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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE
DEL 960° ANNIVERSARIO
DEL CONCILIO DI VERCELLI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Domenica, 5 settembre 2010

 

Cari fratelli e sorelle,

ci siamo raccolti in questa festosa assemblea, che vede riuniti i rappresentanti delle varie componenti diocesane, per ricordare con animo grato alla Provvidenza divina il 960° anniversario del Concilio di Vercelli. Nel solco vivo della grande tradizione della Chiesa, quell’Assise riaffermò che l’incontro tra Cristo e chi si comunica nell’Eucaristia implica un reale contatto con il Corpo del Signore Gesù. Pertanto, nel confutare le tesi spiritualiste, le quali sostenevano che nell’Eucaristia vi fosse solo una presenza spirituale, il Concilio di Vercelli sostenne la dottrina insegnata da Lanfranco da Pavia e ribadì autorevolmente che nella consacrazione il pane e il vino si cambiano, in modo ineffabile, nella sostanza della carne e del sangue del Signore.

Commemoriamo dunque un evento carico di significato ecclesiale, teologico e spirituale, che ben si inserisce nell’alveo ricco di storia, di tradizioni religiose e culturali, di operosa vita cristiana di questa antica e gloriosa Arcidiocesi. Sono lieto di salutare con affetto tutti voi, ad iniziare dal vostro Arcivescovo, il caro Mons. Enrico Masseroni, che ringrazio per l’invito e per le cordiali parole di benvenuto. Un deferente pensiero rivolgo alle Autorità, grato per la loro significativa presenza. Saluto cordialmente gli altri Fratelli nell’Episcopato, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose e i fedeli laici: a tutti mi sento legato a motivo della vocazione cristiana e della missione che ci accomuna.

Desidero inoltre esprimere la mia grande gioia per questo incontro, che mi trova in piena sintonia di ideali e di speranze con la Chiesa Vercellese, della quale sono stato Pastore per quattro intensi e indimenticabili anni. A tutti porto il beneaugurante saluto e la speciale Benedizione del Santo Padre Benedetto XVI, il Quale è spiritualmente unito a noi quest’oggi con la preghiera e con l’affetto.

Nell’odierno brano evangelico, san Luca ci presenta Gesù che parla alle folle, le quali con entusiasmo andavano dietro a lui. Gesù sembra voler smorzare quegli entusiasmi. Ai tanti che vogliono seguirlo, egli parla con franchezza ed elenca tre condizioni necessarie per chi vuole diventare suo discepolo, cioè un vero cristiano: amare Lui più di ogni altra persona e più della stessa vita; portare la propria croce e andare dietro a Lui; rinunciare a tutti i propri averi.

Che cosa significava “seguire Gesù” in quel tempo? Voleva dire mettersi dietro un profeta non ben conosciuto, rifiutato dai capi della nazione e criticato da tanti avversari. Significava mettere a repentaglio la vita, la casa, forse farsi odiare dalla propria famiglia per i rischi che le si faceva correre. Oltre a questo, voleva dire accettare di vivere in maniera nuova, contraria alle convinzioni della maggioranza, preoccupata soprattutto del proprio interesse. Gesù, infatti, esortava i suoi a vivere come figli di Dio e fratelli di tutti. Perciò, esigeva conversione, preghiera, purezza di pensieri e di vita, santità e fedeltà nel matrimonio, amore ai poveri, agli emarginati, a quelli che non potevano ricambiare i favori. Esigeva addirittura l’amore per i nemici e il perdono in ogni circostanza. Ed era insistente nell’esortare a non pensare solo al denaro. Voleva che i suoi discepoli provassero la gioia di servire gratuitamente gli altri, di donarsi e spendersi per tutti in un atteggiamento di pura offerta. “Rinunciare a tutto”, per Gesù, non voleva dire soltanto staccare il cuore dai beni terreni, ma saper rinunciare anche a certe convinzioni e abitudini, per cominciare a pensare e a vivere come Lui.

Questa pagina di Vangelo fu scritta e fu letta nelle prime comunità cristiane quando i discepoli di Gesù erano pochi, sperduti in mezzo alla gente pagana. Gli Apostoli facevano riflettere su queste parole del divino Maestro quanti volevano abbracciare la nuova religione. Per diventare cristiani dovevano pagare un caro prezzo, che a volte arrivava fino al martirio. Significava accettare una maniera di vivere diversa, impegnativa: i primi cristiani hanno trasmesso a noi la fede che a loro è costata tanto. Noi l’abbiamo ricevuta come un’eredità, come una testimonianza tramandata nel sangue.

Oggi, questa stessa pagina evangelica riacquista un significato esplicito anche per noi, perché ci annuncia la meraviglia che il mondo vive dell’Amore di Dio donato dalla concretezza della carne crocifissa di Gesù. Pertanto, credere significa affidarsi all’Amore e vivere l’Amore che in Gesù è donato al mondo e a tutti gli uomini, anche a quelli che non lo sanno. Ma oggi più che mai credere è una sfida: accettare la fede cristiana, nell’odierno contesto socio-culturale è una scelta non facile, può richiedere rotture dolorose con l’ambiente che ci sta attorno, a volte una croce da portare. Il mondo si sta secolarizzando rapidamente e stiamo assistendo all’affermazione di modelli di comportamento amorali, vissuti spesso come evasione dalla realtà. Non sono pochi coloro che considerano la vita, come i pagani di una volta, un tempo da consumare nell’egoismo. Molti non sentono il bisogno di rapportarsi con Dio e con Gesù Cristo. Qualcuno a volte quasi si vergogna di essere cristiano, di pregare, di offrire amore. E Gesù, ieri come oggi, parla ai suoi discepoli con schiettezza, perché Lui sa che cosa è importante nella vita delle persone, Lui ci dà quella sapienza – come ci è stato ricordato nella prima Lettura – che confuta i timidi ragionamenti dei mortali, raddrizzandone i sentieri (cfr Sap 9,14.18).

Il Signore oggi ci chiede di mettere al primo posto la fede in Lui, pur amando teneramente e intensamente i nostri cari. Però, se essi propongono scelte contrarie ai valori irrinunciabili, quali ad esempio il rispetto della vita umana dal concepimento al suo naturale tramonto, oppure azioni disoneste per avere vantaggi economici, il cristiano deve saper dire di no; perché, pur amando il coniuge, i genitori, i figli, il credente è prima di tutto di Cristo e in Lui trova la verità della vita. Gesù ci dice ancora che dobbiamo portare la nostra croce. Dunque, non vediamo il volere di Dio solo nelle scelte più comode, in ciò che ci appaga di più; accogliamola anche quando richiede fatica, quando è addirittura un martirio. Certe fedeltà, o certi impegni e doveri che diventano gravosi, sono la nostra croce, e la nostra giornata è seminata di sacrifici. Dobbiamo chiedere al Signore la forza, sul suo esempio e con il suo Spirito, di portare la nostra croce di ogni giorno, e anche le croci che durano mesi o anni.

Infine, Gesù ci dice di non considerare nulla come nostro possesso, di non rimanere attaccati ai beni materiali, di usarli senza farne degli idoli. Del resto, se anteponiamo i nostri interessi, la nostra ricchezza alla Parola di Dio e alla sequela di Gesù, non riusciremo a vivere e neppure a comprendere il volere di Dio per noi. E la volontà di Dio è il miglior bene per noi su questa terra e soprattutto per l’eternità. E’ la strada della vera felicità.

Cari fratelli, le parole di Gesù, che ho brevemente commentato, ci incoraggiano a vivere intensamente questo incontro di fede, che è la celebrazione eucaristica, nella “santa domenica, onorata dalla risurrezione del Signore, primizia di tutti gli altri giorni” (GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Dies Domini, 19). Nel piano di Dio la domenica è il giorno in cui la comunità cristiana si riunisce intorno alla duplice mensa della Parola di Dio e dell’Eucaristia. Pertanto, oggi siamo chiamati dal Signore innanzitutto a rinnovare e ad approfondire il dono della fede. Sì, la domenica è la festa della fede e della speranza; il giorno dell’incontro gioioso con Cristo Salvatore, che ci fa santi con il suo amore! In questa assemblea fraterna viviamo e celebriamo la presenza del Maestro, che ha promesso: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

A tale proposito, il Santo Padre Benedetto XVI, nel Suo speciale Messaggio indirizzato al vostro Arcivescovo per questa significativa commemorazione del Concilio di Vercelli, che ebbe un’intonazione prettamente eucaristica, scrive: “La fede di quel Santo Pontefice [S. Leone IX] e dei Padri conciliari di Vercelli è la stessa fede cattolica che, mediante le Scritture e la successione apostolica, ci pone in contatto vitale con Cristo Salvatore. Tale incontro si rinnova e si consolida in modo singolare ogni domenica, quando la comunità ecclesiale si raduna attorno all’Eucaristia per fare memoria della Pasqua del Signore, annunziando la sua morte e risurrezione «finché egli venga» (1 Cor 11,26). La Messa domenicale diventa, così, per i fedeli costante occasione di crescita nella fede”.

In un discorso pronunciato a Subiaco il 1° aprile 2005, poche settimane prima della sua elezione alla Cattedra di san Pietro, l’allora Cardinale Ratzinger così esprimeva il suo rammarico per una fede epidermica di tanti, contraddetta dalla condotta, e la necessità di coerenza alla vera sequela di Gesù: “Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento della storia – diceva – sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto le porte all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio, imparando da Lui la vera umanità”. E aggiungeva: “Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può fare ritorno presso gli uomini” (L’Europa nella crisi delle culture, Cantagalli 2005, p. 28).

Si tratta di parole chiare, che possono guidarci nella nostra vita di fede. Vivere fino in fondo il Vangelo, seguendo Cristo totalmente, è la conseguenza per chi seriamente crede nella Presenza reale e vivente di Gesù nella propria vita, sforzandosi di stare con Lui, di amarlo, pur vivendo in questo nostro mondo complesso. Il Vangelo vuole condurci ad una tale esperienza della fede per cui il “credere in” diventa la decisione radicale che tocca il senso fondamentale dell’esistenza, perché è l’incontro con una Persona che cambia la vita dell’uomo, è l’abbandono in Colui che si dona talmente all’uomo, in modo che l’uomo diventa in Lui capace di realizzare la propria esistenza in tutte le sue dimensioni, in un orizzonte che supera ogni desiderio e previsione umana.

A tale proposito, come non ricordare che la fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta in modo particolare alla Mensa di Dio che è l’Altare? Sì, come ci ricorda il Santo Padre nell’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, “l’Eucaristia è per eccellenza mistero della fede, è il compendio e la somma della nostra fede … La fede e i Sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall’annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell’incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei Sacramenti. Per questo, il Sacramento dell’altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo! Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli” (n. 6).

Fratelli e sorelle carissimi! Questa solenne celebrazione in ricordo di uno storico evento ecclesiale, che ha segnato il cammino della Chiesa grazie alla retta comprensione del mistero eucaristico, costituisce per tutti, specialmente per voi vercellesi, un invito all’accoglienza del Dono che genera l’uomo nuovo. Gesù, Pane di vita, si offre incessantemente per saziare la nostra sete di verità; diventa la nostra forza, ci dona una tale pienezza di esistenza che ogni attimo si dilata alle dimensioni dell’eternità.

Chiediamo al Padre celeste, per l’intercessione della Beata Vergine Maria e di sant’Eusebio, patrono di questa cara Arcidiocesi, di sostenerci sempre con la sua grazia, affinché, come pregheremo al termine della Messa, possiamo “progredire costantemente nella fede, per divenire partecipi della sua vita immortale” (Orazione dopo la Comunione).

 

  

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