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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI S.E. MONS. JEAN LAFFITTE,
S.E. MONS. MARIO TOSO E S.E. MONS. GIOVANNI D’ERCOLE

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro in Vaticano
Sabato, 12 dicembre 2009

 

“Gaudete in Domino semper, iterum dico: gaudete … Dominus prope. – Siate sempre lieti nel Signore: ve lo ripeto, siate lieti… Il Signore è vicino” (Fil 4,4-5). L’invito alla gioia, che caratterizza la III Domenica di Avvento, ben si addice a questa nostra assemblea liturgica. Ci siamo infatti radunati, presso il sepolcro dell’apostolo Pietro, per essere vicini, con la preghiera e con l’affetto, ai nostri fratelli e amici Mons. Jean Laffitte, Mons. Mario Toso e Mons. Giovanni D’Ercole, ai quali conferirò la pienezza del Sacramento dell’Ordine Sacro. La loro gioia è la nostra gioia! Ed è una felice coincidenza che questo speciale evento corrisponda all’appello odierno della liturgia rivolto a tutta la Chiesa: “Siate lieti… il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5). Carissimi Fratelli eletti all’episcopato, il mio più cordiale saluto va anzitutto a voi, ai vostri familiari ed amici. Sono veramente grato al Signore di poter amministrare a voi il grado più alto dell’Ordine sacro, insieme con Sua Eminenza il Cardinale Raffaele Renato Martino, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e con Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Molinari, Arcivescovo di L’Aquila. Saluto con viva riconoscenza i Signori Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i numerosi fedeli. Il mio grato pensiero va anche alle distinte Autorità e Personalità che hanno voluto prendere parte a questa celebrazione.

Cari Vescovi eletti, prima ancora di soffermarmi sulla Parola di Dio, vorrei dare risalto al fatto che voi venite consacrati nel cuore dell’Avvento. Non è solo una questione di calendario, perché nella liturgia tutto diventa segno, e anche questo è un segno che vi rimarrà caro per tutta la vita: siete, per così dire, “Vescovi dell’Avvento”. Che cosa può significare questo? Mi sembra che metta in luce una dimensione essenziale del sacerdozio e, a maggior ragione, dell’episcopato: siamo chiamati a risvegliare nei cuori dei fedeli l’attesa di Dio. Che stupenda missione! Il Santo Padre Benedetto XVI ha sottolineato più volte che la prima necessità del nostro tempo è riportare Dio nel mondo. Ebbene, nel mondo Dio c’è, ma spesso non è riconosciuto; né Lui vuole imporsi alla nostra attenzione. Dio bussa alla porta, e aspetta che noi apriamo. E’ Lui il primo – in un certo senso – ad “attendere”. Occorre aprire la mente e il cuore, imparare ad accoglierlo, ascoltarlo, per giungere a capirlo, amarlo, adorarlo. Ma come fare per risvegliare nei cuori l’attesa di Dio? Forse, prima di “come fare”, sarebbe meglio domandarsi “come essere”. Sì, cari Fratelli, noi siamo segno del “Dio vicino” – un’altra espressione amata dal Santo Padre – prima di tutto con il nostro modo di essere. Se siamo uomini di preghiera, i fedeli lo percepiscono. Sentono che in noi c’è una profondità, che Dio abita in noi; se ne accorgono dallo sguardo, dal nostro modo di ascoltare, di parlare… Un Pastore che porta nel suo cuore l’attesa di Dio, la può suscitare negli altri, come una bella amicizia invita spontaneamente ad avvicinarsi all’amico, a conoscerlo, ad apprezzarlo. Questo, carissimi, è un aspetto importante che il contesto liturgico mi porta ad evidenziare.

Venendo ora ai testi biblici, nella prima e nella seconda lettura e nel salmo incontriamo anzitutto il tema della gioia che risuona mediante i profeti – qui è Sofonia – e che giungerà fino alla casa della Vergine Maria, a Nazaret, recato dall’Angelo Gabriele: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). Questo invito si prolunga nella Chiesa. Ne sentiamo fortemente l’eco nella Lettera ai Filippesi, che san Paolo scrive dal carcere, ma che è tutta animata da un sentimento di intima gioia. L’apostolo è pieno di fiducia e di consolazione, pur nella prova, perché sente la vicinanza del Signore e anche l’affetto della comunità. Perciò è lui stesso che esorta i cristiani di Filippi ad essere sempre lieti e affabili, a non scoraggiarsi nelle difficoltà, ma a confidare nell’aiuto di Dio (cfr Fil 4,4-6). Cari Vescovi eletti, anche voi siete ministri della gioia che Cristo dona ai suoi Apostoli, quella gioia che voi stessi oggi provate e che ricevete in dono quale frutto dello Spirito Santo; la gioia che già a lungo, in quanto sacerdoti, avete dispensato ai fedeli, mediante il Vangelo e i Sacramenti, mediante la vostra testimonianza. Tutto questo viene portato a pienezza dalla consacrazione episcopale, così che diventi patrimonio della vostra nuova missione. Torna alla mente, a questo proposito, anche la bella espressione che san Paolo scrive ai Corinzi: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1,24). Davvero stupenda questa definizione del sacerdote e, a maggior ragione, del vescovo: “collaboratore della gioia” di quanti gli sono affidati. Sì, cari Fratelli, questo può compiere anche in voi lo Spirito Santo, come ci ha ricordato il Canto al Vangelo, riprendendo la profezia di Isaia fatta propria e realizzata da Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio” (Is 61,1). Queste parole, che ogni sacerdote porta scritte nel cuore, oggi vengono incise ancora più profondamente nella vostra esistenza, perché, nei rispettivi campi di servizio ecclesiale, possiate portare tutta la forza redentrice e liberatrice del messaggio evangelico.

Ed eccoci, dunque, al brano del Vangelo. Domina la scena la figura di Giovanni Battista. La sua statura spirituale è tale, da far sorgere in tutti la domanda se non sia lui il Cristo (cfr Lc 3,15). Molti vanno a farsi battezzare nel fiume Giordano, in segno di penitenza, e diverse categorie di persone gli domandano indicazioni pratiche, per prepararsi al giudizio di Dio. Alle folle, ai pubblicani e ai soldati che gli chiedono che cosa fare, Giovanni risponde di comportarsi secondo giustizia. Non impone precetti straordinari, sacrifici o offerte, ma richiama all’onesto compimento dei doveri del proprio stato e a condividere i beni con chi è privo del necessario (cfr Lc 3,10-14). Cari Fratelli, che prezioso insegnamento un Vescovo può trovare in questo aspetto della predicazione del Battista! Nel nostro ministero noi dobbiamo sempre dare innanzitutto esempio di giustizia, e quindi ricordare alle persone, ai diversi gruppi sociali e professionali, che il primo dovere del cristiano è fare bene ciò che è di sua pertinenza. Specialmente nel trattare con i fedeli laici, è fondamentale, come insegna il Concilio Vaticano II, far sentire loro il valore della competenza, della responsabilità nella famiglia e nel lavoro, come pure negli ambiti dell’impegno sociale e civile. Una condotta retta e giusta è il primo frutto di conversione che Dio si attende da noi. E il Vescovo è chiamato, oltre che a praticare questa via, a educare ad essa il popolo.

La seconda parte della pericope evangelica contiene l’annuncio, da parte del Battista, dell’imminente venuta del Cristo, definito come colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16). Sappiamo che Gesù stesso utilizzò la metafora del “battesimo” per parlare della propria morte e risurrezione (cfr Lc 12,50) e poi della effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli, quale investitura di potenza dall’alto, necessaria per l’adempimento della loro missione (cfr At 1,5). Anche a voi, cari Fratelli eletti all’episcopato, il Signore risorto dice: “Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49); “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni” (At 1,8). Anche l’Ordinazione episcopale fa parte di quel “battesimo nello Spirito Santo” che Gesù è venuto a realizzare. La volontà di Gesù al riguardo è molto chiara: l’apostolo non parla o agisce in nome proprio, né con le proprie forze e capacità, ma in nome di Cristo e con la potenza del suo Spirito. “Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,20); “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Il “fuoco” di questo battesimo che state per ricevere deve bruciare ogni residua intemperanza del vostro io, perché attraverso di voi – e certamente anche mediante le vostre buone qualità – sia sempre Cristo ad agire con la forza dello Spirito Santo. “Non vivo più io – direbbe san Paolo – ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Carissimi Vescovi eletti, la vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa è ben provata da lungo tempo. Il popolo cristiano ha avuto modo di apprezzare le vostre virtù e di sperimentare la vostra carità. In diversi ambiti del servizio ecclesiale, avete dimostrato passione per la verità e attaccamento alla sana dottrina; abnegazione nel lavoro e spirito di sacrificio. Oggi, tutto questo viene nuovamente offerto a Dio perché Egli “porti a compimento l’opera che ha iniziato in voi” (…). Tu, Mons. Jean Laffitte, della Comunità dell’Emmanuel, continuerai a lavorare, con maggiore responsabilità, nel Pontificio Consiglio per la Famiglia: prosegui dunque con rinnovato slancio il tuo servizio alla Santa Sede e alla Chiesa universale in questo ambito così importante, in un’epoca in cui più che mai la Chiesa, con la sua voce e con la sua testimonianza, appare profetica nel difendere e promuovere la famiglia. Tu, Mons. Mario Toso, della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, assumi la responsabilità di Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: in tale ufficio sei chiamato a mettere le tue competenze a disposizione del Sommo Pontefice, affinché il suo Ministero possa sempre meglio orientare l’umanità sulle vie dell’autentico sviluppo. E tu, Mons. Giovanni D’Ercole, dell’Opera di Don Orione, dopo un servizio ventennale nella Segreteria di Stato, ritorni al lavoro pastorale diretto, quale Ausiliare dell’Arcivescovo de L’Aquila: il Santo Padre ti invia a quella Chiesa così provata, perché con Mons. Giusepe Molinari, possa manifestare la sua sollecitudine e animare e organizzare la speranza. E’ un nuovo battesimo, quello che ricevete, e dunque, in un certo senso, una nuova nascita. E come in ogni nascita, c’è una madre: la Chiesa, alla quale avete consacrato la vostra vita. La Chiesa ha un’immagine e un modello: Maria Santissima, che oggi veneriamo col titolo di Vergine di Guadalupe. A Lei vi affidiamo con tutto il nostro affetto e la nostra riconoscenza, e con la promessa di un costante ricordo nella preghiera. La grazia, la misericordia e la pace del Signore siano sempre con voi (cfr 1 Tm 1,2).

  

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