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CELEBRAZIONE EUCARISTICA
NELLE ESEQUIE DEL VESCOVO CARLO CHENIS

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Civitavecchia - Martedì, 23 marzo 2010

 

Em.mi Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato,
cari sacerdoti,
illustri Autorità,
cari fratelli e sorelle dell’amata Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia
,

con il sacro rito delle esequie, il Signore completa oggi il cammino dell’esistenza terrena del vostro amato Pastore e nostro comune amico Carlo Chenis: la splendida avventura del sacerdozio, la consacrazione a Dio, Sposo della nostra intera esistenza, nella santa Madre Chiesa, sulle orme di don Bosco e, in seguito, nella chiamata ad essere vescovo di questa Chiesa particolare. La sua morte repentina ci tocca intimamente e profondamente. Il Signore lo ha provato con una grave malattia e tutti lo abbiamo accompagnato con trepidazione e dolore. Anche il Santo Padre Benedetto XVI gli è stato vicino, come in questo momento è vicino a voi, e io vi porto la sua paterna Benedizione Apostolica, specialmente per i familiari, i fratelli salesiani e il presbiterio diocesano.

Un breve passaggio fra voi, cari fratelli e sorelle, quello di Mons. Chenis, consacrato vescovo per questa Chiesa che è in Civitavecchia-Tarquinia solo il 10 febbraio 2007 e giunto in mezzo a voi due settimane dopo. Fissiamo umanamente queste date, contiamo i nostri giorni – come ci insegna la Scrittura – perché giungiamo, senza perdere tempo, alla sapienza del cuore. L’esempio del vescovo Carlo esorta a vivere il breve spazio della vita terrena come un tempo di grazia, il tempo in cui incontrare e accogliere Gesù Maestro, che in diversi modi ha bussato e continua ancora a bussare alla porta del nostro cuore, soprattutto a quello di tanti giovani che in mons. Chenis avevano trovato un fratello, un compagno di vita, una guida saggia e sicura. Anche oggi, in modo silenzioso e drammatico, siamo toccati nei nostri affetti e sentimenti più umani e cristiani.

E’ significativo ricordare che il Signore ha chiamato a sé questo servo buono e fedele nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità di san Giuseppe, padre e custode premuroso del Redentore, patrono della Chiesa universale. Alla sua potente intercessione abbiamo affidato questo nostro Confratello, proprio venerdì mattina, perché gli fosse aperto il passaggio da questo mondo alla vita eterna, quella vera che non avrà mai fine. San Giuseppe affretti l’abbraccio del vescovo Carlo con il Padre misericordioso che ha cura di tutti i suoi figli; e aiuti tutti voi, perché colui che vi è stato maestro e fratello nella fede qui in terra, lo sia ancor di più dal cielo.

La Sacra Scrittura, che insieme abbiamo ascoltato, ci invita alla speranza, alla serena fiducia che tutti i popoli siederanno alla mensa del Signore e tutti lo riconosceranno come Padre provvidente che dona la vita. Egli stesso farà scomparire il lutto e le lacrime dal volto degli uomini, e tutti potranno ripetere a gran voce, così come stiamo facendo noi oggi: “Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato”. E se possiamo sperare e credere più fermamente nel Signore, se possiamo riconoscerlo, pur nel dolore e nel pianto, come l’autore della vita e di ogni cosa, è anche grazie agli insegnamenti, agli esempi, alla testimonianza evangelica che questo nostro fratello defunto ha tracciato e seminato in mezzo a noi, e che ora brillano come suo testamento. Sì, caro fratello e vescovo Carlo, anche se piangiamo la tua scomparsa, noi rendiamo grazie a Dio per la vocazione che ti ha dato, per la luce di Cristo che hai irradiato con la tua vita, per i fermenti di giustizia e di fraternità che hai disseminato in mezzo al popolo a te affidato. Tutti abbiamo potuto ammirare la tua luminosa fede, la tua fiducia nel Signore, il tuo totale affidamento a Lui, origine e fonte della vita.

Mentre Mons. Chenis entra nel banchetto celeste, desideriamo far sì che il suo breve passaggio fra noi diventi motivo di meditazione e di esame di coscienza sul senso della vita, sulla grandezza della vocazione sacerdotale, sacramento della carità di Cristo buon Pastore, e sul tempo della malattia, vissuta nell’offerta di sé al Padre per la salvezza del mondo. Egli stesso ha mostrato questa sapienza quando, il 14 febbraio scorso, raccontò la sua drammatica vicenda. Leggo le sue espressioni: “Improvvisamente è, poi, piovuta dall’alto la discriminante, tra il primo venticinquesimo e il dopo [nel maggio del 2009 aveva celebrato il venticinquesimo dell’ordinazione sacerdotale]. E’ piovuta come grazia che viene dall’alto, esemplando il Natale del Signore. Si è configurata come rinascita in terra e nascita al cielo. Sono entrato in uno stato di estasiante grazia, dimostrabile nella serenità che subito mi ha avvolto allorquando mi comunicavano la gravità del male. Intuivo – prosegue il vescovo Carlo – che era parte di un progetto provvidenziale che si andava esplicitando per il mio bene. Invero, in passato meditavo su come il Signore mi avrebbe aiutato a sciogliere nodi difettosi, incoerenze sedimentate, superficialità spirituali. Ritenevo che prima o dopo si sarebbe profilata una soluzione originale e vincente, sebbene ignorassi il come. Guardandomi in questa congiuntura, ammetto che il Signore non poteva trovare di meglio, pur nel dramma umano. Quanto occorso mi dà ampio spazio, affinché possa riprendere il periodo a seguire il venticinquesimo con intimità spirituale, onde rendere vissuto quanto ho predicato con passione, onde non dissociare l’incalzante lavoro dal divino abbandono”.

Queste parole, da lui scritte quando tutto appariva ormai chiaro, ci aiutano a puntare lo sguardo ancora più in alto e ci sostengono nel constatare che, se il Signore ci concede la grazia di morire e di andare verso di Lui con tanta disarmante lucidità e fede, ci può anche donare un’esperienza, sempre più ricca e chiara nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno, del suo amore misericordioso.

“Il Signore – diceva Mons. Carlo – non poteva trovare di meglio”. Quando lo lasciamo fare ed agire in noi, Dio trova sempre il modo di sorprenderci, di farci vincere e di farci magnificare insieme il Suo nome. Così, nel suo prodigioso intervento, il Signore permette ad alcuni nostri fratelli di giungere a vivere un totale abbandono in Lui, di comprendere più in profondità, anche attraverso il dolore e la malattia, i misteri divini, di contemplarlo come la perfezione più alta, la felicità più piena, la gioia più grande e vera. Questa è la logica del Mistero pasquale, che celebreremo solennemente nei prossimi giorni: giorni di passione, morte e risurrezione. Insieme a Cristo, anche mons. Chenis ha compiuto questo drammatico passaggio, in attesa della beata risurrezione.

Ci sono di conforto tante testimonianze di fratelli e sorelle che hanno conosciuto il vescovo Carlo, nelle diverse fasi della sua esistenza: sono fermamente convinto che egli si fosse dato come primo suo compito proprio l’edificazione concreta del Regno di Dio, di quella “Gerusalemme nuova” che san Giovanni ci fa ammirare e pregustare nel Libro dell’Apocalisse. In questo luminoso orizzonte possiamo interpretare anche il suo amore per l’arte, coltivato e messo a servizio della Chiesa. Con perseverante pazienza, egli desiderava infatti curare il tempio fatto da mani di uomo: ricordiamo i suoi numerosi scritti, il suo lavoro scientifico, animato però sempre dal desiderio di edificare la Chiesa, la comunità cristiana, quale tempio vivo, dimora della sua gloria, luogo nel quale Dio sceglie continuamente di abitare e di compiere i suoi prodigi. Desiderava aiutare tutti a fare esperienza della Chiesa come casa di Dio edificata in mezzo alla nostra città, ai luoghi quotidiani di vita e di lavoro e dove poter incontrare Dio e aiutare gli uomini a riconoscerlo.

Pensiamo all’amore per i giovani, assunto e vissuto come metodo di vita alla scuola di san Giovanni Bosco. Mons. Chenis – autentico homo apostolicus – aveva caratterizzato il suo ministero sacerdotale ed episcopale a servizio dei giovani, verso i quali aveva già speso e desiderava spendere ancora le sue energie più belle. Desidero ricordare, ad esempio, l’apostolato svolto in Sardegna durante i periodi estivi e la Settimana Santa, in mezzo alla gioventù e nelle parrocchie. Ai giovani si presentava portando il sorriso di Dio con il suo volto, con il suo entusiasmo, promuovendo varie ed efficaci iniziative. Qualcuno in questi giorni ha detto: “ci ha insegnato l’arte di saperci ascoltare e di essere propositivi per vincere il pessimismo”. Cari giovani, imparate a far tesoro di questa preziosa eredità e a riconoscere chi nella vita vuole davvero il vostro bene! Non posso tacere altri due altri aspetti del suo apostolato: l’attenzione per la vita consacrata (quante religiose ha guidato, e quante comunità ha indirizzato verso una robusta fedeltà al proprio carisma fondazionale!) e la promozione della comunione fraterna fra i sacerdoti. Cari sacerdoti, non dimenticate questo appello appassionato del vostro vescovo Carlo!

La pagina dell’evangelista Giovanni ci aiuta ad esplicitare ulteriormente l’avventura umana dell’amato Pastore che ci ha lasciato. “Sono disceso – dice Gesù – non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato”. Proprio in questo senso Mons. Chenis concludeva il suo scritto del 14 febbraio scorso, nel quale così si esprimeva: “Ora posso, devo, desidero magnificare il Signore che sempre ci fa fare cose grandi nella diaspora quotidiana. In un unico «colpo» il Signore ha davvero trovato la soluzione a quell’intrigo di genialità e mediocrità che s’affastellava nella mia esistenza. Ora, sto sostando in questo stato di grazia incalzato dai tentativi terapeutici. Il dopo è un’incognita. Un’incognita in senso temporale, una certezza in senso spirituale”.

Oggi, noi possiamo confermare che tutto quello che il caro vescovo Carlo ha seminato non andrà perduto; soprattutto quanto ci ha donato durante il brevissimo ma intenso tempo della sua malattia. Tutto egli ha offerto sul letto del dolore, intimamente convinto che il Padre celeste avrebbe comunque provveduto, “poiché – sono parole sue – la sua Chiesa è costituita in una marcia a staffetta, sostenuta dagli uomini di buona volontà”. Siamo convinti, nella fede, che nulla andrà perduto, perché i servi buoni e fedeli - che hanno vissuto con Lui e per Lui - risorgeranno e vivranno per sempre nella vita che non ha fine, nella gioia più piena e nel giorno senza tramonto. Il vescovo Carlo ha chiesto di essere sepolto nel Santuario della Madonna delle Grazie di Civitavecchia.

Maria Ausiliatrice, Regina degli Apostoli, Madonna delle Grazie, lo protegga e lo accompagni nel Paradiso di don Bosco, e custodisca questa amata Chiesa nella fede e nell’amore del Signore Gesù. Ogni volta che muore un sacerdote, un vescovo, Gesù ripete ancora alla sua Madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Per questo, con grande fiducia preghiamo: O Maria, dopo tante sofferenze, prendi don Carlo sotto il tuo manto, e ottienigli la pace eterna. Amen.

 
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