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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO
DEL TRIBUNALE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Cappella del Governatorato,
Sabato, 15 gennaio 2011

 

Cari fratelli e sorelle!

Nel brano della Lettera agli Ebrei, poc’anzi proclamato, viene descritta la potenza penetrante della Parola di Dio, mediante specifiche caratteristiche. Essa è anzitutto «viva», perché, se ascoltata, ogni giorno “rifonda” la comunità. Nutre infatti i credenti con un cibo sempre nuovo, adatto ad ogni età spirituale, e li sostiene perché sappiano sradicare il male ed edificare il bene. E’ poi «efficace», cioè dinamica, operosa. Le successive caratteristiche sono legate all’immagine della «spada a doppio taglio»; si tratta della spada dei legionari romani, ma anche del lungo coltello rituale utilizzato per il sacrificio ebraico, che è affilato da entrambe le parti. La Parola di Dio è «tagliente» e «penetrante» come questa spada, raggiunge l’anima umana senza trovare ostacoli, ma talvolta provocando dolore. Questa sua intima presenza nell’uomo è presenza attiva, che scruta, «discerne» e giudica la moralità dell’agire umano. Per questo il credente è invitato ad affidarsi ad essa se vuole conoscere le profondità del proprio cuore.

Questa Parola rappresenta Dio stesso; infatti l’autore della Lettera agli Ebrei, subito dopo aver accennato alla Parola di Dio, si riferisce immediatamente a Dio che si fa presente all’uomo, il quale non può sottrarsi a questo sguardo divino, che vede tutto e ai cui occhi tutto è scoperto. Di fronte alla Parola del Dio onnisciente e onnipresente l’uomo non può rimanere indifferente, è infatti interpellato nell’intimo della sua esistenza per quella risposta di fede che sola costituisce la sua vera grandezza.

Su questa stessa lunghezza d’onda è il Salmo responsoriale che abbiamo pregato. Esso ci ricorda che Dio illumina l’uomo con lo sfolgorare della sua Parola contenuta nella Torah rivelata. Infatti la Torah è descritta con attributi solari: «il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi». Come il sole offre la luce fisica all’orizzonte dell’universo, così la Legge è la lampada che dà luce all’orizzonte morale dell’uomo. La Legge di cui parla il Salmo è, infatti, al servizio dell’uomo, per la crescita dell’uomo, per la realizzazione piena del suo destino. L’uomo realizza se stesso attraverso la Legge, nella libertà. La Legge perciò non sta sopra o di fronte all’uomo, ma dentro il suo cuore. Come dice il Signore: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33).

Al di sopra di ogni legge umana – giusta o ingiusta, limpida o contorta – c’è la Legge di Dio, quella Legge «perfetta» che il Creatore ha inscritto nel cuore di ogni uomo e ha poi inciso sulle tavole consegnate a Mosè sul monte Sinai. Qui sta il fondamento della legge naturale e della morale oggettiva. Le radici dell’illegalità risiedono soprattutto nella mancanza di una morale secondo verità. E’ la moralità, infatti, che responsabilizza e impegna a rispettare la legge, in quanto fa sorgere nella persona una forza interiore che la spinge a osservare le norme. Se però non si sceglie la morale che parte dalla verità stampata dentro ogni uomo, e dunque per tutti criterio del bene e del male, si cade nella morale soggettivistica, che ha come criterio di riferimento l’individuo e la sua assoluta libertà di definire i confini del lecito e dell’illecito, del giusto e dell’ingiusto. Questa impostazione, che attribuisce all’individuo una libertà assoluta, va contro il disegno di Dio. Paradigmatica rimane la pagina della Bibbia nella quale viene detto che l’uomo può mangiare ogni frutto dell’Eden, tranne quello dell’albero della conoscenza del bene e del male (cfr Gen 3,1-5). Non è l’uomo infatti a creare l’ordine morale, che gli è già stato dato da Dio stesso nella creazione.

Per vivere in una società serena e ordinata, occorre dunque un riferimento puntuale alla legalità, che si ottiene riscoprendo il significato positivo e liberante della legge morale e, nello stesso tempo, la sua incidenza sociale. La legge morale, infatti, non si pone contro la persona e le sue esigenze, ma piuttosto è al suo servizio, in quanto la aiuta a non essere dissociata al proprio interno tra la verità più profonda, che Dio ha impresso nel suo cuore, e il comportamento concreto che assume nel corso della vita. A tale proposito, grande è il compito della comunità cristiana: essa, in ogni sua articolazione, è chiamata a educare alla Legge di Dio, ai Comandamenti. In una situazione culturale confusa e spesso sconcertante, come quella attuale, ci accorgiamo che il riferimento alla Chiesa è vivo e forte, perché le si riconosce la capacità e l’autorevolezza per pronunciare una parola di incoraggiamento e di speranza.

Al riguardo, mi piace ricordare quanto ha scritto il Santo Padre Benedetto XVI, nell’Enciclica Caritas in veritate: «La Chiesa ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla» (n. 9).

L’autorevolezza della Chiesa proviene da Cristo, dalla sua autorità, che, come abbiamo visto nell’odierna pagina evangelica, è strettamente legata alla sua misericordia. La sua autorità è grande, Egli infatti è «il sommo sacerdote che ha attraversato i cieli», la cui Parola «è spada a doppio taglio… e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore». In forza di questa autorità, Gesù parla alle folle e impartisce ordini: «Seguimi», ottenendone l’immediata esecuzione: «Ed egli si alzò e lo seguì» (Mc 2,14). Ma questa autorità non è sinonimo di durezza, perché, anzi, Gesù è la Misericordia in persona e non può non compatire le nostre infermità. Infatti, lo vediamo accogliere i peccatori, sedere a mensa con loro, in un clima sereno e familiare che suscita le riserve dei farisei e degli scribi, i quali lo criticano apertamente. A tali critiche Gesù risponde: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). I farisei non ricorrevano alla sua misericordia perché non ne sentivano il bisogno; i discepoli invece lo riconoscono autorevole e misericordioso, e questo è motivo per loro di gioia e di pace. Infatti, gli amici di Cristo sanno di potersi sempre accostare «con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia… così da essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16).

Testimonianza di ciò è il dono di sua Madre, di cui oggi, ogni sabato, facciamo grata e devota memoria. Lei, la piena di grazia, rifugio dei peccatori, Consolatrice degli afflitti e Madre di misericordia, contribuisce a svelarci il volto di Dio, che resiste ai superbi e dà grazia agli umili.

Cari fratelli, in questa Santa Messa siamo invitati a fare nostri i sentimenti del salmista, a rivolgerci a Dio in atteggiamento fiducioso e orante, ponendo dinanzi a Lui «i pensieri del nostro cuore» (Sal 18,15). Auguro a tutti voi, che a vario titolo partecipate all’inaugurazione dell’anno giudiziario, di riscoprire la singolare efficacia della preghiera in ordine al rinnovamento della coscienza e della moralità, affinché il nostro agire possa sempre poggiare sul Signore, nostra «roccia» e nostro «redentore».

     

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