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CENTENARIO DELLA CASA DI CURA “VILLA GIUSEPPINA” DI ROMA
SUORE ANCELLE DELLA CARITÀ DI BRESCIA

CELEBRAZIONE EUCARISTICA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Martedì, 14 dicembre 2010

 

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di essere con voi per rendere grazie al Signore a motivo del Centenario di questa Casa di Cura “Villa Giuseppina”. Rivolgo il mio cordiale saluto alla Presidente della Regione Lazio, Sig.ra Renata Polverini, a Mons. Gino Belleri, Cappellano di questa Opera, alle Reverende Superiore delle Suore Ancelle della Carità e all’intero Corpo Sanitario. In particolare a voi, ospiti di questa struttura, esprimo tutta la mia vicinanza. A tutti porto il beneaugurante saluto e la Benedizione del Santo Padre Benedetto XVI, il Quale è spiritualmente partecipe all’odierna celebrazione.

“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”(Mt 16,24). Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, il Signore Gesù delinea l’identità del vero discepolo: è colui che si mette alla sua sequela e prende la croce; è colui che ha fatto esperienza del Signore e si è lasciato conquistare. Seguire il Signore vuol dire porsi in cammino con Lui e fidarsi più di Lui che degli appoggi umani. Si tratta di assumere nella propria vita la logica della Croce, imparando da Gesù a farsi dono per gli altri. L’invito a “prendere la croce” non comporta una ricerca della sofferenza, ma esprime la necessità di accogliere nella propria esistenza il dinamismo del dono. In questo modo la vita acquista pienezza di significato e direzione, perché è  aperta a Dio e all’amore verso i fratelli. Colui che, invece, decide di fare del proprio “io” la misura di tutto, il criterio di riferimento, ripiegandosi in un continuo compiacimento di sé, è destinato ad una vita persa, senza un significato profondo e definitivo. Nell’attuale contesto culturale si sta rivelando, in tutta la sua ampiezza, la crisi di una concezione del soggetto fondata sull’individualismo, dove ciò che è degno di considerazione e fonte di verità, è l’assoluta affermazione di se stessi. Al contrario, tutta l’esistenza di Gesù è stata permeata dal dono di sé, e soprattutto l’ora della Croce manifesta pienamente fin dove giunge la misericordia di Dio. Egli condivide il dolore e la sofferenza di ogni uomo e, assumendoli, li trasforma in vita. Anche nella sofferenza, nella prova sperimentiamo la forza di Dio che non ci abbandona. Pertanto, “prendere la croce” è essenziale se si vuol essere discepoli di Gesù. Essere cristiani non è la decisione di un momento, ma la scelta di una vita. Il cammino del discepolato passa attraverso la crocifissione del nostro “uomo vecchio” per diventare nuove creature, attraverso il rifiuto di tutto ciò che è contrario al bene per vivere nella libertà dei figli di Dio.

Carissimi, soffermiamoci ancora un momento su questa verità evangelica, che dobbiamo comprendere e soprattutto vivere sempre di più. Noi, come discepoli, siamo chiamati ad assomigliare al Maestro, ad identificarci con Lui, con i suoi atti, con le sue parole, con i suoi gesti. La sequela ci porta ad aspirare alla realizzazione del Regno di Dio sulla terra, a non vivere per noi stessi, ma per la salvezza dei fratelli e per l’edificazione del Corpo di Cristo. Il discepolo, trasformato dall’incontro con il Signore, vede in ogni creatura umana un figlio di Dio e una persona per la quale Cristo è morto e risorto. L’esperienza di santa Maria Crocifissa di Rosa ha pienamente incarnato la parola del Maestro. Non si potrebbe comprendere tutta l’azione caritativa della Santa e delle sue Figlie se non a partire dall’essere discepoli del Signore. Da questa relazione intima e profonda nasce il servizio verso i fratelli. La Fondatrice, rivolgendosi alle sue Figlie diceva: “Vi raccomando una grande carità: abbiate carità prima tra di voi e poi con le povere ammalate…nel vostro operare abbiate di mira soltanto la gloria del Signore; operare solo, solo per Lui. Nell’assistere considerate non la creatura, ma la persona stessa del Signore” (cfr L.FOSSATI, Beata Maria Crocifissa di Rosa, Brescia 1940, p. 584). Nell’insegnamento di santa Maria Crocifissa di Rosa appare insistentemente questa motivazione, che scaturisce dalla contemplazione del Mistero Pasquale: il pensiero all’amore di Gesù verso di noi, manifestatosi nell’Incarnazione e nella gloriosa Passione, anima il suo cammino e quello delle Suore Ancelle della Carità. È possibile leggere tutta la vicenda terrena della Fondatrice in questa prospettiva cristocentrica. Dalle sue varie iniziative caritative su diversi fronti - emarginati, donne disagiate e sfruttate -, all’incontro con il Papa, il Beato Pio IX, nel 1850, per ottenere l’approvazione delle Costituzioni,  fino alla nascita al cielo, il 15 dicembre 1855, ella ha irradiato intorno a sé il riflesso dell’infinita Misericordia di Dio. La preghiera e la carità si sono mirabilmente intrecciate nella sua vita per la gloria di Dio e per il bene delle anime. Il contatto avuto con i poveri, gli orfani, gli ammalati e l’azione formativa condotta presso le giovani hanno maturato in lei la forte consapevolezza di amare e servire Cristo in ogni persona, in ogni tempo e in ogni luogo.

Cari fratelli e sorelle, celebrare il centenario di questa Casa, voluta dal Papa san Pio X, è motivo di gioia e di conforto. Visitare questo luogo significa sentire vivo e fecondo il carisma dell’amata Santa, che con la sua “carità organizzata” ha voluto donare anche a Roma, come in altre parti del mondo, la presenza delle sue figlie. L’amore verso la persona malata è alla base dell’impegno professionale di ogni Ancella della Carità: accogliere l’altro, donare attenzione ai suoi bisogni, condividere il suo dolore, in una trama di relazioni con i familiari e i collaboratori per umanizzare ogni componente del complesso mondo sanitario. Risuona con forza l’invito di santa Maria Crocifissa di Rosa ad amare, come primo dovere, il malato, nel rispetto della sua dignità di persona.

La testimonianza della Fondatrice rivela, a partire dal Mistero di Cristo, la visione che bisogna avere dell’ammalato. Questi non può essere considerato solo nel suo stato di malattia; prima della mancanza di salute egli porta in sé, in modo indelebile, la dignità di persona. Ogni ammalato, pur non potendo manifestare al meglio le diverse facoltà, resta un essere “creato ad immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26). In questo modo al paziente viene riservata quella cura amorevole capace di guardare in modo globale alla sua storia, alla sua domanda di senso e alla sua richiesta di comprensione. L’amore per Cristo porta a riconoscere nel fratello ammalato il volto del Signore, che nella morte in croce si è unito ad ogni dolore e sofferenza umana. Ed è ancora il Mistero di Cristo che illumina e sostiene il servizio verso i fratelli provati dalla malattia: questo corpo mortale sarà trasformato nel corpo glorioso (1Cor 15,54), quando Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15,28). In questo modo non ci troviamo di fronte solo a dei corpi fragili, segnati dalla sofferenza, ma accanto a persone che con la loro storia, con le loro domande, interpellano continuamente la nostra vita. Chi pensa di definire il mistero dell’uomo a partire da una sola prospettiva, oggi quella materialistica, in realtà non rende ragione e non rende un servizio alla comprensione dell’umano. Quando questo avviene, assistiamo al nascere di grandi solitudini interiori perché la malattia, la sofferenza non trovano senso e la stessa vita appare inutile, dando spazio talvolta al pensiero di porre fine ai propri giorni. È la mancanza di carità che confina il fratello ammalato nell’angoscia e nella disperazione; pertanto, non dimentichiamo che il corpo ammalato è, per noi, un’invocazione d’aiuto, perché nessuno può cancellare la domanda dell’anima che si interroga sul mistero del proprio dolore.

Tra pochi giorni celebreremo il Mistero dell’Incarnazione; e sarà proclamata questa Parola: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Annuncio di un Dio che assume la fragilità e la debolezza dell’uomo per donargli la vita divina. Insieme alla Vergine Maria e a san Giuseppe accogliamo nella nostra esistenza il Verbo Incarnato; potremo riconoscere nella caducità della carne la presenza della Gloria di Dio e, sull’esempio di santa Maria Crocifissa di Rosa, la nostra vita sarà un canto di lode al Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo per il bene dei nostri fratelli.

 

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