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GIURAMENTO DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro in Vaticano
Giovedì, 6 maggio 2010
 

Care Guardie Svizzere, cari fratelli e sorelle,

desidero esprimere a tutti voi qui presenti il mio più cordiale saluto in questo giorno di festa per il Corpo della Guardia Svizzera Pontificia. Saluto il Comandante dott. Daniel Rudolf Anring, il Cappellano mons. Alain de Raemy, gli Ufficiali, tutte le Guardie Svizzere insieme a voi, loro parenti, conoscenti e amici, che prendete parte a questa cerimonia. In modo particolare il mio saluto affettuoso va al Maggiore ed ai 30 nuovi Alabardieri, che oggi pronunceranno il proprio giuramento di “servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il Sommo Pontefice, sacrificando, ove occorra, anche la vita”. Questo solenne impegno di servizio e dedizione, era stato preso anche da quelle 147 guardie svizzere che il 6 maggio del 1527 non esitarono a dare la vita per salvaguardare l’incolumità del Sommo Pontefice Clemente VII. Nel ricordare quell’episodio, vogliamo oggi riconoscere, ancora una volta, gli alti meriti di questo Corpo e la fedeltà che ha sempre dimostrato alla Sede Apostolica.

La Guardia Svizzera Pontificia si caratterizza per la disponibilità dei suoi componenti di porsi a servizio del Sommo Pontefice, per provvedere alla particolare custodia della Sua persona; si tratta di una volontà che voi – care Guardie Svizzere – avete espresso in quanto cristiani, cioè motivati dall’amore per Cristo e per la Chiesa. Per questo siamo qui radunati nella celebrazione eucaristica: per pronunciare il nostro grazie al Signore per la vostra generosità. Nello stringerci attorno a voi, care Guardie, vogliamo manifestarvi affetto e gratitudine e ringraziare con voi la Provvidenza divina che vi ha chiamato e vi chiama ad appartenere a questo storico Corpo e a dare continuità al suo operato. Per voi, cari amici, e per i defunti della Guardia Svizzera Pontificia offro in modo speciale questa Eucaristia, facendo mie le vostre intenzioni di preghiera.

L’odierna liturgia eucaristica si colloca nel Tempo di Pasqua, periodo in cui il nostro cuore è invitato a rallegrarsi e a gioire per la Risurrezione di Gesù; tempo di esultanza e di preghiera assidua nell’invocazione dello Spirito Santo, primo dono ai credenti. La prima lettura che è stata proclamata è tratta dagli Atti degli Apostoli e ci presenta il cosiddetto “Concilio di Gerusalemme” (cfr At 15, 1-29), quella prima assise in cui gli Apostoli si radunarono per confrontarsi e, assistiti dallo Spirito divino, deliberare circa l’opportunità di imporre l’osservanza della legge giudaica ai nuovi battezzati di provenienza pagana. Componevano infatti la primitiva comunità cristiana, sia quegli israeliti che avevano riconosciuto in Gesù il Messia promesso, sia i “gentili”, così chiamati dagli ebrei in quanto non appartenenti al “popolo eletto”: costoro, nella tradizione ebraica, venivano esclusi dalla promessa di salvezza che Dio aveva fatto ad Abramo e alla sua discendenza. Ora, questi “gentili”, avendo accolto l’annuncio della Resurrezione – pensiamo alla predicazione di san Pietro e degli Apostoli nel giorno di Pentecoste – avevano ricevuto lo Spirito del Signore e si erano fatti battezzare nel nome di Gesù. “Circoncisi” e “gentili” condividevano perciò la stessa fede nel Risorto e facevano parte della stessa comunità cristiana. Sia gli uni che gli altri conservavano però le consuetudini e i costumi loro propri: quelli secondo le prescrizioni della legge mosaica, questi derivandoli dalle loro culture originarie. Anche in ragione di questa difformità di usanze, sorsero dei dissapori all’interno della comunità. Fu allora che si impose in modo ineludibile, la questione, per nulla secondaria, riguardo alla necessità di assoggettare alla Legge mosaica quanti venivano alla fede: ci si chiese se, al Battesimo nel nome di Gesù, sorgente della salvezza e della vita eterna, fosse necessario affiancare anche l’osservanza delle prescrizioni giudaiche e la conseguente incorporazione al “popolo ebraico”. Tale disputa divenne una preziosa occasione per la primitiva comunità dei credenti, per riflettere su sé stessa e per poter meglio riconoscere la propria identità di nuovo popolo eletto.

Nel cercare di dirimere la questione, Simon Pietro esprime la fede della Chiesa e afferma che tanto i circoncisi quanto i non circoncisi ottengono la salvezza per la Grazia del Signore Gesù. In questa affermazione centrale, il principe degli Apostoli coglie ed esprime la questione in termini, potremmo dire, “sostanziali”: la vera norma a cui è necessario che si sottoponga chi viene alla fede, è quella dell’amore che scaturisce dalla santa Croce di Gesù. Accogliere Gesù nella propria vita, significa essere immersi nella sua morte e partecipare così alla Grazia salvifica della sua risurrezione. Ciò che spinge ad accettare di porsi alla sequela del Divino Maestro è l’esperienza concreta di un amore che ci ha preceduti: guardando alla Croce di Gesù e meditando sulla sua passione e morte, ci è dato di capire quanto Dio ci abbia amato, donando per noi il suo Figlio diletto. Il Padre ha sacrificato quanto aveva di più caro perché noi comprendessimo la portata del suo amore per noi, per convincerci di quanto siamo preziosi ai suoi occhi. È per l’attrazione di questo amore che il nostro cuore può convertirsi a Lui! Siamo salvati in Gesù, che ci ha redento a prezzo del suo sangue, riconciliandoci con il Padre e donandoci la sua stessa vita; non siamo dunque giustificati per l’osservanza della legge, ma, preceduti dal suo amore, possiamo, per grazia, cercare di ricambiarlo in qualche misura. Questa è la buona notizia: in Gesù il Padre ci ha amato e ci reso suoi figli!

Il Vangelo poc’anzi proclamato ci ha esortato a rimanere in questo amore, a non dissiparlo in desideri che non possono appagare l’animo umano. Ecco allora ripresentarsi la questione della legge: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore” (Gv 15,10a). Dopo esserci resi conto di quanto Dio ci ami, comprendiamo che questo affetto divino esige di essere ricambiato; sentiamo allora il bisogno di vivere secondo i suoi comandamenti, di osservare una condotta di vita irreprensibile. Chi si sente amato da Dio, desidera custodire la legge che Egli ha scritto nel suo cuore e, per fare questo, si riveste di ogni virtù e allontana da sé ogni vizio. Ecco allora che, osservando come Gesù i comandamenti del Padre, possiamo rimanere nel suo amore; questa è la scoperta che dà senso alla nostra vita! Chi se ne rende conto, è disposto a qualsiasi rinuncia; una volta scoperto ciò che davvero vale nella vita e sentendosi pienamente appagato da questo amore, il discepolo del Signore è pronto a rinunciare a qualsiasi altro bene. Dio, Padre nostro, ci ha ricolmato della sua Grazia: rimaniamo nel suo amore! Se sapremo custodire la carità che è stata riversata nei nostri cuori, la nostra vita sarà davvero lieta nel Signore e potremo gustare la pace vera, quella pace che nessuno ci potrà togliere.

Il vostro, cari amici della Guardia Svizzera, è un servizio qualificato e apprezzato, che esige dedizione e serietà. Oltre a esortarvi ad essere fedeli all’impegno che avete assunto o che state per assumere, invoco dal Signore per voi l’aiuto della sua Grazia, perché possiate perseverare in questo compito così importante e delicato, fino al compimento della vostra missione: può trattarsi infatti di un periodo di servizio più o meno lungo, che per alcuni di voi si protrae sino a diventare una scelta di vita. Al di là però di queste differenze, essere Guardie Svizzere significa sempre aderire senza riserve a Cristo e alla Chiesa, con la disponibilità a spendere ogni giorno la vita per questo. La generosità e l’ardore con cui compite quotidianamente il vostro dovere, nello svolgimento delle mansioni di sicurezza che vi sono affidate, oltre ad onorare la memoria di quanti hanno dato la vita per difendere il Successore di Pietro, vi pongono in una posizione che evangelicamente dobbiamo definire privilegiata: “Infatti, chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? – chiese provocatoriamente Gesù agli Apostoli – Non è forse colui che sta a tavola? Eppure, io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Come ogni discepolo del Signore, anche voi, che fate parte di questo Corpo di Guardia, siete chiamati a vivere la sequela di Gesù, imitando il suo modo di stare in mezzo agli Apostoli: “… chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,44-45; cfr Mt 20,26-28). Questo è lo stile di Gesù, che ciascuno di noi è invitato ad assumere per poter essere davvero grande nel Regno dei Cieli.

Care Guardie Svizzere, la solida vita di fede, la consapevolezza dell'appartenenza alla Chiesa, la ferma volontà di non venir meno al giuramento di fedeltà al Papa, sono le motivazioni profonde che danno senso al vostro lavoro quotidiano. Sappiate cogliere nell’adempimento diligente del vostro servizio una singolare opportunità. Nelle prove e nelle difficoltà, che certamente non mancheranno, abbiate coraggio e confidate null’aiuto della Grazia di Dio. Chiedete allo Spirito Santo che vi illumini, perché, conoscendo i disegni della Provvidenza divina, possiate seguire la sua volontà. Fate in modo che la vostra vita sia spesa nel desiderio di compiacere il Signore Gesù e di aderire al suo comandamento: se avrete questo santo desiderio, lo Spirito di Dio prenderà dimora in voi e renderà i vostri cuori puri ed umili. È questo l’augurio più sentito che oggi desidero rivolgervi!

Vi sia di sostegno e di incoraggiamento anche la riconoscenza del Santo Padre, che mi ha incaricato di manifestarvi la Sua grata partecipazione. Vi accompagni e vi assista l’intercessione dei vostri santi Patroni: san Martino, san Sebastiano e san Nicola di Flüe. Maria Santissima, che ha custodito l’Unigenito Figlio di Dio nel suo grembo, vi aiuti ad essere autentici figli della Chiesa e vi protegga nel servizio al Successore di Pietro.

  

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