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CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDIO
“LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA NELLA PREVENZIONE E NEL TRATTAMENTO
DELLA MALATTIA DA HIV/AIDS: ESPLORANDO LE NUOVE FRONTIERE”
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

 

[Eminenze],
Eccellenze,
[Dott. Michel Sidibé, Segretario Generale Aggiunto dell’ONU e Direttore Esecutivo di UNAIDS]
Illustri autorità,
Distinti
ospiti e presenti tutti,

sono lieto di poter prendere parte alla Cerimonia di apertura del Convegno internazionale di studio “La centralità della persona nella prevenzione e nel trattamento della malattia da HIV/AIDS: esplorando le nuove frontiere”, organizzato dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.

Ringrazio il Presidente, S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, per il cortese invito rivoltomi, e, con lui, i Superiori e gli Officiali del Dicastero, per l’impegno profuso nell’organizzazione di questo incontro.

Mi è gradito anzitutto recare a tutti voi, in particolare agli illustri relatori e ai partecipanti al Convegno, il saluto e la benedizione del Santo Padre Benedetto XVI. Sua Santità, assicurando la Sua spirituale vicinanza, mi incarica di trasmettere i Suoi voti per la buona riuscita di questo importante incontro di studio e l’incoraggiamento ad approfondire la riflessione sulle tematiche in oggetto, al fine di favorire da parte di tutti un impegno sempre più efficace nella lotta contro la malattia da HIV/AIDS.

Il tema scelto per il Convegno che oggi si apre è di grande attualità e assume particolare rilievo per quelle malattie, come quella da HIV/AIDS, che purtroppo spesso comportano, a tutt’oggi, un pesante stigma sociale.

Parlare di centralità della persona nella cura potrebbe sembrare scontato, se si pensa a quanti approfondimenti sono stati condotti negli ultimi anni sull’argomento, tanto nel campo della riflessione medica, quanto nell’ambito specifico del pensiero cattolico. In realtà, ad uno sguardo attento, ci rendiamo conto di come la centralità della cura della persona sia un obiettivo ancora lungi dall’essere compiutamente realizzato sul piano pratico, e di come tale verità non abbia ancora dispiegato tutto il proprio potenziale nella riflessione sul senso della professione medica e sulla responsabilità dell’intero corpo sociale per le persone deboli o ammalate.

La Chiesa cattolica, è noto, è stata profondamente coinvolta nella lotta contro la malattia da HIV/AIDS fin dal primo manifestarsi di questa, anche a motivo della capillare presenza delle proprie strutture sanitarie nelle regioni che ne sono state maggiormente colpite. Sarebbe tuttavia riduttivo limitarci a considerare gli aspetti “numerici”, pur rilevantissimi, di tale opera di assistenza. Una parte essenziale del contributo offerto dalle strutture della Chiesa alla lotta contro l’HIV/AIDS, infatti, si colloca sul piano della costruzione di quel “capitale invisibile”, senza il quale rimarrebbe priva di durevole efficacia anche la migliore rete di assistenza sanitaria.

Si pensi, ad esempio, a quanta importanza rivestano, anche sotto il profilo strettamente sanitario, l’educazione al superamento dei pregiudizi, il relazionarsi ai contagiati dal virus come a persone dotate di una dignità inalienabile, la presa di coscienza del contributo che esse possono e devono continuare a prestare alla propria famiglia e alla società, la possibilità di dare un senso alla loro sofferenza.

Oggi, grazie all’esperienza acquisita nel corso degli anni, comprendiamo ancora meglio la rilevanza di questi aspetti non solo per il sostegno morale alle persone colpite, ma anche per la prevenzione del contagio e per l’efficacia della stessa terapia: si tratta di una dimensione che senz’altro merita ulteriori approfondimenti, e nel cui solco si colloca il presente Convegno.

L’educazione ad evitare i comportamenti a rischio, quando è basata su solidi principi morali, mostra pienamente la sua efficacia e si traduce in una maggiore apertura all’accoglienza di quanti sono già affetti dal virus. Là dove si va affermando la responsabilità per i propri comportamenti, infatti, aumenta anche la consapevolezza del legame esistente con il resto della comunità e la sensibilità per coloro che soffrono.

D’altro canto, la vicinanza agli ammalati e la loro presa in carico non solo da parte dei professionisti della salute, ma delle famiglie e dell’intera comunità, è in grado di favorire una maggiore efficacia delle cure mediche ed una più profonda presa di coscienza circa l’importanza della prevenzione.

Sono riflessioni che, fra l’altro, lasciano intravedere quanto centrale sia l’acquisizione di un solido riferimento etico per la lotta contro l’epidemia.

La Chiesa, consapevole di tutto ciò, conferma il proprio impegno, nella duplice indivisibile dimensione della formazione delle coscienze e dell’offerta più ampia possibile di cure mediche accessibili a tutti e di strutture sanitarie avanzate, soprattutto là dove maggiore è il bisogno.

Attraverso quest’unica opera, alla quale partecipano oggi innumerevoli persone – sacerdoti, religiosi, religiose, personale medico ed infermieristico, volontari, catechisti, laici impegnati – la Chiesa rinnova il gesto del Buon Samaritano, di piegarsi sul fratello colpito e ferito nella carne, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza.

È un compito che intendiamo proseguire con tutto il nostro impegno, insieme a tanti altri uomini e donne di buona volontà operanti nel mondo per lo stesso scopo. È un compito al quale anche il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari vuole offrire il proprio contributo mediante la fondazione “Il Buon Samaritano”.

Sono certo che il presente Convegno costituirà una proficua occasione di studio e di reciproco arricchimento tra esperti, scienziati, operatori con esperienza nell’organizzazione delle cure ai malati da HIV/AIDS e responsabili della promozione della pastorale nel delicato settore della salute.

Auguro pertanto a tutti buon lavoro. Grazie.

    

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