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CELEBRAZIONE EUCARISTICA
IN OCCASIONE DELLA VISITA ALL'OSPEDALE SAN PIETRO DI ROMA,
 DELL'ORDINE OSPEDALIERO SAN GIOVANNI DI DIO, FATEBENEFRATELLI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Ospedale San Pietro di Roma - Sabato, 20 marzo 2010

 

Cari fratelli e sorelle!

Ho accettato molto volentieri l’invito a visitare questo Ospedale e a celebrare con voi l’Eucarestia. Saluto cordialmente il Priore Generale dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, Padre Donatus Forkan, che ringrazio per le gentili parole che ha voluto indirizzarmi, con lui saluto il Priore Provinciale, Padre Pietro Cicinelli, le Comunità dei Fatebenefratelli, delle suore Francescane di Nostra Signora della Vittoria e delle Ancelle della Sacra Famiglia, presenti in questo Nosocomio. Rivolgo altresì il mio grato pensiero al Direttore Scientifico della Provincia di Roma, Professor Ercole Brunetti, ai dirigenti, ai medici, agli infermieri e al personale, a quanti operano come volontari e a tutti voi che oggi siete qui convenuti. Ma il mio saluto più affettuoso è per voi, cari malati, e per i familiari, che condividono le vostre ansie e le vostre speranze. Sono qui a manifestarvi la mia vicinanza spirituale, ad assicurarvi la mia preghiera e a portarvi sostegno e conforto, perché non perdiate mai la certezza che Dio vi ama, ed è vicino alla vostra sofferenza. Sappiamo bene come nella prova e nella malattia Egli ci visiti misteriosamente e in modo speciale, ma siamo convinti che nell’abbandonarci alla sua volontà e nell’accogliere i suoi disegni sulla nostra vita, ci è dato di purificare il nostro cuore e di sperimentare la sua salvezza.

Le letture, che sono state proclamate, ci richiamano al tempo della Quaresima che stiamo vivendo. Ci ricordano il legame imprescindibile che c’è tra il vivere il comandamento dell’amore di Dio e l’aprirci sempre più alle esigenze dei fratelli: non potremmo amare Dio che non vediamo, se non amassimo i fratelli che ci sono accanto!

Nella prima lettura, il Profeta Isaia ci indica quali sono le opere della giustizia e le vie per manifestare ai fratelli il nostro amore: “dividere il pane con l’affamato, dare un riparo ai senzatetto, vestire chi è nudo” (Is 58, 7); è l’esercizio concreto e fattivo delle opere di carità, che copre i nostri peccati e ci rende ben accetti al Signore: “Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà” (v. 8). San Giovanni, nella seconda lettura, collega mirabilmente tra di loro l’amore a Dio e ai fratelli, e osserva: “Se uno ha ricchezze materiali e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come può dimorare in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3, 17). Si tratta davvero di espressioni molto forti! Andando oltre ogni logica umana, l’Apostolo spiega il motivo di fondo per cui il discepolo del Signore non può fare a meno di aiutare il prossimo: “Cristo ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (v. 16). Dalla totalità con cui Gesù ci ha amati dando tutto sé stesso per noi, fino a morire in croce, deriva che non possiamo più trattare chi ci sta accanto con estraneità; l’amore del Figlio, che si comprende guardando alla croce, ci chiede non di offrire solo il nostro superfluo, ma di donare la vita per i fratelli.

Il Vangelo ci ha presentato la parabola del “buon samaritano” (Lc 10, 25-37). Interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna, Gesù risponde citando la Scrittura: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (v. 27). La Legge stabiliva che Dio fosse amato al di sopra di ogni altra cosa, mentre la misura di amore per il prossimo doveva essere l’amore di sé stessi. C’era però disaccordo tra le scuole rabbiniche nel definire chi dovesse essere considerato “prossimo”. Tale incertezza affiora anche nelle domande dell’ interlocutore di Gesù, cui Egli risponde con la parabola, che ben conosciamo. Un samaritano incontra per strada un poveretto derubato e bastonato dai briganti, e si prende cura di lui. Sappiamo che gli Ebrei trattavano con disprezzo i Samaritani, in quanto non li consideravano appartenenti al popolo eletto. Nell’indicare proprio in un samaritano colui che si è fatto prossimo del malcapitato, Gesù va oltre ogni tipo di pregiudizio, affermando che occorre amare come sé stessi anche gli stranieri e persino coloro che non adorano il vero Dio e farsi prossimo di chiunque sia nel bisogno. Così fa il Samaritano, che, incontrando sulla sua strada il malcapitato, non si domanda chi sia e non esita a soccorrerlo, a curare le sue ferite, a prendersi cura di lui, fino ad anticipargli le spese per il ricovero nell’albergo.

Nel riflettere su questo brano evangelico, il mio pensiero è andato spontaneamente al vostro fondatore, San Giovanni di Dio, di cui l’8 marzo abbiamo celebrato la memoria liturgica. Trovandosi a Granada nel 1538, dopo aver ascoltato una predica di San Giovanni d’Avila, egli si sentì ricolmo dell’amore di Dio e divenne perciò consapevole della futilità della sua avventurosa vita. Sentendo un profondo pentimento per le proprie colpe, Giovanni iniziò ad accusarsi pubblicamente dei peccati commessi, gridando per le strade a squarciagola il suo dispiacere di avere offeso Dio, al punto da essere scambiato per pazzo e rinchiuso come malato mentale nell’“Ospedale Reale” di Granada. In questo periodo di ricovero forzato, egli venne a contatto con gli ospiti di quella struttura e si rese conto delle loro condizioni e dei metodi discutibili con cui venivano curati. Fu così che, una volta dimesso, diede vita in Granada, alla “Casa di Dio”, per dare accoglienza ai bisognosi senzatetto e curare gli ammalati. L’anelito di amore per Dio si tradusse quindi in una concreta opera di carità per i fratelli. Egli radunò così attorno a lui altri uomini generosi, pronti a dedicarsi all’assistenza e alla cura degli ammalati e dei sofferenti: era il primo nucleo dei “Fatebenefratelli”. Dopo più di quattro secoli e mezzo, questo benemerito Ordine è presente in tutto il mondo, con numerosi ospedali e opere caritative. Quanto i Fatebenefratelli hanno realizzato e realizzano, testimonia che la Provvidenza divina si serve di “strumenti” umili per compiere i suoi disegni di amore. Il nostro essere qui, oggi, vuole essere un atto di ringraziamento a Dio per tutto il bene compiuto. Davvero, per chi crede, per chi si affida a Dio, nulla è impossibile!

Anche in questo Ospedale “San Pietro”, ricco di strutture e di attrezzature di avanguardia, per un disegno provvidenziale, trova continuità la carità da cui era animato San Giovanni di Dio. Ancora oggi, infatti, si manifestano i prodigi di Dio, che passano attraverso l’opera di quanti, per amor suo, si prodigano per il bene dei fratelli. Vorrei qui ricordare l’impegno di tanti medici, infermieri, operatori e volontari che in questa struttura prestano il loro servizio con professionalità e dedizione generosa: sono questi i “miracoli ordinari”, frutto di amore e di attenzione premurosa, con cui il Signore si fa vicino alle persone che soffrono.

Cari amici, desidero esprimere vivo apprezzamento per la vostra attività e per il bene che compite, sia attraverso interventi più impegnativi, sia attraverso la vostra opera feriale che va dall’accoglienza, al ricovero, alla cura attenta e solerte di quanti si trovano in questa struttura. Come voi, operatori sanitari, constatate per esperienza diretta e quotidiana, i malati esigono un approccio “globale”: è tutto l’uomo che va aiutato a guarire. La fede in Dio e la ricerca scientifica cooperano, pertanto, al medesimo fine: alla salvaguardia della vita e alla guarigione dell’uomo da ogni male del corpo e dello spirito. Ispirandovi a tale visione ed esercitando il vostro servizio con competenza, rigore e professionalità, voi partecipate all’amore di Cristo per i sofferenti. L’autentica solidarietà che merita chi soffre e il rispetto scrupoloso della sua dignità, devono rendere sensibili anche alla difesa della vita in ogni sua manifestazione: quando è allo stato embrionale o quando è all’ultimo traguardo, forse senza speranza di guarigione. Come credenti siamo convinti che quanti costituiscono gli anelli più deboli della società: i nascituri, i poveri, i malati, i disabili, le persone in stato terminale sono anch’essi soggetti di diritto e soprattutto oggetto dell’amore di Dio. Quali ingiustizie inaudite continuano a venire commesse anche oggi, nell’indifferenza generale, contro la vita umana, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta! (cfr Caritas in veritate, 75). La Chiesa, consapevole che essa è dono di Dio e a lui appartiene, continua oggi ad esercitare il ministero profetico di Cristo, dedicandosi alla cura degli infermi e riaffermando in ogni occasione il valore irrinunciabile della vita umana.

Cari amici, preghiamo perché, in questo Ospedale si viva sempre più lo spirito del buon Samaritano e gli ammalati, insieme con le migliori cure, possano sempre più ricevere la testimonianza di un amore reso nel nome di Cristo.

Cari Religiosi e Religiose, cari malati e quanti operate in questo Ospedale, vi ringrazio per la vostra accoglienza e vi affido alla celeste protezione della Vergine Santa, Salute degli infermi, e di San Giovanni di Dio: vi accompagnino nelle vostre fatiche e nelle vostre sofferenze perche possiate gustare sempre la gioia di incontrare il Signore Gesù nel volto di ogni fratello.

 
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