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INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Sabato, 21 gennaio 2012

 

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Il brano del Vangelo di Giovanni, poc’anzi proclamato, si colloca nella parte finale del discorso di addio, rivolto da Gesù agli Apostoli durante l'Ultima Cena; Egli si sta separando da loro, ma al tempo stesso assicura che non li lascerà soli. La sua presenza continuerà in un modo diverso, ma non meno reale, e sarà assicurata dal Paraclito, lo Spirito suo e del Padre. Il ministero terreno di Gesù sta per terminare (cfr Gv 14, 25), ma, grazie al Paraclito, le parole del divino Maestro per i discepoli saranno chiare, molto più che al tempo in cui le avevano ascoltate. Dice loro infatti Gesù: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (v. 26). Ed è proprio mediante l’azione dello Spirito Santo, mandato dal Padre nel nome del Figlio suo unigenito, che i discepoli di tutti i tempi potranno penetrare il senso delle parole di Gesù.

Lo Spirito Santo, secondo questo passo dell’evangelista Giovanni, ha due funzioni: «insegnare» e «far ricordare». L'insegnamento dello Spirito consiste nel ravvivare nei discepoli il ricordo delle parole di Gesù e illuminarne il senso. Nella Bibbia il verbo «insegnare» (didaskein) ha il significato di interpretare autenticamente la Scrittura e di attualizzarla nella vita. Nel Vangelo di Giovanni la novità è che il Paraclito introdurrà i credenti nell'intera verità (cfr 16,13). Egli insegnerà questa rivelazione dall'interno delle coscienze. Nel linguaggio biblico, «ricordarsi» implica non solo il ricordo di un fatto del passato, ma una presa di coscienza del suo significato. Facendo ricordare ai discepoli le parole di Gesù, lo Spirito non provvede semplicemente a fissarle nella memoria: ne fa cogliere il senso, fino ad allora rimasto oscuro, e permette di interpretarle in profondità, alla luce del Mistero pasquale (cfr Gv 2,21-22 e Gv 12,16).

Il ruolo ermeneutico dello Spirito Santo fa della Comunità ecclesiale il luogo in cui la sua rivelazione è sempre di nuovo ricevuta e attualizzata in modo creativo nell'esistenza dei credenti, così che la Parola di Gesù rimane viva nel corso dei secoli. Come discepoli del Signore, membra del Corpo mistico di Gesù Cristo, abbiamo ricevuto il dono, e di conseguenza abbiamo assunto la responsabilità, di prendere parte alla missione della Chiesa, che consiste proprio nel mettersi a disposizione dello Spirito Santo per l’opera di Cristo: la Chiesa, come osserva il Cardinale de Lubac, «è la testimone permanente del Cristo, la Messaggera del Dio Vivente. È la presenza urgente, la presenza importuna di questo Dio in mezzo a noi» (H. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa: Opera omnia, vol. 8, Milano 1993, p. 25).

All’interno della Chiesa vi sono diversi ministeri che concorrono alla sua universale missione. Vorrei soffermarmi brevemente su quello del giudice ecclesiastico, il quale è chiamato a interpretare la legge, affinché l’esistenza dei fedeli sia illuminata dalla verità. Mai però al giudice, in tale sua funzione, è lecito mettersi sopra la legge, o addirittura contro la legge, infatti il principio secondo cui egli nel singolo caso decide secondo la legge «respinge però quell’arbitrio soggettivo, che verrebbe a porre il giudice non più sotto, ma sopra la legge. Comprendere rettamente la norma giuridica nel senso del legislatore e rettamente analizzare il singolo caso in ordine alla norma da applicare, questo lavoro intellettuale è una parte essenziale della concreta attività giudiziaria» (Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana, 29 ottobre 1947, AAS 39 [1947], pp. 495-496).

Proprio perché l’officium del giudice ecclesiastico è volto ad accertare una verità non astratta, ma connessa al concreto bene delle persone (cfr Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana , 28 gennaio 2006, AAS 98 [2006], p. 138), tutti coloro che nella Chiesa sono a servizio della giustizia hanno bisogno dello «spirito di sapienza e d’intelligenza» (Is 11,2), come abbiamo sentito dalle parole del profeta Isaia proclamate nella prima Lettura. I requisiti dell’intelligenza e della sapienza, sono doni dello Spirito Santo, il quale ci illumina interiormente per farci crescere nella fede, per farci spiritualmente adulti, rendendo in noi sempre più profonda l’intelligenza della rivelazione; con i suoi doni apre gli occhi della mente, donando «dolcezza nel consentire e nel credere alla verità» (Dei Verbum, 5). Lo Spirito di Dio pone nella nostra mente umana il pensiero di Cristo, come scrive San Paolo: «Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. […] Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 11-12.16).

Pertanto, lasciandoci illuminare dallo Spirito, che riversa in noi i doni della sapienza e dell’intelletto, accogliamo la vera logica evangelica, unico criterio di giudizio secondo verità e carità. Senza la luce dello Spirito la nostra interpretazione di eventi e persone sarebbe priva di questa logica; se non accogliamo l’intelletto e la sapienza che vengono da Dio, rischiamo di avere un cuore insensibile ed una mente ottenebrata da pregiudizi. Il giudice ecclesiastico, come pure gli operatori della giustizia della Chiesa, non devono stancarsi di invocare lo Spirito Santo, affinché doni a ciascuno la passione della verità, che non è mai accusa contro qualcuno, ma è invece favorire la verità per amore della verità, dopo aver compiuto la fatica di cercarla.

Solo chi si lascia condurre dalla sapienza dello Spirito si accosta con sguardo di vera umanità al cuore delle persone, per portarvi consolazione e speranza. Lo Spirito aiuta ad introdursi sempre più nell’intimo della verità recata da Cristo, ad acquisirne il «gusto», cioè la sapienza che il Padre ha voluto donare ai piccoli (cfr Mt 11, 25). Lasciarsi guidare dallo Spirito Paraclito è cammino ascetico, che esige purificazione, richiede silenzio interiore, domanda docilità.

L’azione dello Spirito Santo, mediante il quale «l’amore di Dio e stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5), è efficace, perché nell’opera di Dio non c’è disgiunzione tra i dicta e i facta; anche gli interventi dello Spirito hanno quell’indoles performativa, che è propria della Parola di Dio. È lo Spirito che ci realizza in pienezza, e noi invochiamo: «Imple superna gratia». Egli si fa presente nella nostra interiorità per formare in noi l’uomo nuovo, l’uomo spirituale, inserito nella storia, ma radicato in Dio, per essere sale che dà il sapore divino.

Lo Spirito di Dio colma i nostri vuoti, colma la nostra incompiutezza, purché noi siamo argilla malleabile (cfr Is 64,7), che si lascia plasmare. Formati dallo Spirito di Cristo Risorto, possiamo diffondere speranza, testimoniare l’inizio di un mondo nuovo, pervaso di giustizia e di amore. La nostra incessante invocazione va pertanto allo Spirito Paraclito, affinché difenda la nuova creatura che è in noi, formata a immagine di Cristo, e non permetta che noi la roviniamo con la nostra sapienza, che non sempre è la sapienza della Croce.

Cari fratelli, vi invito, nel vostro delicato e importante lavoro al servizio della giustizia della Chiesa, a lasciarvi ogni giorno illuminare e guidare dallo Spirito Santo, cogliendo la sapiente esortazione del Santo Padre Benedetto XVI, il quale nell’Enciclica Caritas in veritate scrive: «Il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza l'amore» (n. 30). Vi assista la materna protezione della Vergine Maria, Sedes Sapientiae, e l’intercessione di Sant’Agnese, che oggi la liturgia ci presenta come «creatura mite e debole scelta da Dio per confondere le potenze del mondo» (Colletta).

 

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