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VISITA DEL SEGRETARIO DI STATO A BERGAMO E A SOTTO IL MONTE

CELEBRAZIONE EUCARISTICA
NEL 50° ANNIVERSARIO DELL'ELEZIONE
DEL BEATO GIOVANNI XXIII

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Bergamo
III Domenica di Pasqua, 6 aprile 2008

 

Cari fratelli e sorelle,

la pagina evangelica che poco fa è stata proclamata, in questa terza domenica di Pasqua, ripropone alla nostra meditazione il ben noto episodio dei discepoli di Emmaus. San Luca narra la vicenda di due discepoli di Gesù che, dopo la sua morte, lasciano Gerusalemme scoraggiati e delusi. Ci fa partecipare alla loro tristezza, ma anche alla loro ricerca, alla speranza che si accende loro nel cuore mentre ascoltano le parole del misterioso compagno di viaggio, come pure ci fa condividere la loro gioia al riconoscere il Signore Gesù nel momento in cui egli spezza il pane per loro.

Cleopa è il nome di uno dei due discepoli, mentre l’altro rimane sconosciuto: in questo anonimo viandante possiamo intravedere l’avventura spirituale di ciascuno di noi e di tutti i discepoli della storia, raggiunti dall’amore del Maestro sulle strade del timore, del dubbio e dell’umana fragilità. L’incontro con Gesù risorto cambia la vita: scompaiono fatica e tristezza; nasce l’entusiasmo, sgorga la gioia di proclamare e condividere con tutti l’annuncio della sua risurrezione: Cristo è vivo e noi lo abbiamo incontrato!

Tra i tanti viandanti che nel corso dei secoli sono stati luminosi testimoni della grazia di questo incontro, sentiamo oggi particolarmente vicino il Beato Giovanni XXIII, che cinquant’anni or sono veniva chiamato a succedere all’apostolo Pietro alla guida della Chiesa.

Si unisce a questa nostra solenne commemorazione l’attuale suo successore, l’amato Papa Benedetto XVI, che mi ha incaricato di recare a Lei, Eccellenza, ai sacerdoti, alle varie componenti della comunità diocesana e all’intera città di Bergamo il suo cordiale saluto e la sua benedizione. Saluto anch’io tutti voi qui presenti, Vescovi e sacerdoti, religiosi, religiose e laici impegnati nei vari settori della vita diocesana, autorità e personalità intervenute a questo momento di comune preghiera nel ricordo del più illustre figlio della terra bergamasca.

Il racconto dei discepoli di Emmaus mi riporta alla mente il discorso che il beato Giovanni XXIII pronunciò il 4 novembre 1958, al momento della sua incoronazione. In quella circostanza egli, presentandosi al mondo come Pastore universale, per manifestare le disposizioni del suo cuore volle utilizzare proprio l’immagine del compagno di cammino desideroso di rivelare il proprio volto. Dopo aver sottolineato quanto fossero in errore quanti si aspettavano dal Pontefice l’uomo di Stato o il diplomatico, lo scienziato o l’organizzatore della vita collettiva, aggiungeva infatti: «Il nuovo papa, attraverso il corso delle vicende della vita, è come il figlio di Giacobbe che, incontrandosi coi suoi fratelli di umana sventura, scopre a loro la tenerezza del cuor suo e scoppiando in pianto dice: “Sono io…il vostro fratello Giuseppe” (Gen 45,4). Il nuovo Pontefice realizza anzitutto in se stesso quella splendida immagine del Buon Pastore quale ci viene descritta dall’evangelista S. Giovanni con le medesime parole che uscirono dalla bocca del divin salvatore “Egli è la porta dell’ovile”». Con queste sue parole il Pontefice bergamasco indicava già lo stile del suo ministero: farsi, come buon pastore, guida e insieme compagno di viaggio non solo dei propri fedeli, ma di ogni uomo che sia in cammino alla sincera ricerca di se stesso e di Dio.

I discepoli di Emmaus, quando il Signore scomparve dalla loro vista, esclamarono: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. Queste stesse parole potremmo riascoltarle da Papa Giovanni come riassunto della sua intera vita. Potrebbe dirci quest’oggi, a nostro incoraggiamento: mi ardeva il cuore di amore nel mio quotidiano cammino, perché Cristo era il mio invisibile compagno di viaggio. Mai mi è venuto meno il suo sostegno: nemmeno nei momenti difficili, quando dovevo assumere decisioni importanti per la vita della Chiesa o quando trepidavo al vedere l’umanità avventurarsi in sentieri pericolosi, neppure quando la malattia mi ha visitato e quando la morte ha bussato alla mia porta. Anche allora sentivo ardere in me la speranza – potrebbe aggiungere Giovanni XXIII – perché nel quotidiano spezzare il Pane dell’Eucaristia attingevo fiducia e serenità dalla presenza di Gesù risorto; quante volte a lui ho ripetuto: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”!

In verità, ripercorrendo le tappe della sua lunga esistenza, si coglie in Papa Roncalli una costante serenità di fondo, che scaturiva dal vivere costantemente alla presenza di Cristo. Il suo cuore “ardeva” perché era capace di mantenersi in una continua conversazione con il suo divino Maestro. E ciò lungo tutto il suo cammino, iniziato nella nativa parrocchia di Sotto il Monte e nel seminario diocesano di Bergamo, dove fu per vent’anni, dapprima alunno e poi professore e direttore spirituale. Non ci è difficile vederlo aggirarsi proprio qui - in Borgo, come si diceva un tempo – fra il Collegio S. Alessandro, la casa dei preti del Sacro Cuore, di cui fu membro quasi dai primi inizi, la prima sede de “L’Eco di Bergamo” e delle altre opere cattoliche in Piazza Pontida, l’ospedale militare allestito presso il “Banco sete”, durante il suo servizio militare come cappellano nella Grande guerra. Possiamo quasi vederlo in questa sontuosa Basilica di S. Alessandro, in silenziosa adorazione dell’Eucaristia!

“Non ardeva forse in noi il nostro cuore?” L’esclamazione dei due di Emmaus, se da un lato ha accompagnato la vita di Papa Giovanni, dall’altro è salita spontanea alle labbra di tanti che ebbero la fortuna di incontrarlo, di condividere con lui un tratto di cammino o anche solo di conoscerlo di lontano.

La dolcezza e l’interiorità profonda, l’affabilità e il tratto sereno, nobile e semplice, la preghiera intensa, la mitezza, la determinazione, la pazienza, la capacità di ascolto. Sono aspetti diversi della sua personalità, riassunti dal popolo di Dio con una sola parola, la “bontà”. Papa Giovanni, il Papa buono!

Non si tratta affatto di un’espressione banale: la bontà è stata per Angelo Giuseppe Roncalli il programma di una vita, potremmo dire il suo carisma, cioè il suo modo peculiare di vivere la santità, di rispondere alla divina chiamata. Lo possiamo intuire dalle parole che pronunciò proprio in questa chiesa da giovane sacerdote, il 29 gennaio 1906, nel tessere l’elogio di un Santo a lui molto caro, San Francesco di Sales. Parole dette dal giovane Roncalli a proposito del santo Vescovo di Ginevra, ma che sembrano dipingerci i tratti che assumerà il volto dell’anziano Pontefice: “Nulla in lui che stoni, o che esca dalla perfetta misura (…)la dolcezza non nuoce alla forza, né la condiscendenza e la pazienza allo zelo, né la semplicità alla prudenza. Ed è nella sua pace interiore che conviene riconoscere il principio di quella serenità attraente che segnò della sua impronta tutte le sue azioni e tutti i suoi libri […] Il segreto di questa pace interna e di questa armonia quale fu? Non è difficile il comprenderlo. L'amore, l'amore di Dio.” (G.d.A. 1118).

Cari fratelli e sorelle, l’avventura dei due discepoli non termina però ad Emmaus: una volta riconosciuto il Maestro, essi partono senza indugio e ritornano a Gerusalemme, per annunciare agli Undici e agli altri fratelli che il Cristo è risorto, e per testimoniare come l’incontro con lui abbia fatto risorgere anche la loro fede e la loro speranza.

Così, il confronto con la vita del Beato Giovanni XXIII, la commemorazione dei suoi anniversari più significativi, non vuole essere per la Chiesa di Bergamo un tranquillo e tutto sommato sterile cullarsi nel ricordo delle meraviglie che Dio ha operato in questo figlio della vostra terra.

Il Signore Gesù invita anche noi a ripartire senza indugio, ad assumere con coerenza e responsabilità il compito di essere testimoni della fede cristiana, senza paure o complessi, fiduciosi nella Provvidenza che è all’opera anche nel nostro tempo. E mi piace pensare che lo faccia oggi con quelle esortazioni che Angelo Giuseppe Roncalli pronunciò solennemente in questa Basilica, nella festa di S. Alessandro del 1950, essendo allora Nunzio Apostolico in Francia.

In quella circostanza, parlando ad una città appena uscita dalla tragedia della guerra, e forse già inquieta davanti all’annunciarsi di tempi nuovi, egli invitava i bergamaschi a riconoscere la loro identità, le loro qualità più autentiche, nella personalità del martire Alessandro. “Il figlio di Bergamo – diceva Roncalli – anche lontano, oltre il mare, dove lo conducano ricerca di lavoro o di fortuna, servizio della Chiesa o della patria, ama ricordare il suo Patrono, e come prendere auspicio ai suoi ardimenti e propositi di serietà, di saggezza, di disciplina, da quell'aspetto vigoroso e simpatico del suo Sant'Alessandro, soldato e martire, espressione di dignità e di sacrificio, dalla linea decisa che dà fisionomia alla sua gente, e le fa onore.

L’arcivescovo Roncalli indicava poi ai concittadini tre caratteristiche distintive della fede di S. Alessandro, che riteneva indispensabili perché essa potesse mantenersi viva anche nei tempi nuovi. Sono certo che qui Angelo Roncalli, fine conoscitore del temperamento bergamasco, intendeva mettere in luce anche tre qualità distintive del cristianesimo della sua terra.

Ascoltiamole dalla sua stessa bocca: “Sull’esempio del nostro invitto Martire e Patrono la fede segna la via al nostro avvenire. Ma – se la vogliamo vincitrice delle tentazioni del secolo – questa fede deve essere nutrita, operosa, eroica”.

Ecco qui le tre qualità distintive della fede di S. Alessandro, della fede dei Bergamaschi, che oggi vorrei lasciarvi come consegna. Cari fratelli e sorelle, possa la vostra essere anche oggi una fede nutrita, operosa, eroica.

Sia anzitutto nutrita: grazie alla frequentazione dei misteri di Cristo, all’ascolto della parola di Dio, all’approfondimento sistematico delle verità di fede. Sacerdoti e laici sappiano trovare cibo solido nella grande tradizione del pensiero cristiano e nel ricco Magistero dei Pontefici. L’esperienza del Beato Giovanni XXIII ci insegna che la conoscenza delle proprie radici, la familiarità con i grandi autori e la fiducia nel Magistero della Chiesa sono più efficaci, per allargare il proprio orizzonte e per cogliere i segni dei tempi, che non l’appiattimento sul pensiero dominante o l’affannosa rincorsa alle ultime mode culturali, che presto saranno a loro volta superate.

La vostra fede sia poi una fede operosa. Possano le parrocchie, le associazioni, la comunità diocesana, continuare con rinnovata creatività la gloriosa stagione iniziata al tempo del movimento cattolico, mostrando anche oggi la ricchezza che il Vangelo può portare alla nostra società in termini di carità, di attenzione al povero, di allevio delle umane sofferenze, ma anche di educazione, cultura aperta al trascendente, passione per tutto ciò che rende l’uomo più uomo.

E, infine, possa la vostra fede essere, come quella di S. Alessandro, come quella del Beato Giovanni XXIII, una fede eroica. L’eroismo cristiano è dono dell’amore di Dio e non risultato di sforzi o frutto di aspirazioni personali. Tuttavia siamo chiamati oggi più che mai a proporci, come singoli e come Chiesa, una misura alta della vita cristiana. Solo una fede coraggiosa e anche disposta al sacrificio ci permetterà di essere all’altezza di un tempo, il nostro, in cui il messaggio del Vangelo è non di rado incompreso, osteggiato, quando non addirittura deriso. Con disarmante semplicità l’Arcivescovo Roncalli, nella festa di S. Alessandro del 1950, affermava: “L’uomo di fede oggi non sa che cosa gli può capitare domani, se intende far onore ai suoi impegni”.

Una fede nutrita, una fede operosa, una fede eroica. Con questa fede stiamo ora per riconoscere Gesù, il Risorto, presente nello spezzare il pane, con questa fede siamo chiamati a partire senza indugio per essere suoi testimoni nel mondo.

Cari fratelli e sorelle di Bergamo, sia questo il dono prezioso, l’eredità che oggi il Beato Giovanni XXIII lascia a questa Chiesa che tanto ha amato e che ora lo invoca come suo speciale protettore. Amen.

     

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