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COMMEMORAZIONE DEL VII ANNIVERSARIO DELLA VISITA
DI PAPA GIOVANNI PAOLO II AL PARLAMENTO ITALIANO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Roma
Giovedì, 12 novembre 2009

 

Desidero ringraziare il Presidente Gianfranco Fini per l’invito che mi ha rivolto a partecipare alla commemorazione del settimo anniversario della storica visita di Papa Giovanni Paolo II, la prima di un Pontefice al Parlamento Italiano, il 14 novembre 2002. Saluto in modo particolare l’Onorevole Alberto Michelini, autore del documento filmato sulla vita di Karol Wojtyła, gli Onorevoli Parlamentari, le Personalità e tutti coloro che sono intervenuti.

Rimangono ancora impressi nella nostra mente i lenti passi, sostenuti dal bastone, con cui Giovanni Paolo II ha salito i gradini che lo hanno portato allo scranno più alto della Camera dei Deputati. Erano i passi di un uomo segnato dalla sofferenza fisica, acuita dalle conseguenze dell’attentato che subì il 13 maggio 1981, e dal morbo che, da alcuni anni, lo aveva aggredito e che lo avrebbe accompagnato fino alla fine.

Papa Giovanni Paolo II non ha mai fatto mistero della sua malattia, non ha mai tentato di nasconderla. Attraverso la sua sofferenza fisica ci ha richiamato il valore del Vangelo della Vita [1] che impegna tutti, singoli, famiglie, associazioni e Istituzioni, ad adoperarsi «affinché le leggi dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita» [2], anzi promuovano «la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole» [3], sia essa embrionale o morente.

Indubbiamente, come il Pontefice ricordava proprio nell’Aula di Montecitorio, questi valori appartengono alla radice più profonda della tradizione e della cultura del Popolo italiano. Nella nostra terra – affermava il Papa – «l’annuncio evangelico, qui giunto fin dai tempi apostolici, ha suscitato una civiltà ricca di valori universali» [4]. Egli ha voluto così esprimere il suo amore per l’Italia, terra che aveva imparato a conoscere fin da quando, ancora giovane sacerdote, era venuto nell’Urbe per completare gli studi.

Non si può non rimarcare che Giovanni Paolo II ha dimostrato anche di avere doti di grande comunicatore, capace di dialogare in modo autentico e proficuo con i tanti interlocutori che ha avuto occasione di incontrare. Egli, tuttavia, ha sempre inteso affermare che alla base di ogni vero dialogo deve regnare l’amore per la verità, potremmo dire lo “splendore della verità”, riprendendo il titolo di una sua nota enciclica [5].

L’amore alla verità genera la consapevolezza che ciò che è stato ereditato dai padri si può protendere con slancio e in modo costruttivo verso il futuro. Un dialogo che parta dalla consapevolezza del proprio patrimonio culturale e umano, pertanto, è sempre proficuo. Se, invece, mancano le radici, difficilmente la pianta può slanciarsi verso il cielo o un popolo guardare al proprio futuro. Dove esiste incertezza di valori, diminuisce anche la capacità di accoglienza delle differenze e si spegne il desiderio di contribuire in modo positivo all’edificazione dell’intero corpo sociale.

Consapevole di tali sfide e pericoli, e motivato dal profondo amore per la Nazione italiana, durante la visita al Parlamento italiano del 2002, Giovanni Paolo II ha voluto mettere in guardia dal rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico. Tale alleanza «toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità» [6]. Forte di tale convinzione, la Chiesa considera perciò suo dovere intervenire sui temi che riguardano da vicino la crescita e lo sviluppo dell’uomo. Questo contributo non inficia, ma anzi arricchisce il principio di una «sana laicità» [7], perché si sforza di fornire un apporto originale alla costruzione del bene comune.

Questa passione per l’uomo, profondamente cristiana e sanamente laica, ha spinto Giovanni Paolo II a raggiungere ogni angolo della terra. Rimarranno sempre impresse nelle nostre menti le migliaia di chilometri che Egli ha percorso per annunciare il Vangelo e, soprattutto, i molti e significativi incontri che ha avuto. Vorrei ricordare, in particolare, quelli con i giovani, che il Papa amava definire la «[sua] speranza» [8] e che lo hanno seguito con entusiasmo e gioia, a cominciare dal grande raduno al “Parco dei Principi”, a Parigi, nel 1980 [9]. Là si pose la prima pietra di un edificio che è cresciuto e che consiste nella celebrazione delle Giornate Mondiali della Gioventù. Come non ricordare, in particolar modo, quella di Roma nel 2000: più di due milioni di giovani vennero da tutto il mondo per ascoltare il Papa e per sentirsi ripetere con forza: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae» [10]. I giovani hanno colto senza riserve questa attenzione del Pontefice. Ed erano soprattutto loro ad affollare Piazza San Pietro la sera del 2 aprile 2005, quando il Papa, che aveva gridato con forza «Aprite le porte a Cristo» [11], è rimasto senza voce ed è tornato alla casa del Padre.

Ai giovani, il Papa ha anche mostrato il valore fondamentale dell’educazione per la costruzione della società. Da educatore, quale è stato fin dai primi anni di ministero sacerdotale, Giovanni Paolo II ha indicato l’ineludibilità dell’educazione nella crescita umana non solo dei singoli, ma della coscienza stessa di un popolo. In questo compito rimane primario e insostituibile il ruolo della famiglia, che nasce e cresce nel rapporto stabile, duraturo e aperto alla vita fra un uomo e una donna. L’educazione familiare richiede però l’ausilio di altri soggetti, primo fra tutti la scuola, come ricordava il compianto Pontefice, proprio qui alla Camera. «Una Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un sano clima di libertà, e non lesina gli sforzi per migliorarne la qualità, in stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali» [12].

Testimone nella sofferenza, amante della verità, educatore di giovani. Questo fu Giovanni Paolo II. Più di tutto, però, è stato un uomo di preghiera, un uomo che ha fatto del suo rapporto con il Signore, potremmo dire, il suo “pane” quotidiano. Non c’era incontro, discorso, o testo che il Papa non preparasse prima nella sua cappella, davanti al Crocifisso, in un dialogo silenzioso, eppure carico di parole con Dio.

Nei nostri occhi resta fissata l’immagine del Pontefice che, durante la Via Crucis al Colosseo, in quel Venerdì Santo del 2005, avvinghiato alla Croce pronunciava faticosamente queste parole: “Sì, adoriamo e benediciamo il mistero della croce del Figlio di Dio, perché è proprio da quella morte che è scaturita una nuova speranza per l’umanità (…). Offro anch’io le mie sofferenze, perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti” [13]. Chi è stato con lui nelle sue ultime ore ci testimonia che ha pregato fino alla fine [14].

Pregare significa riconoscere che la verità di sé si realizza nella comunione verso Dio, che però non può essere disgiunta da una comunione verso gli altri uomini.

Mi piace qui ricordare quanto disse una illustre donna cristiana del nostro tempo, l’italiana Chiara Lubich, recentemente scomparsa, a proposito di coloro che si lasciano ispirare dalla croce di Cristo: “Attraverso l’uomo, Dio si riaffaccia sul mondo, e ripete – sia pur in modo infinitamente inferiore ma simile – le azioni che fece un giorno Lui quando, uomo tra gli uomini, benediceva chi lo malediceva, perdonava chi lo insultava, salvava, guariva, predicava parole di Cielo, saziava affamati, fondava sull’amore una nuova società, mostrava la potenza di Colui che l’aveva mandato” [15].

In altri termini, il recupero della dimensione trascendente della vita umana non lede l’impegno costruttivo dell’uomo nel mondo, anzi lo rende più proficuo.

Se guardiamo al ruolo dell’Italia nella storia, alla sua capacità generativa di cultura, notiamo quanto essa abbia attinto a quest’intima unione tra la dimensione verticale verso Dio e l’impeto del servizio al prossimo. Questo sguardo al trascendente si rivela necessario anche nel contesto attuale, in cui tante nuove sfide, prima fra tutte la sempre crescente multi-etnicità del Paese, si affacciano sul nostro orizzonte. Salendo i gradini di Montecitorio, Giovanni Paolo II ha così voluto rinnovare al Popolo italiano, attraverso i suoi rappresentanti, il messaggio di fiducia e di speranza che viene dal Vangelo. Possa «l’amata Nazione italiana (…) continuare nel presente e nel futuro a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale e spirituale del mondo intero» [16].


 

[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Evangelium vitae.

[2] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 93.

[3] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 101.

[5] Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor.

[14] Cfr. S. Dziwisz, Una vita con Karol, 222-223.

[15] Chiara Lubich, La croce, in Scritti spirituali/1 “L’attrattiva del tempo moderno”, Ed. Città Nuova 1978, p. 29.

 

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