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ORDINAZIONE EPISCOPALE
DI S.E. MONS. VALENTINO DI CERBO,
VESCOVO DI ALIFE-CAIAZZO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro in Vaticano
Sabato, 1° maggio 2010
 

Venerati Fratelli nell’episcopato,
caro Monsignor Valentino,
cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa V Domenica di Pasqua – tratto dal capitolo 13° di Giovanni – ci presenta Gesù con gli Apostoli nel Cenacolo, durante l’Ultima Cena. Il Signore ha appena lavato i piedi dei Dodici; in seguito ha rivelato che uno di loro stava per tradirlo, dando implicitamente il segnale a Giuda Iscariota per passare all’azione, ma senza che gli altri capissero chi era il traditore; ed ecco il nostro brano, che culmina nella consegna del “comandamento nuovo”. Seguono ben tre capitoli di discorsi di addio e poi la preghiera detta “sacerdotale”. Tutto questo, appunto, nel contesto della Cena pasquale, all’interno del Cenacolo. In quel momento, così intimo e drammatico, Gesù istituì contemporaneamente l’Eucaristia e il Sacerdozio.

L’evangelista Giovanni non riporta nel suo racconto l’istituzione dell’Eucaristia, privilegiando la lavanda dei piedi; ma, proprio dopo aver compiuto quel gesto così sconcertante, Gesù disse: “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Queste parole assomigliano al “fate questo in memoria di me” pronunciato dopo la consacrazione del pane e del vino secondo la redazione di san Luca e di san Paolo (cfr Lc 22,19; 1 Cor 11,24.25). Mentre gli Evangelisti sinottici concordano nel testimoniare che il Signore nell’Ultima Cena consegnò agli Apostoli il Rito memoriale della sua Pasqua, legando ad esso il Sacerdozio della nuova Alleanza, Giovanni insiste piuttosto sul contenuto di tale consegna, cioè sul comandamento dell’amore. Gesù lo ribadisce anche dopo la parabola della vite e dei tralci, con parole che fanno chiaro riferimento alla chiamata e alla missione specifica dei Dodici: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga … Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15,16-17). Ma già molto prima, dopo il grande discorso sul “pane della vita”, in cui Giovanni in qualche modo anticipa la rivelazione dell’Eucaristia (6,22-58), già allora Gesù, osservando che molti discepoli si tiravano indietro, aveva chiesto direttamente ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Pietro rispose: no, noi rimaniamo perché crediamo in te e nelle tue parole. Allora Gesù disse: “Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!” (Gv 6,70).

Appare dunque chiaro che anche in Giovanni, pur mancando il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, l’elezione e la missione degli Apostoli è inseparabile dal Sacramentum caritatis.

Per una coincidenza molto felice, il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato come prima lettura contiene un esplicito riferimento all’investitura di alcuni “anziani” – in greco presbiteri – compiuta da Paolo e Barnaba, al termine del primo viaggio missionario. Nelle città di Antiochia di Pisìdia, Icònio, Listra e Derbe, “designarono per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo aver pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23). Gli Apostoli sono itineranti, perciò è necessario stabilire delle guide locali per le comunità. E’ importante sottolineare che l’incarico di questi “anziani” avviene in un contesto di preghiera, accompagnata dal digiuno, come era avvenuto per gli stessi Paolo e Barnaba all’inizio della loro missione (cfr At 13,1-3). Troviamo qui un primitivo rito di ordinazione, di cui abbiamo testimonianza anche nelle Lettere di san Paolo (cfr 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6). In breve tempo, prendono forma i due diversi gradi dell’episcopato e del presbiterato, mentre dei cosiddetti diaconi si parla già in precedenza, agli inizi della comunità di Gerusalemme (cfr At 6,1-6). Caro Mons. Valentino, anche tu hai ricevuto per due volte l’imposizione delle mani, mediante la quale sei diventato diacono e presbitero, e tra poco riceverai la terza, per la pienezza del tuo sacerdozio e per la maggiore responsabilità del tuo servizio ecclesiale. Vorrei però che non passasse inosservata quella espressione del testo degli Atti, brevissima ma fondamentale, là dove si dice che Paolo e Barnaba designarono alcuni anziani e, “dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23). Anche noi tra poco affideremo al Signore Mons. Di Cerbo: noi tre Vescovi consacranti, e in senso lato tutta questa assemblea liturgica. Quello che stiamo compiendo è infatti prima di tutto un atto di preghiera, nel quale vero protagonista è il Signore.

In Lui tu hai creduto, caro Mons. Valentino, e la tua fede, come risposta al suo amore, è la luce e la forza che ti ha guidato fino a qui e che ti guiderà ancora in futuro. E’ la fede che ti hanno trasmesso, prima di tutto con l’esempio, i tuoi nonni e i tuoi genitori, e che è cresciuta come pianticella rigogliosa nella terra del Sannio, dove ancora risplende la testimonianza di sapienza e carità pastorale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. E’ la fede che ti ha guidato al Seminario e quindi, attraverso un serio itinerario formativo, al Sacerdozio. E’ la fede che ha ispirato tutto il tuo ministero, da viceparroco nella grande comunità di San Luca al Prenestino, come insegnante di religione, nell’ufficio catechistico del Vicariato di Roma, nel breve periodo alla Biblioteca Vaticana e quindi nel lungo lavoro in Segreteria di Stato, dove negli ultimi anni hai svolto il ruolo di capo-ufficio della sezione Italiana. Per questo ultimo servizio ti esprimo nuovamente apprezzamento e riconoscenza, a nome del Santo Padre e mio personale. Ora, caro Monsignore, tu raccogli tutto questo cammino nel tuo cuore e ne rendi grazie a Dio. A Lui noi ti affidiamo per la tua nuova missione di Pastore della Chiesa che è in Alife-Caiazzo.

Questa Diocesi, nella sua attuale conformazione, è di origine recente, ma porta in sé la lunga storia delle due antiche Diocesi che la compongono. Addirittura al quarto secolo risale la Chiesa alifana, il cui primo Vescovo attestato è Clarus, che prese parte ai Concili romani di Papa Simmaco. Patrono della città e della diocesi è San Sisto I, Papa e Martire. L’episcopato alifano conobbe periodi di splendore nel medioevo e anche nell’epoca rinascimentale, quando la residenza dei Vescovi fu trasferita a Piedimonte Matese, dove è tuttora. I Vescovi del secolo scorso sono figure rilevanti sia sul piano dell’evangelizzazione che su quello sociale. Le prime notizie certe dell’episcopato caiatino risalgono invece al secolo X, quando spicca la figura di santo Stefano Menicillo, ordinato vescovo nel 979. La sua fama fu tale che venne proclamato patrono della città. Ma diversi furono i Vescovi di Caiazzo che si distinsero nella storia: ricordo Fabio Frangipane, segretario del Concilio di Trento e fondatore del Seminario diocesano; Filippo Benedetto, zelante Pastore nel XVII secolo; e, nel Novecento, Nicola Maria Di Girolamo, che in 40 anni di episcopato celebrò due sinodi e due congressi eucaristici. Caro Monsignor Di Cerbo, il Signore ti invia a lavorare in questa vigna, che tanti prima di te hanno coltivato, e che tu ben conosci perché è vicinissima alla tua terra natale e alla tua Diocesi di origine, a cui sei sempre rimasto legato, anche esercitando il ministero di rettore della chiesa della Madonna di Campanile in Frasso Telesino. Ti attende una comunità a misura d’uomo, di circa 70.000 abitanti; 44 sono le parrocchie e una cinquantina i sacerdoti. Queste dimensioni favoriscono l’incontro e la conoscenza personale, anzitutto con il presbiterio e quindi con le parrocchie e le diverse realtà ecclesiali.

Sabato prossimo, caro Monsignor Valentino, tu sarai in mezzo a loro. Che cosa porterai? Porterai la Buona Notizia di Dio, del suo amore fedele. Mi piace riprendere qui una strofa del Salmo responsoriale che abbiamo pregato poco fa: “Misericordioso e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore. / Buono è il Signore verso tutti, / la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 144/145,8-9). Ecco: questo devi prima di tutto portare alla Chiesa che ti attende come Pastore. E lo farai dimostrandoti per quello che sei, come tutti ti conosciamo, e al tempo stesso rinnovato dalla grazia di questa Ordinazione: ti prenderai cura delle persone a te affidate, le guiderai con amore e fermezza, pronto a sacrificarti per il loro bene. Le nutrirai con la Parola di Dio e il Pane della vita eterna. Indicherai loro l’orizzonte della Gerusalemme celeste, di cui ci ha parlato oggi la lettura dell’Apocalisse (21,2). Cercherai di rendere la Chiesa di Alife-Caiazzo sempre più bella, una vera casa di comunione, che faccia pregustare la “dimora di Dio con gli uomini” (Ap 21,3), dove tutti possano sperimentare, specialmente nelle prove della vita, il conforto della fede e della carità fraterna. Come Gesù, sarai attento alle persone nelle loro concrete condizioni di vita, a partire dai sacerdoti. Aiutato dalla tua ricca esperienza, avrai a cuore la realtà delle famiglie, dei giovani, dell’educazione. San Giuseppe, che in questo primo giorno di maggio ricordiamo e veneriamo quale Patrono dei lavoratori, ti aiuti ad evangelizzare il lavoro umano e a seguire i problemi, resi acuti dalla crisi economica, di questo importante ambito della vita sociale. Ma oggi è anche l’inizio del mese mariano, ed è bello, caro Monsignor Valentino, dopo averti affidato al patrocinio di san Giuseppe, invocare su di te e sul tuo ministero episcopale la materna protezione della Vergine Maria. Da seminarista hai imparato ad invocarla quale Madre della Fiducia, e, alla scuola del Concilio Vaticano II, a riconoscere in Lei la Madre e il modello della Chiesa. Nei tuoi occhi e nel tuo cuore Ella è impressa con l’antica immagine della Madonna di Campanile. Ogni giorno, mostrandoti il Figlio Gesù che tiene sulle ginocchia, la Vergine faccia risplendere su di te la luce del volto di Dio, così che tu possa sempre rifletterla su quanti incontrerai nel tuo servizio pastorale.

  

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