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VISITA ALLO STABILIMENTO CELLTELL DI SCARMAGNO

INTERVENTO DEL CARD.TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Sabato, 30 ottobre 2010

 

Ringrazio dell’invito che mi avete rivolto a visitare il vostro stabilimento e a conoscere da vicino l’articolazione del piano industriale ed il progetto di sviluppo messo in atto dalla CellTel per superare uno stato di crisi e garantire la continuità operativa dell’azienda. Si tratta di seguire i promettenti stimoli di una ripresa che non può non andare avanti, conoscendo il carattere operoso e concreto della gente del canavese, di cui mi onoro di far parte.

Scarmagno è, infatti, un ambiente storico di imprenditoria e di lavoro che ha dato lustro al canavese e all’intero Piemonte. Le sue fabbriche, a cominciare dall’esperienza dell’Olivetti, hanno favorito una cultura, una mentalità lavorativa, una idealità sociale, che non devono venire meno nelle nuove generazioni. Noi tutti vogliamo che i nostri giovani possano vivere nell’ambiente di lavoro creato con fatica dalle generazioni precedenti, pur con i cambiamenti strutturali richiesti dal mutare dei tempi. Vogliamo che possano trovare il luogo adatto per realizzarsi come “persona”; il luogo dove possano spendere le loro energie e mettere a frutto la loro intelligenza nel far progredire la società.

Le strategie aziendali che sono state messe in atto, richiedono l’impegno partecipativo di Olivetti, insieme a TELIS e richiedono la continuità operativa di Telecom e Poste Italiane per garantire allo stabilimento di Scarmagno di continuare ad essere un polo di eccellenza nel settore, per assicurare la stabilità lavorativa di quanti sono già impegnati, ma anche per soddisfare le richieste di quanti aspettano ancora un inserimento nel lavoro. Il successo dell’operazione “Scarmagno”, non potrà che essere garantita dall’incremento del capitale umano.

So che ci sono ancora delle sofferenze e che un certo numero di cassintegrati, attendono la chiamata di evangelica memoria: "Andate anche voi a lavorare nella mia vigna" (Mt 20, 7).

Mi è stato anche assicurato che, pur nella difficile contingenza attuale sono stati fatti dei progressi per stipulare accordi e per ottenere nuove commesse di lavoro, che darebbero impulso all’attività industriale e che permetterebbero di assorbire anche i rimanenti in aspettativa.

Come Sacerdote e Vescovo non posso che indicare la via alta della fede cristiana che mette l’uomo – ogni uomo - al centro di ogni sistema, proprio come ha fatto Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Caritas in veritate. Il Santo Padre ha detto bene che la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende di intromettersi nella politica, e specificamente nella politica industriale, ma ha il dovere di far sentire la sua voce nelle cose che riguardano la dignità umana e i valori ultimi dell’esistenza umana (cfr n.9).

A tale proposito, permettetemi di ripetere, anche in questa circostanza, quanto ho avuto più volte modo di affermare e che spero possa contribuire ad illuminare la vostra riflessione e le decisioni che devono essere assunte per il bene comune.

L’attuale crisi economica ci ha richiamato in modo ineludibile ad un dato che ha sempre accompagnato la vita umana, ma che nel corso degli ultimi anni sembra essere stato dimenticato, anche a causa del crescente benessere materiale. Essa ci ha ricordato la precarietà della vita ed il senso della finitezza umana. Nonostante la sua drammaticità, che ha trasmesso un senso di sfiducia e di scoraggiamento, la crisi può costituire paradossalmente l’occasione positiva per riscoprire i più autentici valori umani e per aprirci ad uno sguardo nuovo sull’uomo e sul tempo presente. Nella sua enciclica Caritas in veritate, Papa Benedetto XVI afferma che: «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (n. 21). Il Santo Padre ci sprona dunque a guardare avanti con fiducia, poiché la presente crisi, lungi dal favorire un ripiegamento su noi stessi, può, al contrario, incentivare lo sviluppo di nuove creatività ed iniziative, oggi più che mai necessarie, le quali devono tuttavia fondarsi su solide radici.

Porre l’uomo al centro significa innanzitutto valorizzare e favorire la sua dimensione trascendente. Non vi è vera centralità dell’uomo se nel suo orizzonte egli non afferma una contemporanea centralità di Dio. E, di conseguenza se le scelte economiche non garantiscono le condizioni di vita indispensabili perché la persona si possa elevare verso Dio.

Nello stesso tempo occorre favorire anche quei legami orizzontali originari, che caratterizzano la crescita dell’essere umano. A questo proposito voglio sottolineare quanto è saggio e proficuo tener conto dei bisogni di quell’istituto fondamentale della società che è la famiglia.

La famiglia è il luogo principale della crescita di ciascuno, poiché attraverso di essa l’uomo si apre alla vita e al mondo intero. I legami che essa crea, sono pertanto imprescindibili per lo sviluppo e lo possiamo costatare con i nostri occhi: laddove la famiglia è più forte, anche le ricadute della recente crisi sono state umanamente meno gravose. Innanzitutto, perché la famiglia genera legami di fiducia ed educa ad essa. Non è pensabile riprendersi da una crisi che ha minato fin nelle basi il sistema fiduciario, senza l’ausilio di “luoghi di fiducia”.

Una scelta politica e aziendale che ponga al centro l’uomo nelle sue dimensioni integrali, non solo potrebbe favorire una ripresa economica più stabile e a beneficio di tutti, ma contribuirebbe in modo positivo a superare quella crisi di fiducia che ha coinvolto non solo gli operatori economici, ma, soprattutto in Occidente, anche il mondo delle istituzioni. Al centro di questo rinnovato impegno vi deve essere un’etica che valorizzi quella grande ricchezza che è il lavoro – il cosiddetto capitale umano – e che allo stesso tempo favorisca un’idea d’impresa nella quale il perseguimento del profitto non costituisca un fine esclusivo e autoreferenziale.

Credo che il senso della mia presenza qui oggi sia quello di condividere un impegno comune che la Chiesa da sempre promuove e che ci fa guardare all’uomo animati dalla realistica consapevolezza che l’anima di ogni riforma è in ultima analisi data dalla riforma di ogni anima, di ogni persona. Una vera riforma consiste nell’acquisire una maggiore consapevolezza della responsabilità personale di ciascuno verso il proprio destino e verso il prossimo. Come scriveva il grande poeta inglese T.S. Eliot: «C’è un lavoro comune / E un impegno per ciascuno / Ognuno al suo lavoro»[1]!

Facendomi portavoce della gente canavesana come me, ringrazio tutti coloro che si sono fatti carico di perseguire la soluzione ottimale dei problemi. Per essi imploro l’aiuto di Dio.



[1] T.S. Eliot, I cori da “La rocca”, Bur, Milano 1994, 43.

   

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