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100° ANNIVERSARIO DELLA VISITA DEL BEATO MICHELE RUA
ALLA COMUNITÀ DI CASERTA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Domenica,14 dicembre 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

Questa terza domenica del tempo di Avvento è detta comunemente la “domenica della gioia”, la domenica “gaudete”, a motivo dell’imperativo contenuto nell’antifona latina con cui inizia la Santa Messa. “Siate lieti”, invita la liturgia riprendendo un’espressione che usa san Paolo nella lettera ai Filippesi: “Siate sempre lieti nel Signore ve lo ripeto: siate lieti”. E subito dopo l’Apostolo aggiunge la motivazione: “Il Signore è vicino” (Fil 4,4-5). Ecco dunque la ragione della nostra gioia: Il Signore è vicino! Quante volte sentiremo ripetere quest’affermazione nei prossimi giorni, specialmente a partire dal 17 dicembre quando inizierà la Novena del Natale! Durante tutto l’Avvento la Chiesa intensifica l’esortazione a prepararci ad accogliere il Signore che a Betlemme si è fatto uomo per la nostra salvezza. Al tempo stesso però la liturgia ci esorta a riconoscerlo già vicino, anzi già presente tra noi. Tuttavia la sua presenza l’avvertiamo solo se a lui apriamo il cuore e accogliamo umilmente il dono del suo amore. Il Signore infatti è vicino a chi lo cerca, proclama la parola di Dio; a lui non interessano le buone intenzioni manifestate a parole soltanto, bensì i fatti, e suo autentico discepolo è chi è disposto a cambiare radicalmente la vita per seguire docilmente il Vangelo. Da questa conversione del cuore scaturisce quella gioia di cui appunto parla la liturgia di questa domenica.

Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino!” Talvolta sembra tanto difficile essere felici in questo nostro tempo, eppure di gioia abbiamo bisogno; di mancanza di gioia si può persino morire. Mi viene in mente quanto scrisse il Papa Paolo VI nell’esortazione apostolica del 9 maggio del 1975 su “il bisogno del gaudio cristiano nel cuore di tutti gli uomini”. “La società tecnologica – egli notava – ha potuto migliorare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d’altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all’angoscia e alla disperazione, che l’apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente nei paradisi artificiali non riescono a far scomparire”. “Ma questa situazione – proseguiva Paolo VI – non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto”. Egli spiegava in questo documento, quanto mai attuale oggi pur a oltre 30 anni di distanza, che la gioia spirituale non ha nulla a vedere con piccole droghe sentimentali, ma è il frutto, come sottolinea san Paolo, della presenza di Cristo nella nostra vita.

Testimoni della gioia sono i cristiani autentici. Se ci guardiamo attorno ci capita di incontrare volti radiosi, che sprizzano la gioia dell’amore di Dio; ci capita però di incontrare anche volti di non pochi credenti segnati da rughe di tristezza spirituale. Ed a questo proposito, ascoltate una forte ed incisiva osservazione dello scrittore francese Bernanos: “Dove diavolo avete nascosto la vostra gioia? A vedervi così tristi, non si direbbe che a voi, e a voi soli, è stata promessa la gioia del Signore”. Cari amici, cari giovani non lasciamoci mai prendere dallo scoraggiamento e dalla tristezza. Don Bosco diceva:” Se vuoi farti buono, pratica queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, preghiera. È questo il grande programma per vivere felice, e fare molto bene all’anima tua e agli altri”.

È in questo clima di gioia spirituale che si svolge questa mia visita. Sono venuto volentieri, accogliendo prontamente l’invito del vostro Direttore don Eugenio, a celebrare la santa Eucaristia, al termine della quale scopriremo una lapide in ricordo di una cara benefattrice casertana, l’anziana signorina francese M.lle Marie Lasserre. Edificante è la sua esperienza umana e cristiana. Tutrice di Maria Immacolata di Borbone, figlia di Ferdinando II, re delle due Sicilie, Marie Lasserre Borbone per 23 lunghi anni aveva custodito i suoi risparmi e nel 1895 propose a don Rua la costruzione di questa casa, con l’unica condizione del più stretto anonimato. Nessuno doveva sapere chi era la benefattrice e non volle essere presente neppure quando fu posta la prima pietra. Davvero questa donna ha realizzato quella pagina del Vangelo dove Gesù insegna a non suonare la tromba quando facciamo opere buone, e ci dimostra che per gustare la gioia spirituale non si ha bisogno del plauso degli uomini. I Salesiani di Caserta, giustamente e solennemente, vogliono oggi ricordare, con una lapide commemorativa, la bontà di questa insigne benefattrice, che è tanto più generosa ed apprezzabile quanto più nascosto e disinteressato fu il suo gesto di amore.

Ma voi sapete che non solo la signorina Lasserre ha amato quest’opera. Anche don Rua è stato molto vicino a questa casa. Quanto vorrei parlarvi di questo Beato, che fu il primo successore di don Bosco, di cui era stato a lungo collaboratore e poi vicario! Accompagnava il fondatore in numerosi viaggi e con lui condivise per lunghi anni gioie e sofferenze, ideali e progetti: erano amici ed entrambi appassionati di amore per Gesù e per i giovani. Negli ultimi anni della sua vita soffrì molto e prima di morire, il 6 aprile del 1910, ripeté per l’ultima volta una giaculatoria imparata da don Bosco quando era bambino: “Santa Vergine, mia tenera madre, fa’ che la mia anima sia salva”, ed aggiunse: “Sì, salvare la propria anima, è tutto!”. Ho voluto citare questa sua invocazione a Maria perché don Rua venne a Caserta cinque volte, ed in occasione della sua terza visita offrì il prezioso dipinto del Cuore Immacolato di Maria, commissionato dallo stesso don Bosco al pittore Bonetti nel 1867. Come ben noto a voi, nel 1904 il dipinto fu collocato sull’altare maggiore, in occasione del cinquantenario del dogma dell’Immacolata Concezione, e davanti a questo quadro hanno sostato in preghiera, sino ad oggi, molte generazioni di giovani e di fedeli. Anche noi oggi siamo qui, in questa chiesa costruita dalla signorina Lasserre, davanti a questo stesso quadro donato da don Rua, per rendere grazie al Signore dei suoi benefici, e per rinnovare l’offerta delle nostre vite e di questa istituzione al Cuore Immacolato della celeste madre di Dio, ricordando che salvare la propria anima è l’impegno più importante della nostra vita cristiana .

Grazie, cari amici, per la vostra accoglienza; grazie per la vostra numerosa e calorosa presenza. Per ricambiare tanta vostra bontà, vi porto un grande regalo: il saluto e la benedizione di Papa Benedetto XVI. Quando gli ho detto che venivo a Caserta, Egli mi ha chiesto di assicurare a voi, cari giovani casertani, la sua vicinanza spirituale e il suo paterno affetto. Il Papa conta molto sui giovani, e li desidera generosi e pronti a grandi imprese, animati da forti e saldi principi spirituali e morali. È per me allora una vera gioia trasmettere a tutti voi qui presenti - sacerdoti e laici, giovani e famiglie - la speciale benedizione che estende alle attività che qui svolgete e a tutti i vostri progetti di bene. Grazie inoltre per la vostra amicizia. Tra voi mi sono sentito subito in famiglia, ho respirato quel tipico clima della nostra famiglia salesiana; con voi rivivo le mie radici e ripenso agli anni lontani della giovinezza e a quelli del mio apostolato come salesiano professore e poi rettore della nostra Università Salesiana di Roma. Qualche sacerdote qui presente mi ricorda come suo insegnante, e il vostro direttore mi ricorda come suo direttore di comunità. Ecco allora, lasciate che ve lo dica con grande semplicità: sono proprio felice di stare con voi, soprattutto con voi giovani e con voi, cari confratelli, per sentire insieme la presenza spirituale del nostro fondatore Don Bosco e per assaporare il suo amore per i giovani, i quali, amava ripetere, “non devono solo essere amati, ma conoscere di essere amati”.

Torniamo alla liturgia di questa terza domenica di Avvento. Nella seconda lettura, san Paolo ci ha ricordato che quando la gioia e la pace inondano i nostri cuori, essi si aprono a tutto ciò che è bello, vero e buono. Anche a noi egli rivolge questa accorata esortazione: “Non spegnete lo spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19). Ci ricorda di avere sempre occhi aperti per cogliere in ciò che ci circonda i segni dell’azione di Dio. Oggi, nel mondo, tra tanti fatti di cronaca nera e situazioni negative, tra tante difficoltà ed ingiustizie, come afferma il Papa nel messaggio per la giornata mondiale della pace che si celebra il 1° gennaio prossimo, emergono tuttavia elementi di speranza che dobbiamo saper riconoscere e coltivare con pazienza. È l’attitudine che noi amiamo definire “profetica” del cristiano attento a cogliere i “segni dei tempi” e coraggioso nel vivere la fede con coerenza. L’umanità avanza tra tante prove; san Paolo vede l’uomo e il creato come segnati quasi dalle doglie di un parto. Tocca a noi discernere i germi della novità evangelica, sentirci responsabili della novità che germoglia senza spegnere lo spirito e senza disprezzare le profezie, cogliere coraggiosamente il buono che c’è nella società contemporanea e rigettare con decisione il negativo che può distruggere la nostra fede.

La liturgia ci mostra un esempio da seguire in questa nostra azione profetica: Giovanni Battista, il testimone coraggioso di Gesù. Davanti al Precursore del Messia, che non esitò a proclamare la verità sino al martirio, come non riflettere sul nostro impegno di veri discepoli di Cristo? Giovanni Battista non cerca nessun vanto e potere se non proclamare la Parola di Dio: definisce se stesso una “voce” che grida nel deserto per attirare le masse ed indicare loro la via a seguire; egli è una voce che “denuncia” le tante forme del male e invita a preparare il cuore per accogliere il Redentore; indica la luce, consapevole di non essere lui stesso la luce. È annunciatore e testimone come ogni cristiano dovrebbe essere. Ci aiuti san Giovanni Battista a non venir meno mai alla nostra missione, ci aiuti a non lasciarci assorbire dalle preoccupazioni materiali, a non ricercare unicamente vantaggi e cariche umane, a non basare la nostra esistenza sul prestigio, il denaro, la carriera, il successo. Nell’odierna società, che alcuni definiscono “post-cristiana” nel senso che la fede sembra ormai relegata alla periferia dell’esistenza, occorre ridestare nei cristiani l’audacia della testimonianza evangelica. Vi sono dei “sì” al bene e dei “no” al male che vanno proclamati con chiara fermezza, senza compromessi, e questo non è facile. Questi “sì” e questi “no” costituiscono il silenzioso “martirio di amore” al quale ogni cristiano è chiamato, il prezzo alto da pagare per la fede, sapendo che in paradiso, come si suole ripetere, “non si va in carrozza”.

Cari amici, è proprio questa la condizione indispensabile per accogliere il Signore che viene nel prossimo Natale, che vi auguro di trascorrere serenamente. Preghiamo insieme la Vergine Maria, proseguendo la Santa Messa, perché ci aiuti a vivere “con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza”.

 

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