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CELEBRAZIONE EUCARISTICA
CON LA PARTECIPAZIONE DELLE NUOVE RECLUTE
DELLA GUARDIA SVIZZERA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Giovedì, 25 novembre 2010

 

Cari Fratelli!

Sono molto lieto di celebrare questa Eucaristia, in forma quasi familiare, per accogliere il gruppo delle nuove Reclute della Guardia Svizzera Pontificia, che stanno svolgendo il loro periodo formativo e si preparano ad entrare nel servizio vero e proprio. A voi, cari giovani, rivolgo il mio saluto cordiale, che nello stesso tempo va, con grande stima, al Signor Comandante e al Reverendo Cappellano.

Fermiamoci brevemente a meditare sulle Letture bibliche che abbiamo ascoltato e che ci conducono verso la prima domenica di Avvento. Sia nella prima Lettura, sia nel Vangelo, ricorrono i temi della fine del mondo, del ritorno del Signore, del giudizio finale. In particolare, i testi di oggi ci parlano della caduta della simbolica città di Babilonia e della rovina di Gerusalemme. Gli autori sacri, secondo il genere letterario, fanno ampio uso di immagini, per raffigurare queste catastrofi dalla portata storica e cosmica.

Nella prima Lettura, tratta dal Libro dell'Apocalisse, san Giovanni vede e sente l'angelo di Dio annunziare la caduta di Babilonia, “la grande città”, che simboleggia la Roma degli Imperatori, pagani e persecutori dei cristiani. Quella Roma, detta appunto “Babilonia”, è diventata un “covo di demoni”, cioè ha raccolto in sé ogni specie di mali, illudendosi di non subirne l’influsso negativo, ma rimanendone alla fine prigioniera essa stessa. Proprio perché, nella sua superbia, si era sollevata tanto in alto, le proporzioni della sua caduta sono tanto più enormi, come quelle di una macina da mulino che dal cielo viene scagliata nel mare. Questa immagine vuole significare che la sconfitta dell’impero del male è radicale e totale, ed è la giusta punizione per tutte le violenze che Babilonia ha compiuto. Alla fine, nessun potere terreno può resistere alla giustizia divina.

Immagini catastrofiche, dunque, ma che ci fanno bene, ci danno speranza, perché descrivono la vittoria finale del bene sul male, la vittoria di Dio sul peccato. Nel Vangelo, però, Gesù sembra offrirci una prospettiva del tutto negativa. Egli afferma che perfino Gerusalemme – la Città santa – verrà calpestata dai pagani! Ebbene, questo scenario sembra in contraddizione con quello disegnato da san Giovanni nell’Apocalisse: lì, infatti, era Babilonia, la città dei pagani, ad essere distrutta, non Gerusalemme!

E c'è di peggio ancora: non solo la Città santa appare destinata ad una fine catastrofica inevitabile, ma anche l'universo, la creazione intera viene presentata da Gesù come coinvolta e sconvolta nel cataclisma finale.

Ma, proprio a questo punto, arriva la grande sorpresa, l’imprevedibile affermazione: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”! Detto con altre parole: la più terribile e sconvolgente catastrofe non potrà mai cancellare la speranza dei cristiani, la nostra speranza. Il cristiano non è mai vittima della paura o della disperazione, ma al contrario è uomo che, in ogni circostanza, sa che tutto è nella mano onnipotente di Dio.

Per questo motivo, anche nella parte conclusiva della visione di san Giovanni, al capitolo 19 dell’Apocalisse, si leva all’improvviso un potente “Alleluia!”, l’acclamazione festosa di una folla immensa nel cielo: è un augurio di felicità, l’annuncio di una festa che non avrà mai fine. E’ una promessa da mettere per iscritto perché rimanga impressa per sempre.

Così l’angelo disse a Giovanni: “Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!”. Dai tempi dei primi cristiani, l’Eucaristia viene chiamata il “banchetto delle nozze dell’Agnello”, perché nel Sacrificio della Croce di Cristo noi celebriamo in anticipo la vittoria finale dell'amore di Dio. E anche questa verità è stata scritta nella storia della Chiesa e si è impressa nelle pagine vive della sua esistenza.

Care Reclute della Guardia Svizzera Pontificia, mi sembra che la Parola di Dio voglia rivolgervi un invito ad essere giovani pieni della speranza cristiana e del senso cristiano della storia. E’ questa una meta alta, di lungo termine, e il mio augurio è che l’esperienza che state iniziando qui a Roma, al servizio del Sommo Pontefice, vi sia di aiuto per questo scopo. Il Signore vi chiama ad avere uno sguardo profondo sulla storia; a non lasciarvi turbare dagli sconvolgimenti superficiali del mondo, perché c’è un disegno più grande che conduce l’umanità alla sua meta ultima, il Regno di Dio.

E in questa storia che Dio scrive insieme con i suoi figli, sono decisivi i piccoli gesti quotidiani, compiuti con fedeltà e con amore. Anche voi, nel vostro servizio, sarete chiamati a dare significato cristiano e umano e gesti semplici, a volte ripetitivi, che tuttavia esprimono una presenza costante, un’attenzione vigile e precisa alla sicurezza del Papa, dei suoi collaboratori e dei pellegrini che vengono ad incontrarlo.

Tra questi gesti, ci sono anche quelli di “alzarsi” e di “levare il capo”, che richiamano le parole di Gesù nel Vangelo. Vi auguro che questo “alzarsi” e questo “levare il capo” siano per voi un richiamo costante a non perdere mai il coraggio e la motivazione, a perseverare anche quando tutto sembra vano o pesante.

Beati voi, dunque, che siete stati invitati a servire il Santo Padre, a servire il Vicario e la Chiesa di Cristo. Beati voi, invitati oggi, ed ogni domenica, al banchetto dell’Eucaristia.

Beati noi tutti, “perché eterna è la misericordia di Dio, la sua fedeltà per ogni generazione” (Salmo responsoriale).

Amen.

     

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