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49ª ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA ITALIANA SUPERIORI MAGGIORI (CISM)
E 150° ANNIVERSARIO DELLA CONGREGAZIONE DEI SALESIANI DI DON BOSCO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Sabato, 7 novembre 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

sono grato al Signore di poter celebrare la Santa Messa con voi oggi, in questa splendida Basilica dedicata a Maria Ausiliatrice, voluta dall’amore e dal coraggio di don Bosco. A questo Santuario mariano, così caro alla devozione del popolo cristiano, io stesso come salesiano mi sento particolarmente affezionato.

Due sono le circostanze che ci vedono qui riuniti: la 49° Assemblea della Conferenza Italiana Superiori Maggiori (CISM) e il 150° anniversario della nascita della Congregazione dei Salesiani di Don Bosco. Grazie a questo anniversario è stata scelta come sede del convegno Torino.

Saluto pertanto Don Alberto Lorenzelli, che oltre ad essere il Presidente Nazionale del CISM è anche il “padrone di casa” in quanto Ispettore di una grande Provincia salesiana. Saluto cordialmente i Superiori Provinciali di vari Ordini e Congregazioni religiose, che nei giorni scorsi hanno riflettuto su un tema quanto mai significativo: “Povertà e comunione dei beni in un mondo globalizzato – per una testimonianza credibile dei consacrati”. Un deferente saluto rivolgo altresì alle autorità presenti, e a ciascuno di voi, cari fedeli, che avete voluto unirvi alla nostra preghiera.

Sono lieto di trasmettervi il beneaugurante saluto del Santo Padre Benedetto XVI, il Quale, mentre auspica che questo incontro susciti una rinnovata adesione al Signore, vi incoraggia a proseguire con rinnovato slancio la vostra importante opera a servizio della diffusione del Vangelo e volentieri invia a tutti una speciale Benedizione Apostolica.

Da parte mia vi offro qualche sottolineatura per alimentare la nostra preghiera.

Il consacrato che vive il distacco se pure nell'uso intelligente dei beni realizza il primato all'essere più che dell’avere, che è la modalità più feconda di autorealizzazione e di creatività. Colui che vive nello spirito di povertà non disprezza i beni che il Signore ci ha donato, ma ne usa con il discernimento che gli dona lo Spirito. Non subisce passivamente le proposte allettanti di un diffuso consumismo, ma sa fare a meno delle cose quando queste soffocano i valori del Regno e rendono infruttuoso l'apostolato. La nostra esistenza di consacrati vuole evidenziare la sequela di Cristo nella povertà che è propria degli Apostoli. Come essi noi abbiamo trovato la "perla di grande valore" (Mt 13,46): Cristo, che è il bene assoluto davanti al quale le ricchezze di questo mondo vanno relativizzate. Di fronte a Cristo, dice S. Paolo, ogni bene perde la sua forza seduttrice (cfr. Fil 3,7-8). Al contrario, cedere all'inganno delle ricchezze "soffoca la Parola, ed essa non dà frutto" (Mt 13,22).

Il fondamento della vita dei consacrati è Cristo. E' in forza della sua presenza che ognuno, povero di sé e ricco di Cristo, realizza una vita di fraternità. Il religioso, la religiosa, devono sempre saper smantellare i meccanismi di difesa e di possessività che rischiano di inaridire una vera comunione fraterna, e tendere ad una vita senza calcoli e paure, senza rivendicazioni e grettezze, senza infedeltà e compensazioni. Disposti ad un amore gratuito, pieno di gioia, ricolmo di vitalità, attento e discreto, forte e delicato. Rinunciare a qualche cosa, o mettere i beni in comune con altri, non significa abbandonare ciò che ci è concesso, né gettare via i doni della vita, significa invece restituire a Dio ciò che abbiamo ricevuto; restituzione che, attraverso la distribuzione, diventa una forma di ringraziamento!

La vostra riflessione sulla “povertà e comunione di beni in un mondo globalizzato” vi ha certamente aiutato a coglierne il valore della testimonianza autentica e credibile come consacrati.

Vorrei ora soffermarmi su un esempio luminoso, fra i molti che potremmo raccogliere da ciascuna Congregazione religiosa qui rappresentata dai Superiori Provinciali. L’esempio è dato dalla storia dei Salesiani di Don Bosco, e il luogo in cui siamo raccolti in preghiera di lode e ringraziamento è proprio quello in cui è stato piantato il seme. Il prossimo mese di dicembre vedrà questa basilica gremita di giovani ed adulti per ricordare le origini e l’impegno dei primi che decisero di stare con don Bosco e di dare avvio alla Pia Società di S. Francesco di Sales, condividendo ed attuando l’intuizione del “sistema preventivo” vissuto in un clima di fede profonda, di gioia e di impegno, cercando di formare “buoni cristiani ed onesti cittadini”.

Una missione ardua e difficile, quella di don Bosco e dei suoi collaboratori, fatta di pazienza, di carità, di relazioni interpersonali sincere con tutti ma che ha saputo incidere e infondere nelle coscienze coraggio, fiducia nella Chiesa e nel suo centro unificatore, il Papa. Strabiliante la creatività di don Bosco e dei suoi discepoli pur di diffondere la buona Novella e di creare condizioni di umanizzazione tali da far percepire che Dio c’è, che Dio è veramente buono e misericordioso e che non si sostituisce all’ingegno e all’impegno di ogni essere umano.

Sua maestra e guida è sempre stata la Vergine Maria. A lei si affidava e alla sua potente intercessione e protezione ricorreva con cuore fiducioso prima di progettare ogni realizzazione. I primi collaboratori di don Bosco avvertivano questo profondo legame tra il Fondatore e la Vergine Santa, di conseguenza si sentivano protetti e guidati da questa presenza materna, insostituibile e sicura.

Verso il 1862 don Bosco sente anche la necessità di una chiesa più grande perché i suoi giovani sono numerosi e non ci stanno più nella chiesa di S. Francesco di Sales. E fu così che diede compimento a questa nuova impresa sostenuto, inoltre, da tre grandi impressioni che aveva colto nel suo tempo: la presenza manifesta di Maria nel popolo cristiano (vedi le apparizioni avvenute a Spoleto), i pericoli della Chiesa (vedi gli attacchi contro il Papa) e le difficoltà del suo tempo. Don Bosco sceglie il titolo per la sua chiesa e ne dà le ragioni: “Finora abbiamo celebrato con solennità e pompa la festa dell’Immacolata ed in questo giorno sono cominciate le nostre prime opere degli oratori festivi. Ma la Madonna vuole che la veneriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. I tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine Santissima ci aiuti a difender la fede cristiana…” (Memorie Biografiche, 7, p. 334).

Per don Bosco la costruzione di questo tempio non è soltanto un lavoro tecnico, una preoccupazione per i progetti, i materiali e i finanziamenti, essa rappresenta una singolare esperienza spirituale ed una maturazione della sua mentalità pastorale. L’opera del santuario fece emergere, infatti, nell’attività apostolica salesiana una visione di Chiesa, come popolo di Dio sparso su tutta la terra, in lotta con le potenze del male: una prospettiva che rappresenterà in un’altra forma nel sogno delle due colonne (1862), fissato oggi in una pittura sulla parete di fondo del santuario. L’erezione di questo Santuario costituì un momento spiritualmente fecondo che diede l’avvio ad uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore. Don Bosco scolpì una convinzione nel cuore della Congregazione: “Propagate la devozione a Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli…” in tutti i campi, economici, sociali, pastorali, educativi.

La realizzazione di questo grande tempio supera l’idea iniziale: da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione all’idea di un santuario, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una generosità non calcolata del popolo. (Oggi possiamo affermare e testimoniare che si ripetono tali grazie!). Tutto ciò radicò in don Bosco la convinzione che “Maria si era edificata la sua casa”, “che ogni mattone corrispondesse a una sua grazia”.

All’origine del santuario di Valdocco non c’è, come in altri luoghi mariani, un’apparizione o un miracolo. Ma il tempio stesso finisce per essere un luogo e un complesso “taumaturgico” (v. don P. Stella). Affermò un sacerdote di quel tempo, il teologo Margotti: “Dicono che don Bosco fa miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso tempio che costa un milione ed è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli.” (vedi anche gli ultimi lavori di restauro…).

Mi piace ricordare che la costruzione di questa chiesa coincide ed è seguita dalla fondazione dell’Istituto delle Figlie di M. Ausiliatrice. Esse rappresentano l’allargamento del carisma al mondo femminile. Così come un’altra fondazione, l’arciconfraternita di M. Ausiliatrice (oggi ADMA) è, insieme ai cooperatori, l’estensione verso il mondo laico. Comincia allora l’espansione delle Congregazioni. Avrà la sua manifestazione vistosa nelle spedizioni missionarie che ancor oggi partono, in gran parte, da Valdocco. Ne venne come conseguenza l’apertura apostolica: dall’istituto educativo ad una pastorale popolare con elementi tipici e consolidati della tradizione: la predicazione, i sacramenti, la pratica della carità attraverso offerte materiali e partecipazione alle attività caritative. Seguì anche lo sforzo sistematico per le vocazioni adulte chiamato “opera di Maria Ausiliatrice”.

Senza assolutizzare l’affermazione, si può dire che don Bosco incominciò la costruzione come direttore di un’opera e la finì come capo carismatico di un grande movimento ancora in germe ma già definito nelle finalità e nei tratti distintivi; la cominciò come sacerdote originario di Torino e la portò a termine come apostolo della Chiesa universale. In pratica passò dalla città al mondo, da apostolo di una diocesi a messaggero e pellegrino del Vangelo oltre i confini diocesani.

Come riuscirono don Bosco e gli altri Santi piemontesi a compiere tutto ciò di cui la storia conserva la memoria e gode ancor oggi di una continua attuazione delle intuizioni iniziali? Ci aiuta a coglierne la chiave di lettura il brano evangelico poc’anzi proclamato: per essere “grandi nel regno dei cieli” occorre farsi piccoli attraverso l’umile conversione continua, il generoso e costante abbandono in Dio, la fiducia nella Provvidenza, la consapevolezza che è Dio che opera e porta a compimento i Suoi progetti, una spiritualità forte e profonda sorretta dalla preghiera e dalla carità instancabile.

E come dire e comunicare alle nuove generazioni tanta ricchezza? Don Bosco c’insegna a stare in mezzo ai giovani con vari espedienti. Espressioni d’amore, d’intuito pedagogico, di doti educative che toccano il giovane nella concretezza della sua vita e della sua situazione esistenziale. Inoltre si rivela come un abile ed attento comunicatore: con la parola efficace, con lo sguardo penetrante e rivelatore, con scritti semplici che vanno dritti alla mente e al cuore dei giovani, educandoli alla rettitudine del pensiero, del sentimento e della volontà.

L’esercizio della carità, la pratica sacramentale, l’annuncio della Parola trovano in don Bosco una sintesi originale ed una traduzione educativa straordinarie, frutto di un amore ordinato ed intelligente. Tutta l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo. Amore è pertanto il servizio che la Chiesa svolge per andare costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni spirituali ed anche materiali degli uomini.

Cari Superiori Provinciali, a conclusione della vostra Assemblea che vi ha visti raccolti insieme per verificare e riflettere su come testimoniare una scelta di povertà, su come gestire da buoni amministratori le risorse economiche, finanziarie e immobiliari frutto della carità per il servizio al Vangelo e ai più bisognosi, vi invito a farvi continuatori fedeli degli insegnamenti dei vostri Fondatori e a lasciarvi guidare anche da un approfondimento attento sull’ultima enciclica del Santo Padre Benedetto XVI Caritas in Veritate. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione (cfr n. 42), affinché tutte le nostre coscienze siano sempre ispirate agli ideali evangelici e siano educate con senso di responsabilità alla saggia ricerca del bene comune.

Esprimo sentimenti di viva gratitudine e di profonda riconoscenza per tutto il grande bene che compite. Grazie per la quotidiana ed efficace testimonianza della vostra generosità e del vostro farvi dono per il prossimo e per Dio. I nostri Santi che ci hanno preceduti nel pieno compimento della Sua volontà ci aiutino ad essere fedeli discepoli e segni credibili nella Sua Chiesa e nel mondo.

 

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