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SIMPOSIO PROMOSSO
DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

INTERVENTO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

«Benedetto XIV e la riforma della
Sacra Penitenzieria Apostolica»

(Mercoledì, 14 Gennaio 2009)

 

Letto da Mons. Charles SCICLUNA

 

Introduzione

Questa mia relazione si inserisce nel contesto del vostro simposio dedicato ad analizzare i percorsi storici-giuridici-teologici e le prospettive pastorali della Penitenzieria Apostolica e del Sacramento della Penitenza. Un tema che appare subito tanto vasto quanto interessante; si tratta di un argomento che abbraccia – si potrebbe ben dire – la bimillenaria storia della Chiesa. Un argomento così significativo merita giustamente che sia analizzato da vari punti di osservazione, a partire proprio da una seria e approfondita ricostruzione storica, che marchi i vari passaggi e riforme concernenti il sacramento della Riconciliazione sino ad oggi. A promuovere questa “due-giorni” di studio è la Penitenzieria Apostolica e questo aggiunge subito, al carattere scientifico ed interdisciplinare del simposio, una connotazione pastorale molto significativa. Si intende cioè sottolineare l’importanza del vostro Dicastero nella vita del popolo di Dio, e la necessaria preparazione teologica, pastorale ed ascetica di quanti sono chiamati ad amministrare il tesoro inesauribile della divina misericordia principalmente attraverso il Sacramento della riconciliazione. Il simposio, inoltre, vuole rispondere a talune nuove domande emergenti circa l’amministrazione del Sacramento della Riconciliazione, in un’epoca, come questa, di progressiva secolarizzazione. E’ davvero necessario che il patrimonio di approfondimenti connesso allo studio e alla pratica della penitenza nella Chiesa non vada disperso; è al tempo stesso sommamente opportuno che si conoscano in modo approfondito gli itinerari sinora percorsi per capire le ragioni che hanno motivato le riforme del passato e progettare, se necessario, altri possibili e utili aggiornamenti. Plaudo pertanto all’iniziativa e, pur non avendo potuto prendere parte di persona, non ho voluto tuttavia far mancare il mio apporto al vostro incontro.

Prima di avviarmi a trattare, sia pure brevemente, il tema assegnatomi, vorrei farmi interprete dell’apprezzamento di Sua Santità per il servizio nascosto e prezioso che la Penitenzieria Apostolica svolge; un servizio tra i più necessari per la vita dei credenti. Il Santo Padre, che per molti anni è stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – e del quale mi onoro essere stato a lungo collaboratore quale Segretario del Dicastero – conosce bene le problematiche di coscienza che vengono da voi esaminate, e quanta pace viene ridonata con le vostre risposte al cuore di chi ricorre alla Chiesa implorando di essere liberato da censure e pesi spirituali. Anche per mio tramite, Egli assicura piena adesione a questo vostro incontro ed ai partecipanti tutti fa pervenire l’assicurazione della sua preghiera ed una speciale Benedizione Apostolica. Quando il 16 marzo di due anni or sono ricevette in udienza i partecipanti al corso sul foro interno promosso sempre da codesto Dicastero, ebbe a far notare che “oggi pare che si sia perso il “senso del peccato”, ma in compenso sono aumentati i “complessi di colpa” e aggiungeva che solo l’amore di Dio può liberare “il cuore degli uomini da questo giogo di morte”, ed il sacerdote, nel sacramento della confessione, è strumento di questo amore misericordioso di Dio invocandolo nella formula dell’assoluzione dei peccati. Ed aggiungeva l’auspicio, riprendendo quanto Giovanni Paolo II scrisse nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, che ogni persona possa “riscoprire Cristo come mysterium pietatis, colui nel quale Dio ci mostra il suo cuore compassionevole e ci riconcilia pienamente a sé: E’ questo volto di Cristo che occorre fa riscoprire anche attraverso il sacramento della Penitenza” [1]. Sono persuaso che il vostro simposio contribuirà ad esaudire questo auspicio del Santo Padre Benedetto XVI; un auspicio del resto costante in tutti i Pontefici, i quali, a più riprese hanno voluto porre mano a riforme che rendessero il Sacramento della Penitenza più fruibile da parte dei fedeli e la Penitenzieria Apostolica sempre più idonea al suo compito.

Benedetto XIV e la riforma della Sacra Penitenzieria Apostolica

Tra questi Pontefici c’è Benedetto XIV che, da grande canonista, svolse un ruolo speciale nel dare nuovo assetto a quella che allora era denominata Sacra Penitenzieria Apostolica. Chi non conosce la riforma della Curia Romana da lui condotta, chiamata “Riforma lambertiniana”? Ho avuto modo di approfondirne ampiamente i contenuti e gli aspetti qualificanti, avendo riservato a Papa Prospero Lambertini i miei studi, che mi hanno portato a elaborare un volume intitolato appunto: “Il governo della Chiesa nel pensiero di Benedetto XIV” [2], che sarà la base di questa mia relazione ed a cui rimando ovviamente per l’apparato critico completo. Ed allora, pur fisicamente lontano, in Messico, quale Legato Pontificio all’incontro mondiale delle famiglie, volentieri prendo parte al convegno con questa mia relazione che ha per tema: “Benedetto XIV e la riforma della Sacra Penitenzieria Apostolica”, riprendendo alcune riflessioni contenute nella mia tesi di laurea in diritto canonico, aggiungendovi opportuni e necessari aggiornamenti. Il mio intento non è quello di presentare una trattazione esauriente di tutta l’opera compiuta da questo illustre Pontefice, ma indicare e proporre alcune piste di indagine di carattere storico, giuridico, e teologico-pastorale.

E’ noto che la Penitenzieria Apostolica è l’Organo della Santa Sede per il foro interno, la cui origine risale, in un certo senso, al potere delegato dai Papi ad alcuni “penitenzieri” di concedere le dispense dai casi riservati (per violazione di leggi ecclesiastiche) e le assoluzioni dalle censure ai numerosi pellegrini che a tal fine convenivano a Roma da ogni dove. Mentre è possibile trovare già nel 1193 la più antica menzione di un Cardinale «qui confessiones pro papa... recipiebat», si deve tuttavia giungere al 1256 per incontrare invece il termine Penitenzieria per la prima volta impiegato in un documento ufficiale del cardinale Ugo da San Caro, famoso esegeta e teologo domenicano, che fu nel contempo il primo a portare il titolo specifico di Poenitentiarius summus o Sedis Apostolicae Poenitentiarius generalis, (c. 2, I, 3 in Clem.) [3]. In seguito i Papi emanarono via via provvedimenti per definire la struttura ed il funzionamento di quest’organo giudiziario sui generis. Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lorenzo Lambertini, comunemente detto il Magister, che fu certamente il più erudito e colto Papa del suo secolo, si occupò della Penitenzieria con una serie di costituzioni, emanate tra gli anni 1744 e 1748, con le quali ne riordinò ampiamente ancora una volta la struttura organizzativa, nonché le procedure amministrative.

Ricordato per la ricchezza della scienza teologica e canonistica, l’amore e la passione per la Chiesa, la sensibilità moderna per il dialogo con la cultura del suo tempo, Papa Lambertini si distinse, in modo speciale, come teologo-canonista; diverse delle sue opere di diritto canonico conservano un indubbio valore scientifico ancor oggi. Un’estrema moderazione contrassegnò il suo atteggiamento nel dirimere questioni di ortodossia e nel prendere posizione di fronte alle tendenze che si contendevano il terreno nel grembo della Chiesa [4]. Egli era ben consapevole del fuoco che vi si accendeva per puro spirito di parte, soprattutto nelle controversie giansenistiche, e di questo si preoccupava con spirito pastorale: «Troppe patenti si spediscono di giansenista – egli notava - anche a chi condanna di vero cuore le proposizioni di Giansenio e tutte le altre condannate, ma che poi non approva una morale rilasciata e coltivata nei libri degli ultimi moralisti» [5]. Condannò la Biblioteca Giansenista o catalogo critico dei libri giansenisti e i giansenisteggianti del Gesuita P. Domenico da Colonia [6], in cui l’autore, sotto l’etichetta di giansenismo, raccoglieva anche opere estranee, ad es. gli scritti del Card. Enrico Noris [7]. Al contrario rifiutò di condannare le opere teologiche degli Agostiniani Belleli e Berti, continuatori della scuola del Noris, che alcuni vescovi francesi avevano denunciato come eretici [8]. L’argomento del giansenismo ritorna continuamente nelle lettere al Card. de Tencin, ove Benedetto XIV si sforza di svelenire l’ambiente e di riequilibrare il giudizio delle fazioni in lotta [9].

Struttura societaria e fine spirituale della Chiesa

Scrive Benedetto XIV che il fatto stesso che la Chiesa è centralizzata nel Papa, «in unius visibilis Capitis coniunctione coagmentata» [10], induce una gerarchia ed un ordine d’autorità, e ricorda che Gesù Cristo ha affidato al suo Vicario in terra il «regimen» di tutto il gregge cristiano [11], e ai vescovi una porzione di fedeli, i quali «in iis quae sunt ad Deum... saluberrime instituantur, opportune confirmentur, et sapienter regantur» [12]. In questo passo, inserito in una Costituzione ai cattolici di rito copto, ove espressamente crea un Vescovo per loro, questo Papa toccava la funzione totale della Gerarchia nella Chiesa, che ha il compito di dirigere i fedeli entro i confini di una disciplina da lui qualificata «moderata» [13]. Non si pensi però, egli osserva altrove, che questa esteriore configurazione di disciplina si contrapponga come un ostacolo alla interiore dipendenza da Dio e da Cristo. Anzi, le è così aderente, o piuttosto vi si identifica così tanto, che Dio ratifica in cielo ciò che è legato o sciolto sulla terra [14]. Questa società misteriosa, divina e umana, che Benedetto XIV vede come «popolo di Dio» [15] in marcia tra i pericoli della mondanizzazione e la perfezione dell’ideale datole dal suo Fondatore e Capo [16], ha come scopo la beatitudine eterna [17], nella pienezza della realizzazione del Corpo Totale di Cristo [18]. A questo fine tende tutta l’attività della Chiesa «de aeterna Filiorum suorum salute in primis sollicita» [19].

In questo contesto si comprendono il valore e la funzione, l’importanza e l’utilità spirituale dei Sacramenti, istituiti da Gesù Cristo, «per quae omnis vera iustitia vel incipit, vel coepta augetur, vel amissa reparatur» [20], e delle indulgenze che attingono l’efficacia di propiziazione dall’immenso tesoro di doni celesti costituito dalla Passione e Morte di Cristo, dai meriti della Madonna e dei Santi [21]. A tale scopo è anche indirizzata la funzione ministeriale della Gerarchia nel governo e nel magistero dei fedeli [22].

Sempre a questo fine di eterna salvezza, che si anticipa già sulla terra nella santificazione universale [23], intenzione costante della preghiera comune, come si esprime il Papa nella Bolla dell’Anno Santo 1750 [24], è ordinata tutta la pedagogia della Chiesa [25]. Come «Pia Mater» così è chiamata la Chiesa, la «Catholica Mater» [26], generatrice di nuovi figli per mezzo dello Spirito Santo [27], ne persegue appassionatamente la salvezza, sia quando assolve che quando punisce [28]. Tale è infatti la sua missione, che ha ereditato dal «Pastor Bonus, ad quaerendam ovem quae perierat, a Patre missus» [29].

La riforma della Sacra Penitenzieria Apostolica

Della pertinenza delle cause di foro interno affidate alla Sacra Penitenzieria Apostolica e del funzionamento di questo «Officium» tratta la Costituzione di Benedetto XIV «Pastor bonus» del 1744 [30]. Possiamo coglierne gli elementi più importanti nelle facoltà che vengono concesse al Penitenziere Maggiore e che vado a riassumere:

1) Facoltà di assolvere «in foro conscientiae tantum», sia i Regolari, sia i Secolari, Ecclesiastici e laici, da tutte le colpe, pene, e censure, anche da quelle che erano state comminate dalla precedente Bolla «In Coena Domini».

2) Facoltà di assolvere i pellegrini a Roma, per il tempo necessario ad acquistare le indulgenze, con la condizione di reincidenza nelle censure «elapso tempore ab ipsa Poenitentiaria ad effectum praedictae visitationis definiendo»

3) Facoltà di assolvere dall’eresia occulta, e anche da quella pubblica ove non sia necessario denunciare i complici.

4) ‘In utroque foro’ il Penitenziere Maggiore può assolvere: - i Regolari, da qualunque pena e censura; - i Secolari Ecclesiastici e laici, quando si tratta di censure pubbliche «latae a iure», «vel etiam ab homine, tunc quando Delegati, vel alterius iudicis, a quo latae fuerunt, iurisdictio expiraverit, seu quando absolutio per eosdem iudices, aut alios, ad Rom. Pont. et ad dictam S. Sedem remissa fuerit; seu quando sic censura ligati legitime impediuntur, quominus praesentiam iudicum, vel illorum qui eos sic ligarunt, aut alium, seu alios, quos de iure deberent, adire possint» [31].

La meticolosità di queste prescrizioni rivela a quale grado di pignoleria casistica erano giunti i giuristi del tempo, e assai opportunamente il Papa bollava coloro che bizantineggiavano sulla interpretazione delle leggi [32].

Continuando l’enumerazione delle facoltà concesse al Penitenziere Maggiore, la Cost. Pastor bonus viene incontro specialmente ai Regolari [33], ed alla domanda di dispensa da impedimenti matrimoniali [34], e si chiude elencando i poteri del Penitenziere Maggiore durante la ‘Sede Vacante[35].

L’importanza attribuita alla Penitenzieria «instar fontis patentis Domui David in ablutionem peccatoris, ad quod universi Fideles ex omni Christiani Orbis regione pro suis quisque spiritualibus morbis... tuto confugere possent» si coglie molto bene nell’introduzione storica della Bolla ove descrive l’evoluzione della Penitenzieria, e riconosce il prezioso ministero ch’esso ha sempre svolto nell’economia generale della Chiesa [36].

Il Tribunale della Penitenzieria Apostolica è piuttosto rivolto «ad interius poenitentiae forum» [37], anche se non esclude a priori casi di foro esterno, mentre secondo l’occasione, il Tribunale dell’Universale Inquisizione, destinato a conservare l’integrità della fede «adversus haereticam pravitatem» [38], assolveva il suo compito specialmente in foro esterno, in relazione alle stampe pericolose ed ai libri contro la fede e la morale [39].

L’assoluzione dalle pene

Consapevole di rappresentare il Buon Pastore [40], Benedetto XIV fu larghissimo nell’assolvere dalle pene incorse e nel concedere ampie deleghe ai ministri dei gradi inferiori. Tra i vari casi di assoluzione, uno di particolare interesse ci è prospettato nel Breve Cum dudum diretto ai Gesuiti delle Indie Orientali [41]. I Missionari Gesuiti e gli Ordinari locali avevano ricevuto da Pio IV la facoltà di dispensare dagli impedimenti matrimoniali di consanguineità e di affinità (eccetto quelli di diritto divino) sia in foro interno (in perpetuo), sia in foro esterno (per venti anni) [42]. Tale facoltà era stata rinnovata dai Successori fino al Papa Clemente XII, che l’aveva riconfermata il 9 settembre 1734 [43]. Benedetto XIV venne pregato di prorogarla ed allo stesso tempo di sanare le dispense date, scaduto il termine della facoltà, e di assolvere i Missionari che perciò fossero incorsi in censure.

Egli vi aderì, riducendo però la facoltà al solo «foro conscientiae» [44]. Così pure volle assolvere «pro hac vice tantum», tutti i Provinciali e Padri della Compagnia, nonché gli Ordinari locali che, dispensando nonostante fosse spirata la facoltà concessa da Clemente XII, fossero incorsi in censure o pene ecclesiastiche [45].

Tra le concessioni di privilegi, va poi menzionato un Breve diretto alla Confraternita del Soccorso contro gli infedeli [46], ove viene illustrato il privilegio di scegliersi un confessore che, due volte nella vita possa assolvere da tutti i casi riservati, anche dai riservati alla S. Sede [47], non però dai riservati all’Ordinario del luogo «sine eorundem Ordinariorum licentia» [48].

È di estremo interesse per quanto concerne l’assoluzione dalle censure la Costituzione Convocatis [49] concernente le facoltà in possesso dei Penitenzieri e dei Confessori di Roma: ‘pro foro conscientiae tantum’ veniva data la facoltà di assolvere da tutte le censure, anche da quelle contenute nella già citata Bolla ‘In Coena Domini’. Ai Penitenzieri, inoltre, si concedeva di assolvere da tutte le censure ‘ab homine’, solo per l’acquisto del Giubileo, a condizione di reincidenza appena lucrato il Giubileo [50]. Ai Penitenzieri, a differenza degli altri Confessori, dette pure la facoltà di assolvere dalle censure anche se pubbliche, con l’impegno di consegnare poi ai penitenti un libretto, indicante il caso e contenente la sottoscrizione dell’assoluzione ricevuta, dietro la quale la Penitenzieria Apostolica avrebbe potuto concedere il Breve relativo [51].

Benedetto XIV intese estendere le indulgenze del Giubileo anche alle Monache di clausura, ai carcerati, infermi, ecc., che non potevano venire a Roma [52]. Sempre nella Costituzione Convocatis, Papa Lambertini autorizzava i Vescovi a concedere ampia facoltà di assolvere dai casi loro riservati [53]. Segno di paterna carità - come il Padre del figlio prodigo - è l’appello che, sull’esempio dei Predecessori, egli rivolse ai Regolari apostati e fuggitivi, affinché ritornassero alla loro religione, condonando loro tutte le pene meritate, purché ne chiedessero l’assoluzione al Superiore [54].

Da quanto sono andato sinora descrivendo, citando alcuni i suoi interventi contenuti nelle varie Bolle e Costituzioni, emerge che, al di sopra del fosco orizzonte delle pene ecclesiastiche, prevaleva un atteggiamento paterno e misericordioso in questo Papa, atteggiamento divenuto intenzione conclamata in occasione del Giubileo, quando auspicava di «vedere se si può ridurre ad un Anno Santo di edificazione, e non di scandalo; ad un Anno Santo, in cui si mettono al suo lume le facoltà che si danno ai confessori, ed in cui non si manchi al bisognevole delle coscienze, e non si slarghi tanto la mano, che resti luogo alla solita esclamazione che ‘ potestas data est ad aedificationem, et non ad destructionem’» [55].

Penitenza e indulgenza

Qualche cenno mi pare ora utile dedicare al tema dell’indulgenza considerata come la remissione che l’uomo ottiene davanti a Dio per la pena temporale dei peccati [56]. Come è ben noto, i peccati nella loro dimensione di colpa sono perdonati in particolare attraverso l’azione efficace sviluppata ex opere operato dal Sacramento. Ne permane tuttavia ancora viva la pena, per l’appunto quella temporale, che rimane dunque perfettamente differenziata da quella eterna. Il tema delle indulgenze è oggi in parte da riscoprire, ed in parte da meglio comprendere. Ad esempio, è interessante ed utile prestare attenzione alla potestas di concedere indulgenze, espresse proprio attraverso la mediazione della Penitenzieria Apostolica, all’ampiezza della liberazione procurata dalle indulgenze, al soggetto in grado di acquisirle con le condizioni che gli sono richieste. Si tratta di nozioni, compresa quella di tesoro della Chiesa, che nel corso dei secoli hanno conosciuto vari e progressivi approfondimenti. Di certo il contenuto riferito dalle nozioni ha subito in questi ultimi anni variazioni, anche in conseguenza del fatto che la ricerca più recente tenta una riesposizione teologica e pastorale dell’istanza giuridica nella Chiesa. Per gli opportuni chiarimenti è però indispensabile una ricerca approfondita della questione e il contributo competente della teologia sistematica.

In effetti, nella definizione proposta tradizionalmente a proposito dell’indulgenza è conservato in primo piano il richiamo alla connessione dell’indulgenza con l’enigma del male. Il legame è posto espressamente con quella figura del male, che è il male morale, vale a dire il peccato. La definizione attesta la circostanza incontrovertibile per la quale l’esplicitazione della nozione di indulgenza è strettamente raccordata al processo al quale nel corso dei secoli la forma liturgica del Sacramento della Penitenza è stata sottoposta manifestamente. I presupposti per la specificazione della natura dell’indulgenza sono rinvenibili nella prima fase dell’esistenza del Sacramento, denominato con l’appellativo di penitenza canonica. Solo nel passaggio dalla seconda alla terza fase della storia del Sacramento cominciò ad emergere con chiarezza una pratica dell’indulgenza. Inizialmente l’azione dell’indulgenza venne mantenuta separata rispetto alla celebrazione del sacramento. Con l’unificazione al sacramento, e sul piano riflessivo l’inclusione all’interno dello svolgimento della teologia dei sacramenti, ebbe inizio quella chiarificazione della natura ed efficacia dell’indulgenza, che definisce il modo tradizionale di pensarla. Ma per il legame che l’indulgenza ha con l’enigma del male l’importante rinnovamento recente della sacramentaria aiuta a riformulare l’intera questione.

La pratica sacramentale della penitenza suppone l’assoluta gratuità dell’intervento Cristologico, per il cui tramite Dio dona all’uomo la conquista della libertà e la correzione che porta l’uomo a lottare contro il rischio di perdersi nel male. Che storicamente Gesù abbia riservato un comportamento e un atteggiamento del tutto particolari verso i peccatori costituisce uno dei tratti più certi ed evidenti della tradizione neotestamentaria. Si tratta per altro di gesti dotati di una rilevanza decisiva per la comprensione dell’originalità della vita di Gesù, di cui essi entrano a fare parte. L’originalità non comporta però una disattenzione nei confronti dell’insegnamento dell’Antico Testamento. Mediante il gesto di Gesù, è in effetti ripreso l’annuncio vetero-testamentario con la promessa indirizzata all’uomo di entrare “nel” perdono dei peccati appositamente realizzato da Dio a beneficio dell’umanità. Questo dono ribadisce e specifica la natura della signoria di Dio sull’esistenza dell’uomo e dunque sulle molteplici differenziate situazioni in cui l’uomo si trova a vivere. Gesù ribadisce la promessa divina per tematizzarne la struttura e insieme le conseguenze mediante la sua azione di condivisione della tavola dei peccatori (Lc 15, 2). E l’atto risulta essere una concretizzazione simbolica dell’obiettivo della predicazione che Gesù introduce con una forza del tutto propria.

Percezione del male, peccato e perdono

E’ stato detto che l’uomo contemporaneo, attratto sempre più nel mondo virtuale, non riesce a distinguere il vero dal falso, il bene dal male e questo lo conduce a un relativismo culturale ed etico banalizzate gli atteggiamenti della vita. Come veicolare allora oggi i concetti di peccato e di perdono? Come far percepire il senso della pena e della colpa, il valore della penitenza e dell’indulgenza? Lo sforzo dell’evangelizzazione è certamente quello di far incontrare gli uomini e le donne di questa nostra epoca con Cristo e sperimentare personalmente la potenza redentrice della sua Parola che è Via, Verità e Vita. Ma come questo può avvenire per quanto concerne il Sacramento della Penitenza?

In verità non mancano studi in proposito e una vasta ricerca pastorale interessa la Chiesa nell’impegno di far percepire la gioia del perdono che si comunica nel Sacramento della Riconciliazione, detto pure Sacramento della gioia. Gesù che incontra e sta a tavola con i peccatori (Lc 7, 47), è lo stesso oggi che ci invita ad accoglierlo. Formare le coscienze al senso del peccato significa aiutarle a non cadere nell’oppressione dei sensi di colpa che appesantiscono tante umane esistenze, ma a sapere che l’amore infinito del Padre celeste può restituire pace anche ai cuori più lacerati. Questo evidenzia quanto urgente sia approfondire il valore e l’importanza del Sacramento della Penitenza ed in proposito significativo è il contributo che la Penitenzieria Apostolica può offrire nell’ambito delle competenze sue proprie.

Le varie riforme succedutesi nel corso dei secoli, alcune delle quali ho citato in questa mia relazione, hanno avuto tutte e sempre un unico scopo: la salus animarum, la salvezza delle anime, che nella Chiesa costituisce la suprema lex (cfr can. 1752). Accogliere il perdono di Dio consente all’uomo di rinvenire la riuscita integrale della propria esistenza, e la nuova comunione con Dio è il rinnovamento dell’umanità, liberata dai vincoli del male. Lo sguardo si fissa sulla croce di Cristo. Nel mistero dell’annientamento mortale dell’accadimento della croce, Dio dischiude il futuro che nessun presente risulta in grado di suscitare da se stesso. In Cristo crocifisso e risorto Dio riconcilia l’uomo peccatore e gli procura esistenza e futuro. Il frutto della riconciliazione divina esige però da parte dell’uomo la libera e responsabile accoglienza. Il perdono di Dio antecede e consente l’accettazione alla quale ciascun uomo viene personalmente chiamato. L’antecedenza costituisce la condizione necessaria per la conversione e trasformazione dell’esistenza. Così si legge nell’oracolo del profeta, «non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato» (Ger 31, 34). Il cristiano è trasformato dal fatto stesso di riconoscere che è già stato perdonato, e rendersi consapevole dell’anteriorità del perdono sull’azione dell’uomo gli apre il cuore alla vera conoscenza di sé e del mondo. Questo perché il passaggio dall’oscurità dell’ignoranza alla luce della conoscenza è la finalità primaria dell’azione divina. E colui che è già stato perdonato deve considerare se stesso come ancora sempre da salvare, nel senso che dev’essere ancora sempre da guarire. Se il peccato è perdonato e allontanato o anche “morto”, occorre tuttavia che questa morte sia compresa e la comprensione ha la forma di una lotta contro il male.

Chi è stato perdonato in fondo riconosce se stesso come colui che di nuovo potrebbe smarrirsi nella contraddizione del male; quel che è accaduto anche soltanto per una volta, potrebbe nuovamente riaccadere. L’accoglimento del dono della salvezza e della sua radicale gratuità non distrugge il ricordo e quindi lo sviluppo della storia con il suo passato. Piuttosto lo guarisce liberando la memoria dal peso del debito costituito dalla colpa. Il credente è messo allora nella condizione di libertà nel senso che può aprirsi a progetti generati dall’attesa. È a questo livello che interviene ciò che l’indulgenza rappresenta per il cammino autenticamente cristiano, diretto alla vittoria sul male attraverso la riconferma della fede come pure attraverso l’edificazione della coscienza morale del cristiano. In ciò si riconosce la lotta, secondo una universalità nell’estensione e secondo una radicalità nel fine, da parte del cristiano nei riguardi del male e della sua forza.

Conclusione

Queste mie note, i cui contenuti andrebbero certamente meglio approfonditi, hanno voluto da una parte riassumere l’opera riformatrice, circa la pratica della Penitenza e della Penitenzieria, condotta da Papa Lambertini, Papa umanissimo, insigne teologo e giurista, attento ed acuto conoscitore delle condizioni e delle problematiche del suo tempo, aperto sempre al dialogo e alla comprensione, restando però irremovibile nella tutela e nella difesa dei principi cristiani; dall’altra parte hanno cercato di allargare, sia pure brevemente, lo sguardo sulle problematiche odierne legate alla pratica del Sacramento della Penitenza e sui concetti stessi di indulgenza e penitenza così come sono percepiti dall’opinione pubblica corrente. È solo un modesto contributo che affido all’attenzione di quanti prendono parte al simposio, auspicando che esso porti i frutti sperati.

Ho ripreso tra le mani in questi giorni la Divina Commedia di Dante e mi sono soffermato su alcuni canti del Purgatorio, che sono nell’insieme un vero pellegrinaggio nel mondo dell’espiazione dei peccati, della penitenza e delle pene da scontare prima di giungere nella luce sfolgorante ed appagante del Paradiso. Rileggere i versi danteschi è toccare con mano, profonda teologia unita a fine sensibilità poetica e religiosa. Proprio all’inizio del ventesimo canto, nel girone dei golosi dove Dante riconoscerà Forese de’ Donati, leggiamo questi versi di alto contenuto spirituale.

“Ed ecco piangere e cantar s’udie:
Labia mea, Domine, per modo
Tal che diletto e doglia parturie.
O dolce Padre, che è quel ch’i’odo?
Comincia’io: ed egli: Ombre che vanno,
forse di lor dover solvendo il nodo” ( vv.10 – 13).

Il servizio ecclesiale che offre la Penitenzieria Apostolica, il mistero di grazia e di perdono che si realizza nel Sacramento della Penitenza non è visibile, né materialmente palpabile, ma è certamente un prodigio di grazia che ridona dignità all’uomo e lo riapre all’amicizia con Dio; è al tempo stesso uno straordinario contributo a quelle “ombre che vanno, forse di lor dover solvendo il nodo”. Poiché è assai probabile che il nostro pellegrinaggio terreno, prima di approdare al Cielo, passerà per il Purgatorio, per un accrescimento di desiderio e di amore divino (come attesta Santa Caterina da Genova), comprendere meglio l’importanza della penitenza e dell’indulgenza è un contributo senz’altro utile da offrire ai fedeli anche di questo nostro tempo.

 

[1] cfr. Benedetto XVI, Insegnamenti, III 2007, pp. 514–515.

[2] Bertone T., Il governo della Chiesa nel pensierto di Bendetto XIV (1740-1758), Las-Roma, 1977, pp. 207.

[3] Cfr. DEL RE N., La Curia Romana, lineamenti storico giuridici, LEV 1998.

[4] JEMOLO A.C., art. Benedetto XIV, in Enciclopedia Italiana, vol. VIII, Milano 1933, 612. Vedi anche Lettera al Card. de Tencin del 6.8.1749, Il. 187-88.

[5]Lettera al Card. de Tencin del 17.5.1743, I, 76; vedi anche lettera del 10.8.1742, I, 16. 62: vedile in MORELLI E., Le lettere di Benedetto XIV al Card. De Terencin dai testi originali, vol I, 1740-1747, Roma 1955; vol. II, 1748-1752, Roma 1965. Per le lettera già pubblicate indicheremo solo la data, il volume e la pagina dell’edizione di MORELLI E.; per quelle non ancora pubblicate useremo la sigla ASV (Archivio Segreto Vaticano, seguita dal numero dell’armadio, del volume e del “folio” a cui ci riferiamo).

[6] PASTOR L., Storia dei Papi, XVI – I, Roma 1933, 261. Sul P. Da Colonia vedi: BERNARD P., art. Colonia (Dominique de), in DTC, t. III, Paris 1908, 376-78; cfr. anche lettera al Card. de Tencin del 21.1.1750, Il, 235.

[7] PASTOR, o.c., 270-71. Sul Noris cfr. HURTER H., art. Noris Enrico in Nomenclator Literarius Theologiae Catholicae, t. IV, Oeniponte 1910, 855-58. Il Card. Noris fu ritenuto col Mabillon, il più importante erudito del secolo XVII.

[8] PASTOR, o.c., 173-75.

[9] Vedi ad es. lettera dell’8.6.1746, I, 342: «Ella nella sua lettera dice d’avere un’avversione particolare alla setta dei Giansenisti. Ci protestiamo d’averla anche Noi, e l’assicuriamo che nel ceto degli uomini di garbo che sono in Roma, vi è la stessa avversione: ma qui si crede non doversi dar ciecamente l’accusa di giansenismo in quelle cose nelle quali non entra». Così vedi lettera del 9.4.1755 (in ASV, Armadio XV, vol. 156, 53 v) ove parla di un intervento in senso moderatore sull’Arcivescovo di Parigi. Sull’argomento MORELLI, E., Tre profili: Benedetto XIV, Pasquale Stanislao Mancini, Pietro Rosselli, Roma 1955, 42-44, ha fatto una buona sintesi.

[10] Cost. Gloria Domini del 22.6.1747 (ove fonda le due cattedre di Liturgia e di Storia Ecclesiastica presso l’Univ. di Coimbra - Portogallo) in Bull., II, 232 b.

[11] Cost. Pastor bonus del 13.4.1744 (sulle Facoltà della Penitenzieria Apostolica) in Bull., I, 354 b.

[12] Breve Quemadmodum del 4.8.1741, in Bull., I, 82.

[13] Cost. Pastor bonus cit., in Bull., I, l.c.: «Pastor Bonus... Vicarios operis sui... exemplis praeceptisque suis instructos reliquit ut et commissas oves intra moderatae disciplinati septa coercere, et contenere omni studio satagerent».

[14] Cost. Gloria Domini cit., in Bull., II, 232 a. Il parallelo ritorna a proposito del Sacramento del Matrimonio: celebrat o davanti al magistrato civile, non è legittimo, né «coram Deo», né «coram Ecclesia», e la prole che ne segue è illegittima, sia «in oculis Dei», sia «in Ecclesiae foro»: Lettera Redditae sunt del 17.9.1746 in Bull., III, 463 a.

[15] Cost. Gloria Domini del 22.6.1747, in Bull., II, 232 b., cfr. Cost. Dogm. Lumen gentium, cap. Il: «De populo Dei» (nn. 9-17).

[16] Bolla Omnium sollicitudinum del 12.9.1744, in Bull. I, 421 a.

[17] Bolla Pastoralis del 30.3.1741, in Bull., I, 49b.

[18] Ibidem, 49a.

[19] Cost. Pia Mater del 5.4.1747, in Bull., II, 219: in questa Costituzione Benedetto XIV concede la facoltà di conferire l’Indulgenza Plenaria «in articulo mortis».

[20] Cost. Gloria Domini cit., 11, 232 a.

[21] Breve Ad passionis del 13.12.1740, in Bull., I, 22 a e Breve Coelestium munerum del 5.4.1756, in Bull., IV, 340.

[22] Breve Quemadmodum cit., in Bull., I, 82b: «...Catholicum Antistitem, a quo in iis quae sunt ad Deum, et ad aeternam suarum Animarum salutem in orthodoxae Fidei unione procurandam conducunt, saluberrime instituantur, opportune confirmentur, et sapienter regantur».

[23] Bolla Omnium sollicitudinum cit., in Bull., I, 421 a e Bolla Benedictus Deus del 25.12.1750 (sull’estensione del Giubileo a tutto il mondo), in Bull., III, 202 a.

[24] Bolla Benedictus Deus l.c.

[25] Cost. Pia Mater cit., in Bull., II, 224 a.

[26] Breve Catholica Mater del 22.8.1741 in Bull., I, 92 a.

[27] Ibidem.

[28] Cost. Pia Mater, l.c.

[29] Cost. Pastor bonus, in Bull., I, 354 b.

[30] Cost. Pastor bonus cit., in Bull., I, 354-63.

[31] Ibidem, 356, par. 6.

Sono tassativamente esclusi da queste facoltà un numero di casi ben determinati, che conviene elencare, per capire quale grado di gravità il Papa attribuiva loro per la nefasta incidenza sociale, che ben giustificava il provvedimento di restrizione: 1) le persone investite di autorità, colpevoli, nei casi pubblici, di delitti contenuti nella Bolla «In Coena Domini»; 2) I Cardinali contrattanti l’elezione del Sommo Pontefice; 3) Coloro che fanno ‘astrologia giudiziaria’ sullo stato della ‘Respublica christiana’, e che indagano sulla vita e sulla morte del Rom. Pont.; 4) I pubblici violatori del’immunità o della libertà ecclesiastica (Ibidem, 357, par. 11-14).

[32] Cfr. Cost. Impositi Nobis del 27.2.1747 sulle ordinazioni dei Regolari, in Bull., II, 164.

[33] Cost. Pastor bonus cit., in Bull., I, 359-60, par. 31-38.

[34] Ibidem, 360-61, par. 39-46.

[35] Ibidem, 362, 51-55.

[36] Ibidem, 355, par. 1-4.

Porta la medesima data del 13.4.1744 l’altra Costituzione In Apostolicae che riordina tutto l’organico degli Officiali della Penitenzieria; ne determina gli incarichi e le prebende: Cost. In Apostolicae del 13.4.1744 in Bull., I, 363-73. Circa le facoltà dei Penitenzieri e dei Confessori dell’Urbe durante l’Anno Santo cfr. l’Epistola Enciclica Inter praeteritos del 3-12-1749 in Bull., I, 160-92: in una lunga ed esauriente analisi risponde a tutte le questioni agitate dai moralisti.

[37] Cost. Pastor Bonus cit., in Bull., I, 355, par. 1. Riguardo a casi di foro esterno, vedi ad es. lettera al Card. de Tencin del 3-8-1746, I, 352 ove scrive di aver dato al Tribunale della Penitenzieria autorità in foro esterno per dispense matrimoniali a favore dei Cattolici della Slesia.

[38] Breve Cum ad Congregationem del 17.2.1758, in Bull., IV, 489.

[39] Il suo funzionamento in questo settore fu regolato dalla più volte cit. Cost. Sollicita ac provida, 9.7.1753, in Bull., IV, 109-116.

[40] Cost. Pastoris aeterni del 12.1.1750 in Bull., III, 199: «Pastoris aeterni vices, licet immeriti, gerentes in terris...».

[41] Breve Cum dudum del 20.5.1752 in Bull., III, 408-10.

[42] Ibidem, 408.

[43] Ibidem, 1.c.

[44] Una simile concessione è rintracciabile nella Cost. Convocatis del 25.11.1749 in Bull., III, 155, n. XV ai Penitenzieri durante l’Anno Santo.

[45] Breve Cum dudum cit., in Bull., III, 409. Non si comprende come possano essere incorsi in censure ecclesiastiche. Dalla relazione e dalla domanda del Procuratore Generale dei Gesuiti, risulta che essi hanno agito in buona fede: « ac dispensationes bona fide concessas, ratas habere possint...».

[46] Breve Vias Christifidelium del 21.8.1752 in Bull., IV, 16-18.

[47] Più sopra dice ‘peccati riservati’: ibidem, 17, par. 3.

[48] Ibidem, 18, par. 3.

[49] Cost. Convocatis del 25.11.1749, in Bull., III, 152-60.

[50] Ibidem, 154, n. VI. Gli Autori parlano di ‘agiuridicità’ di questa clausola.

[51] Ibidem, 154, n. V. Ai Confessori è esclusa la giurisdizione su le censure pubbliche (157, n. XXXVI). Inoltre è sempre negata la facoltà di assolvere il complice in peccato turpe: ibidem, 155, XXIII; Cost. Benedictus Deus cit., in Bull., III, 203, par. 5. Cfr. Cost. Sacramentum Poenitentiae del 1.6.1741, in Bull., I, 65-68.

[52] Cost. Paterna charitas del 17.12.1749 in Bull., III, 195-98.

[53] Ibidem, 198, par. 10.

[54] Cost. Pastoris aeterni del 12.1.1750, in Bull., III, 199-200.

[55] Lettera del 24.9.1748, II, 84-85.

[56] Per le considerazioni svolte qui di seguito faccio riferimento in particolare a: SESSOLO G., Indulgenze e fervore di carità, Roma 1976; CATELLA A., - GRILLO A., Indulgenza: storia e significato, Cinisello Balsamo 1999; UBBIALI S., Penitenza, indulgenza, giubileo, in “Quaderni di diritto ecclesiale”, aprile 1998, pp. 198-202.

 

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