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CONGRESSO DELLA STAMPA CATTOLICA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Basilica Vaticana
Mercoledì, 6 ottobre 2010

 

Cari fratelli e sorelle!

Saluto cordialmente tutti voi, rappresentanti del variegato mondo dei media cattolici, realtà quanto mai significativa nel panorama più ampio dell’informazione mondiale, riuniti nel Congresso promosso dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, qui rappresentato dal Presidente, l’Arcivescovo Mons. Claudio Maria Celli, e dai suoi collaboratori. A ciascuno sono lieto di partecipare prima di tutto il saluto del Santo Padre Benedetto XVI. Egli vi è vicino con la preghiera e, in attesa di incontrarvi domani, esprime viva riconoscenza per il ser­vi­zio che svolgete mediante i mezzi di comunicazione sociale affidati alla vostra professionalità, esortandovi in pari tempo ad essere sempre costruttori di verità e di bene.

Nella pagina di Vangelo appena proclamata, san Luca narra le circostanze nelle quali Gesù insegna il “Padre nostro” ai suoi discepoli. Essi sono abituati alla preghiera del loro Maestro, che sceglie dei luoghi e dei momenti particolari per rivolgersi al Padre: le veglie notturne, la solitudine di un monte, il silenzio del deserto. Possono constatare che la preghiera è una dimensione essenziale nella vita di Gesù, infatti ogni sua azione importante - dal Battesimo alla Trasfigurazione, dalla scelta dei Dodici alla speciale investitura di san Pietro - è fecondata da prolungate soste di preghiera. Inoltre, restano profondamente affascinati perché vedono che Egli non prega come gli altri maestri del tempo, ma la sua preghiera è un legame intimo e profondo con il Padre, tanto che desiderano essere partecipi di questi momenti di unione con Dio, per assaporarne completamente la dolcezza. Così, un giorno, aspettano che Gesù concluda uno di questi suoi colloqui dell’anima, in un luogo appartato, e poi gli chiedono: “Maestro insegnaci a pregare”.

Rispondendo alla domanda esplicita dei discepoli, Gesù consegna loro questa formula di preghiera, che è uno dei doni più preziosi lasciatici dal divino Maestro nella sua missione terrena. Dopo averci svelato il suo mistero di Figlio e di fratello, con questa preghiera Gesù ci fa penetrare nella paternità di Dio e ci indica il modo per entrare in dialogo orante e diretto con Lui, attraverso la via della confidenza filiale. Ciò che chiediamo nel “Padre nostro” è già tutto realizzato e donato a noi nel Figlio Unigenito: la santificazione del Nome, l’avvento del Regno, il dono del pane, del perdono e della liberazione dal male. Mentre chiediamo, noi apriamo la mano per ricevere. La preghiera che ci ha insegnato il Signore è la sintesi di ogni preghiera, e noi la rivolgiamo al Padre sempre in comunione con i fratelli. In essa attingiamo alla sorgente della nostra vita, che è Dio; per questo, secondo il detto di sant’Agostino: “Chi impara a pregare, impara a vivere”.

Nella prima Lettura abbiamo ascoltato le parole dell’apostolo Paolo che, dopo aver rievocato la chiamata ricevuta da Dio per l’evangelizzazione dei pagani, scrive ai Galati di essere co­munque tornato a Gerusalemme per confrontarsi con gli altri Apostoli. Sa bene, infatti, che il carisma ricevuto da Dio è per l’edificazione della Chiesa e non per realizzazioni perso­nali. Torna dunque a Gerusalemme dopo quattordici anni di ministe­ro; lo accompagnano Barnaba e Tito, per discutere circa i frutti della sua predicazione. Esamina tutto questo con le “colonne” della Comunità, appunto, per evitare di “correre invano”. Non che Paolo fosse dubbio­so del Vangelo che predicava, tutt’altro, ma sapeva che è nel­la comunione che si costruisce la Chiesa e non nel protagoni­smo personale. A Gerusalemme dibatte liberamente con gli altri Apostoli sul valore della legge. In proposito, san Luca, nel libro degli Atti degli Apostoli riferisce che l’assemblea ascoltò in silenzio Paolo e Barnaba che raccontavano “quanti grandi segni e prodigi Dio per loro mezzo aveva operato fra i pagani” (At 15,12).

Paolo poté, in ogni caso, controbattere a quei “falsi” fratelli che re­spingevano la sua missione tra i pagani, sostenendo che in tal modo non solo avrebbero diviso la comunità cristiana, ma l’avrebbero resa schiava della legge. Egli ottenne la conferma della sua azione pasto­rale da parte degli Apostoli, i quali gli fecero una sola raccomandazione: “Ci pregarono di ricordarci dei poveri”. Paolo conclude: “Ciò che mi sono proprio preoccupato di fare”.

Anche nel nostro tempo, i discepoli di Cristo sono chiamati a ricordarsi dei poveri, condividendo con loro, oltre ai necessari beni materiali, il dono più prezioso, cioè il Vangelo: questa è la più grande carità che possiamo fare a quanti sono emarginati, oppressi, colpiti da varie alienazioni e povertà. Evangelizzare i poveri: questo è il progetto di Gesù che il Padre ha mandato per “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18), questa è la vocazione della Chiesa, questa è la missione di ogni battezzato. L’evangelizzazione sta a fondamento di tutta l’opera della Chiesa. La promozione umana è parte integrante e quindi costitutiva dell’evangelizzazione, non è però né sostitutiva di essa né ad essa alternativa. Nulla si deve anteporre alla proclamazione del Vangelo.

Cari amici, i testi biblici che stiamo meditando riguardano anche voi tutti, operatori della comunicazione sociale. Nella sua grande bontà, Dio ha voluto che nell’«agorà» degli uomini risuonasse anche la sua voce, e la sua parola, come dice la Lettera agli Ebrei: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1). La Chiesa, testimone fin dalle origini della predicazione e delle azioni con cui Gesù ha annunciato il Regno di Dio, esiste per comunicare agli uomini questa bella notizia. È in tale contesto che vedo la vostra opera, la quale, attraverso l’inculturazione del Vangelo dentro il linguaggio giornalistico, tende a rendere i media più capaci di trasmettere e lasciare trasparire il messaggio evangelico. La vostra propria modalità di comunicare il Vangelo risponde ad un’urgente esigenza della fede oggi: l’esigenza che essa sia sempre più una fede pensata, per diventare chiave interpretativa e criterio valutativo di ciò che accade. È a voi ben noto che i media non sono mai del tutto mezzi “neutri”. Sono al contempo mezzo e messaggio, generando una nuova cultura; pertanto i responsabili dei processi comunicativi, come ha osservato il Santo Padre Benedetto XVI in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali dello scorso anno, sono chiamati a “promuovere una cultura di rispetto per la dignità e il valore della persona umana. E’ questa una delle strade nelle quali la Chiesa è chiamata ad esercitare una diaconia della cultura”. In particolare, grande è la responsabilità dei media cattolici nei diversi Paesi. Come gli altri, sono chiamati a informare e formare, ma con il compito di contribuire all’annuncio di Cristo e all’apertura delle società a Dio. Mostrando la plausibilità del rapporto che lega ragione e fede in un confronto rispettoso e chiaro con le diverse posizioni presenti nel dibattito pubblico. Senza cedere alla tentazione, purtroppo sempre presente, di dare spazio a interessi di parte o settari - politici, economici o persino religiosi - per servire senza tradimenti soltanto quello che Manzoni chiamò “il santo vero”, la verità.

Cari fratelli e sorelle, è grande il vostro compito, se si tiene conto anche della povertà delle risorse disponibili. Ma proprio questa condizione fa parte dello stile con cui il Regno di Dio si fa strada. Esso è come il seme nel campo ed il lievito nella pasta. La vostra ricchezza e forza è nel Vangelo che comunicate, il vostro sostegno è Dio. FateGli spazio! Nei vostri progetti, nella vostra attività, cercate sempre di aprire le porte a Lui e per fare questo apriteGli prima di tutto le porte del vostro cuore nella preghiera, rivolgendovi a Lui con fiducia filiale, come ci ha insegnato Gesù. Vi assista con la sua materna protezione la Vergine Maria, che in questo mese di ottobre il popolo cristiano invoca con la preghiera del santo Rosario. Lei ci ricordi sempre che anche la nostra vita ha valore se interamente donata a Dio e generosamente posta al servizio dei fratelli nella carità e nella gioia.

    

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