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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI S.E. MONS. PETAR RAJIČ
NUNZIO APOSTOLICO IN KUWAIT, BAHREIN, QUATAR
E DELEGATO APOSTOLICO NELLA PENISOLA ARABICA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Mostar (Bosnia ed Erzegovina)
Sabato, 23 gennaio 2010

 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato,
carissimo Mons. Petar Rajič,
illustri Autorità,
cari sacerdoti, religiosi e religiose, fratelli e sorelle!

Le letture bibliche che abbiamo ascoltato ci parlano del mistero della vocazione e della missione, come pure dei doni dello Spirito Santo nella Chiesa. Il profeta Isaia presenta la propria investitura come un’esperienza di Dio, un’esperienza personale e straordinaria della sua gloria. Questo fatto ci offre già uno spunto di riflessione fondamentale: ci dice che l’inviato di Dio è un uomo che in qualche modo Lo ha “visto”, Lo ha conosciuto – “i miei occhi hanno visto il re” (Is 6,5), dice il profeta – ed è stato purificato da Lui, così da essere pronto a parlare ed agire in suo nome. La vocazione di Isaia è rievocata anzitutto come una teofania. Inizialmente l’uomo è del tutto in secondo piano: appare soltanto il Signore, come proclamano i serafini: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! / Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6,3). A questo punto, come in controluce rispetto a tanto splendore, l’uomo si rende conto della propria indegnità, e pensa di dover morire. E in effetti così sarebbe, se Dio stesso non volesse fargli grazia in vista di una missione: per questo lo libera dalla colpa e poi sollecita la sua disponibilità. Dio è il protagonista assoluto: Lui si rivela, Lui purifica, Lui invia. Ma l’uomo pure c’è, con tutta la sua dignità e responsabilità: contempla, riceve il perdono, si offre per la missione. Il vero Dio non annienta l’uomo, anzi, la sua gloria ne potenzia al massimo le capacità. In questa esperienza di Isaia possiamo osservare delle analogie con la chiamata di Saulo sulla via di Damasco. Anche quella è una rivelazione della gloria di Dio, in Cristo Risorto, che trasforma l’uomo e lo prepara alla missione per cui è stato scelto.

Passiamo ora al brano del Vangelo di Marco. Anche questo è un racconto di vocazione, ma quanto diverso! Possiamo misurare in tale differenza tutto lo spazio dell’Incarnazione: il mistero del Dio tre volte Santo che nella Persona del suo Figlio si è spogliato della sua gloria – di quel “manto” immenso che riempiva il Tempio (cfr Is 6,1) – ed “è venuto ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Dove va Gesù a chiamare i suoi Apostoli? Sulla riva del lago di Galilea, nel luogo della loro quotidiana attività di pescatori. Li vede, li chiama per nome e li invita a seguirlo: “vi farò diventare pescatori di uomini” (Mc 1,17). La gloria di Dio è nascosta, ma non viene meno l’autorità, la forza di una chiamata che induce quattro uomini adulti a lasciare lavoro e famiglia, per andare dietro a colui che Giovanni il Battista ha indicato come il Messia (cfr Gv 1,29.35-36). Proprio il Battista, la cui figura viene evocata in apertura del brano odierno, con riferimento al suo arresto, è l’uomo di Dio, il “serafino”, il nuovo Elia che ha riconosciuto in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio e, dopo aver purificato alcuni dei propri discepoli con il battesimo di penitenza, li ha posti sulle orme di Lui, il vero Maestro, lo Sposo atteso, la Parola ultima e definitiva.

Cari fratelli e sorelle! Che grande gioia ascoltare questa Parola di Dio in una circostanza come quella che ci ha radunati qui a Mostar: oggi il nostro amato Mons. Petar Rajič viene consacrato Vescovo, e per lui questa Parola si attualizza, rinnovando il mistero della divina chiamata e della missione ecclesiale. Saluto cordialmente i Signori Cardinali presenti; rivolgo un particolare pensiero a Sua Eccellenza Mons. Ratko Perić, zelante Vescovo di questa Diocesi; estendo il mio saluto agli altri Vescovi, ai Prelati venuti da Roma, alle distinte Autorità, come pure ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai numerosi fedeli, in modo speciale ai parenti e agli amici dell’Ordinando. Carissimo Monsignor Petar, in questo momento il Signore ripete il suo appello: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E tu rispondi: “Eccomi, manda me!” (cfr Is 6,8). In questo dialogo tra Dio e il profeta c’è anche tutta la tua vita! C’è l’inizio della tua vocazione sacerdotale, a Toronto, quando, pieno di entusiasmo giovanile, accogliesti l’invito del Signore a seguirlo più da vicino. Scrivesti allora al Vescovo di Mostar, che ti accolse in Seminario come candidato per la Diocesi di Trebinje, Chiesa di origine dei tuoi genitori. L’Ordinazione presbiterale avvenne il 29 giugno 1987, in questa stessa Cattedrale. Per il tuo sacerdozio avevi scelto il motto: “Ecco, io vengo, Signore, a fare la tua volontà” (Sal 40,8). Dunque, proprio un “Eccomi”, un “Sì” come quello di Isaia, dentro il quale si è inscritta poi, nel 1991, la chiamata alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, per il servizio della Santa Sede: una missione specifica alla quale ti sei preparato con impegno e che hai svolto come Segretario di Nunziatura e poi, dal 1998 al 2007, in Segreteria di Stato. Dal 2003, hai ricoperto il ruolo di Prelato di Anticamera di Sua Santità, accogliendo nella Casa Pontificia Vescovi e Personalità e negli ultimi due anni sei stato collaboratore della Prefettura della Casa pontificia. Proprio mentre eri intento a questo tuo lavoro, il Signore Gesù è passato nuovamente, come sulla riva del lago di Galilea; ha posato ancora il suo sguardo su di te e ha pronunciato il tuo nome. Ti ha chiamato alla pienezza del sacerdozio per una nuova missione, quella di Rappresentante del Papa in alcuni Paesi del Medio Oriente: Nunzio Apostolico in Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Yemen, e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica. Tutto questo, caro Mons. Petar, è contenuto dentro quel “Sì”, che anche in questa solenne liturgia di Ordinazione tu ripeterai tra poco per ben nove volte, manifestando pubblicamente il tuo impegno di custodire la fede e di esercitare il ministero episcopale.

Chi dà la forza ad un giovane di rispondere il suo “Eccomi!” a Dio che lo chiama al sacerdozio? Chi gli dà la forza di rinnovarlo nelle diverse fasi della vita, fino ad accogliere la responsabilità dell’episcopato? E’ lo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo. Di Lui ci ha parlato oggi la seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera ai Corinzi di san Paolo. Scrivendo ad una comunità ricca di carismi, cioè di doni spirituali, l’Apostolo insiste a lungo sul fatto che essi sono tutti importanti e tutti finalizzati all’edificazione dall’unico corpo di Cristo che è la Chiesa, animato dall’unico Spirito (cfr 1 Cor 12-14). “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti” (1 Cor 12,4-5). Si può facilmente notare lo schema trinitario, che fa pensare alla Chiesa tutta circondata dalla presenza e dall’azione di Dio Padre, del Signore Gesù e dello Spirito Santo. L’immagine che ne emerge è quella di una Comunità traboccante di vita ma non disordinata, perché ogni dono deriva da Dio e concorre, insieme con gli altri, al “bene comune”. Ora, uno dei “ministeri” di cui parla san Paolo è proprio quello del Vescovo. Qui, nel grande discorso sui carismi, esso non è trattato specificamente, anche perché siamo proprio agli inizi della Chiesa e la gerarchia è ancora in una fase, per così dire, embrionale. L’accento è posto sul tema dell’unità nella varietà, e questo rimarrà sempre per te, caro Mons. Rajič, come un ricordo significativo, e anche come una consegna per il tuo episcopato. Mediante questo testo di san Paolo, infatti, il Signore ti dice: guarda la mia Chiesa! Ammira la sua bellezza, la ricchezza dei doni che le elargisco! Ecco, io ti pongo quale amministratore di questa ricchezza. Sii sempre fedele servitore dell’unità del mio Popolo nella varietà dei doni spirituali. Non spegnere lo Spirito, apprezza e valorizza ogni carisma, e fa’ che ciascuno concorra al bene di tutti; coltiva la comunione, educa ad essa e vigila su di essa, perché il sacrificio gradito a Dio è l’unità dei suoi figli. Non l’uniformità, ma la comunione dei fratelli che si amano e si rispettano nella loro diversità. Questo è un bel programma per il tuo ministero!

La tua Ordinazione, caro Monsignor Petar, giunge nel cuore dell’Anno Sacerdotale, nel 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney. E’ questa una grazia supplementare, che tu accogli con riconoscenza. Se infatti l’episcopato è la pienezza del sacerdozio, oggi noi chiediamo allo Spirito Santo, per intercessione del Santo Curato d’Ars, di portare a compimento in te la configurazione a Cristo Sacerdote e pastore, che hai ricevuto con l’Ordinazione presbiterale, e quella forma di vita apostolica che da allora hai intrapreso. Oggi avviene in te un mutamento importante, ma il tuo cuore è sempre lo stesso: è quello di un sacerdote secondo il cuore di Cristo. Che tu possa diventare un vescovo secondo il suo cuore.

Infine, vorrei soffermarmi brevemente sulla missione che è stata affidata a Mons. Rajič. E’ un incarico – come già ho accennato poco fa – che riguarda i rapporti della Santa Sede con alcuni Paesi mediorientali: in Kuwait, Yemen, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti egli è Nunzio Apostolico; nella Penisola Arabica è Delegato Apostolico. In termini generali, un Delegato Apostolico rappresenta il Santo Padre presso una determinata Chiesa locale, nell’ambito ad esempio di una Nazione, o di un’area geografica. Il Rappresentante Pontificio è l’espressione viva della sollecitudine che il Successore di Pietro ha verso i fedeli di quella Comunità. Il Delegato Apostolico, pur non avendo lo status di diplomatico, rappresenta il Sommo Pontefice anche nell’ambito della vita civile e politica del Paese. Invece, il Nunzio Apostolico, oltre le funzioni di Delegato Apostolico, rappresenta il rapporto tra la Santa Sede e uno Stato particolare, a livello ufficiale, cioè al livello diplomatico, con il rango di Ambasciatore. A questo proposito, il pensiero va spontaneamente a Sua Eccellenza Mons. Alessandro D’Errico, che svolge tale funzione in questo Paese. Lo saluto cordialmente e lo ringrazio per il suo diligente servizio e per l’impegno con cui ha preparato questa mia visita. Sono trascorsi appena dieci anni da quando un Rappresentante Pontificio è residente nella Penisola Arabica, con sede a Kuwait City. In quel momento vi erano solo due Paesi della Penisola con rapporti diplomatici con la Santa Sede: il Kuwait (dal 1968) e lo Yemen (dal 1998). Successivamente, tali rapporti sono stati stabiliti con il Regno del Bahrein (nel 2000), lo Stato del Qatar (nel 2003) e gli Emirati Arabi Uniti (nel 2007). Colgo l’occasione per ringraziare i primi due Rappresentanti Pontifici residenti in Kuwait, gli Ecc.mi Monsignori De Andrea e El-Hachem, che hanno portato avanti lodevolmente i rapporti della Santa Sede con i fedeli e i popoli della Penisola Arabica. Nella sua qualità di Delegato Apostolico nella Penisola Arabica, Monsignor Rajič collaborerà con i due Vicari Apostolici presenti nel medesimo territorio, ai quali è affidata la cura pastorale dei fedeli: le loro Eccellenze Mons. Paul Hinder e Mons. Camillo Ballin. Carissimo Mons. Petar, in questa tua missione sarà molto importante il dialogo, sia sul piano religioso, sia su quello civile ed umano. Perciò, alla luce delle parole di san Paolo sui carismi e i ministeri, vorrei invocare per te dallo Spirito Santo un’ulteriore sostegno, affinché le tue già spiccate doti di affabilità e di dialogo, potenziate dalla grazia divina, ti consentano di compiere una serena e fruttuosa missione. Affidiamo questa preghiera all’intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa, alla quale è intitolata questa Cattedrale. Col suo materno aiuto, tu possa diventare, caro e venerato Fratello, Vescovo secondo il cuore di Cristo e degno Rappresentante del Successore di Pietro. Così sia!

 

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