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CONFERIMENTO DEL MINISTERO DEL LETTORATO E DELL'ACCOLITATO AD ALCUNI SEMINARISTI

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO

Basilica Cattedrale di Reggio Calabria
Domenica, 4 dicembre 2011

 

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di trovarmi in questa maestosa Basilica Cattedrale, dedicata a Maria Santissima Assunta in cielo, cuore della Città e dell’intera Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova. Vi saluto tutti con grande affetto, ad iniziare dal vostro Arcivescovo Mons. Vittorio Mondello, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari, esprimendo gratitudine per la loro significativa presenza. Un particolare saluto rivolgo ai Canonici, agli altri sacerdoti, alle persone consacrate e a tutti coloro quotidianamente contribuiscono al decoro e alla funzionalità di questa bella chiesa. Vi porto il beneaugurante saluto e la Benedizione del Santo Padre Benedetto XVI, che volentieri si unisce spiritualmente a noi in questa Liturgia eucaristica della seconda domenica di Avvento.

La celebrazione di oggi riveste un particolare significato perché all’interno di essa ad alcuni Seminaristi che si preparano al sacerdozio verranno conferiti il ministero del Lettorato e dell’Accolitato. Essi rappresentano la concreta speranza che questa Comunità avrà ancora sacerdoti in futuro per l’annuncio della Parola e la celebrazione dei Sacramenti. Carissimi Lettori e Accoliti, la vostra vita sia sempre alimentata e plasmata dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia. Ispiratevi a due esemplari figure di fedeli discepoli di Cristo: san Gaetano Catanoso, parroco calabrese, e il servo di Dio Giovanni Ferro, Arcivescovo di questa Arcidiocesi; tra tutti i desideri che riempirono la loro esistenza, il desiderio della Parola di Dio fu per loro il più importante. Dentro il semplice rito e l’attribuzione a voi di un compito in vista del sacerdozio, avviene qualcosa di grande: siete chiamati a preparare la strada al Signore, che fra qualche anno vi consacrerà totalmente a Lui mediante l’Ordinazione sacerdotale.

Introdotti nel tempo liturgico dell’Avvento dal ripetuto invito a vegliare che il Signore Gesù ci ha lanciato nel Vangelo di domenica scorsa (cfr Mc 13,33-37), oggi giunge a noi potente la voce di Giovanni il Battista che ci invita «a preparare la via al Signore» (cfr Is 1,3). Nella prima Lettura abbiamo ascoltato lo stesso invito fatto da Isaia al popolo esiliato in Babilonia, al quale il Signore annunciava la prossima fine della sua umiliante schiavitù: «Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata […]. Una voce grida: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano”» (Is 40,2-4).

Questo testo di Isaia viene però citato dal Battista in un senso diverso da quello originale. Infatti il profeta dell’Antico Testamento con questa frase intendeva annunciare al popolo un nuovo “esodo”, un nuovo intervento potente di Dio che lo avrebbe liberato dalla schiavitù babilonese riconducendolo a Gerusalemme attraverso il deserto, così come un tempo lo aveva condotto, per mezzo di Mosè, attraverso un altro deserto – quello del Sinai – verso la Terra Promessa (cfr Is 11,16). Isaia quindi, invitando il popolo a preparare e appianare la via del Signore, intendeva dire che il Signore avrebbe presto permesso il ritorno del suo popolo e avrebbe aperto per lui una strada attraverso il deserto che separava Babilonia da Israele: «Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19).

La strada quindi dell’oracolo isaiano è una strada che dovrà percorrere il popolo nel deserto guidato dal Signore. Quella, invece, di cui parla il Battista è una strada tutta spirituale, che dovrà percorrere il Messia per poter entrare nel cuore di ogni persona. Per questo Giovanni Battista incrocia il testo di Isaia con un altro di Malachia: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate» (Ml 3,1). Giovanni il Battista è proprio questo “messaggero” di Dio, da Lui inviato a preparare i cuori all’incontro con il suo Figlio.

Certo il Signore Gesù è già entrato «nel suo tempio» che siamo noi (cfr 1Cor 3,16-17; 6,19; Ef 2,22), vi è entrato con la sua grazia nel giorno del nostro Battesimo. Tuttavia non sempre noi siamo in grado di cogliere questa presenza; per questo in ogni Avvento Egli si fa sentire con maggiore intensità, bussa alla porta del nostro cuore per ricordarci che Lui è vicino e desidera fare comunione con noi (cfr Ap 3,20)! In ogni Avvento la Chiesa ci invita a rientrare in noi stessi per appianare e raddrizzare quella strada che conduce al nostro cuore, dove ci viene incontro il Signore Gesù, dove attende da ciascuno di noi attenzione, ascolto, affetto e dove Lui stesso ci mostra l’infinita sete che ha del nostro amore (cfr Gv 4,7; 19,28).

L’evangelista Marco, che ci accompagnerà lungo tutto questo nuovo anno liturgico, ci aiuterà a comprendere sempre meglio chi è questo Gesù e che cosa Egli desidera da ciascuno di noi nella concretezza della nostra vita. Oggi abbiamo ascoltato il solenne esordio: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». L’Evangelista, aprendo il suo Vangelo con il vocabolo arché – “inizio”, lo stesso termine della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1) – sembra quasi volerci dire che Dio, attraverso il suo Figlio, sta ricreando il mondo: stanno iniziando già ora quei «nuovi cieli e quella nuova terra» di cui ci ha parlato l’apostolo Pietro nella seconda Lettura (2 Pt 3,13). Cieli nuovi e terra nuova che saranno inaugurati definitivamente nel gran giorno del ritorno di Cristo, giorno verso il quale il cosmo stesso tende gemendo (cfr Rm 8,22), giorno invocato e affrettato dalla Chiesa, sua sposa, (cfr 2 Pt 3,12) che in ogni sua celebrazione grida al suo sposo il desiderio di vederlo e di stare per sempre con Lui: “Marana tha!… Vieni Signore Gesù… Vieni presto!” (cf Ap 22,20-21).

Inoltre, san Marco, con l’espressione «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo», indica non solo l’inizio di una narrazione, ma di un avvenimento: l’incarnazione del Figlio di Dio, la storia di una persona chiamata Gesù Cristo che è il Figlio di Dio venuto a dimorare in mezzo a noi. Questa presenza, questa dimora è un “inizio”. Dentro al trascorrere sempre uguale del tempo umano, nella ripetizione delle cose, con Lui si è finalmente posto ed è accaduto un vero e proprio “inizio”, che ha il carattere di “vangelo”, cioè di una notizia buona che nella sua novità assoluta cambia la storia. E la buona notizia, il Vangelo non è niente altro se non Lui, Gesù Cristo il Figlio di Dio.

Di Lui, Giovanni Battista dice: «Viene dopo di me colui che è più forte di me … Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo» (Mc 1,7.8). Pertanto possiede una forza capace di vincere ogni potenza contraria alla dignità della nostra persona, di liberarci da ogni potere che ci rende schiavi. È per questo che il profeta Isaia ci ha detto in nome di Dio: «Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta» (Is 40,2). La nostra consegna al caso, alla fortuna, alla necessità insuperabile di un destino impostoci è finita: siamo liberati perché Lui è “più forte”. Egli compie la nostra liberazione attraverso il battesimo con lo Spirito Santo. Gesù rinnova il cuore dell’uomo, il centro della sua persona, con la forza rigeneratrice del suo stesso Spirito. Ecco perché il Vangelo che è Gesù Cristo costituisce un vero e proprio “inizio”: perché in Gesù è l’uomo che è veramente rinnovato.

La Vergine Maria, nella quale si realizzò questo “inizio”, «quando venne la pienezza dei tempi» (Gal 4,4), ci accompagni in questo nostro cammino d’Avvento, suscitando nel cuore di ciascuno di noi il desiderio di un nuovo, più bello e più profondo “inizio” di una vita cristiana sempre più ricca di fede, di speranza e di amore.

   

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