periferia e così aiutare a superare le difficoltà che la grande politica ovviamente non supera e dobbiamo allo stesso tempo anche pensare che nonostante le grandi concentrazioni di potere, proprio la società di oggi ha bisogno della solidarietà, del senso della legalità, dell’iniziativa e della creatività di tutti» (1-2-settembre 2007).

Quando ero Arcivescovo di Genova un giovane è venuto a parlarmi e mi ha detto: «Sono impressionato dagli appelli di Benedetto XVI. Non posso lasciarlo solo. Ho deciso di rinunciare alla promozione in banca e di entrare in Seminario».

Ecco, cari fratelli e sorelle, a che cosa ci conduce la riflessione sull'evento che oggi commemoriamo.

Ci aiuti e ci accompagni nei nostri progetti per l’edificazione della Chiesa come tempio vivo nella fede, nella speranza e nella carità, Maria, la Regina dei Santi, la Vergine Madre di Cristo e della Chiesa.

       

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