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GIURAMENTO DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro
Domenica, 6 maggio 2012

 

Cari fratelli e sorelle!

Come è ormai tradizione le giovani reclute della Guardia Svizzera Pontificia, dopo un periodo di formazione, si accingono a compiere un atto solenne: il giuramento. Sono presenti i loro familiari, i Vescovi e alcuni rappresentanti più autorevoli della Confederazione Svizzera, che sono lieto di salutare e ai quali auguro un buon soggiorno in questo piccolo Stato della Città del Vaticano, che vanta la plurisecolare presenza di un “esercito” di giovani provenienti da quella nobile nazione.

Quest’anno la festa della Guardia Svizzera Pontificia ricorre nel Giorno del Signore. Perciò abbiamo la gioia di iniziarla con la Celebrazione eucaristica domenicale, e così poniamo al centro la realtà più importante che ci unisce e che sta a fondamento della Chiesa: la fede nel Signore Gesù Cristo. Per questa fede san Pietro ha dato la vita e i suoi Successori compiono il loro ministero, insegnando agli uomini le verità che sono via al Cielo. La fede nasce e si irrobustisce nell’ascolto e nella pratica della Parola di Dio. Pertanto anche noi ci soffermiamo brevemente a meditare sulle Letture che la madre Chiesa oggi ci ha proposto, per poi compiere i nostri doveri quotidiani alla sua luce.

La prima – tratta dagli Atti degli Apostoli – ci ha presentato la figura di san Paolo subito dopo la sua conversione. L’esperienza dell’Apostolo dimostra che scegliere Cristo comporta sempre delle opposizioni: è una scelta esigente, da testimoniare con impegno e sacrificio. Saulo lo sperimentò personalmente dapprima stando dalla parte negativa, come persecutore dei cristiani; poi, invece, dopo essere stato illuminato e trasformato da Cristo Risorto, lo sperimentò come discepolo, anzi, come apostolo del Vangelo. Abbiamo sentito infatti come egli predicava apertamente nel nome del Signore, pur sapendo i rischi che correva (cfr At 9,29). Qui emerge la dimensione del coraggio del cristiano, un coraggio che è dono di Dio legato alla fede, all’esperienza di Gesù Cristo vivo, risorto, presente e operante accanto ai suoi amici. Anche oggi ci vuole coraggio per rendere testimonianza al Vangelo. Lo dico pensando a voi, care Guardie Svizzere, e vi esorto a farlo con gioia non solo quando siete in servizio, ma sempre, in ogni momento e situazione della vostra vita.

Ma come è possibile essere validi testimoni di Gesù? Come possiamo adempiere questa missione nel mondo di oggi? La risposta ce la offrono molto chiaramente il brano del Vangelo e la seconda Lettura, entrambi di san Giovanni. Questa risposta si può sintetizzare in una parola, un verbo: rimanere in Cristo, rimanere nel suo amore. Questa espressione è tipica del linguaggio dell’apostolo Giovanni, che la usa spesso, specialmente nel testo evangelico che abbiamo appena ascoltato, la parabola della vite e dei tralci. Gesù utilizza questa immagine durante l’Ultima Cena, nel momento in cui sa che la morte è ormai vicina. E’ l’ultima volta in cui sta con i suoi discepoli, e allora vuole imprimere bene nella loro mente una verità fondamentale: che anche quando Lui non sarà più fisicamente in mezzo a loro, essi potranno restare ancora uniti a Lui in un modo nuovo, e così portare molto frutto. Se al contrario uno perdesse la comunione con Lui, diventerebbe sterile, anzi, dannoso per la comunità. E per esprimere questa realtà Gesù usa l’immagine della vite e dei tralci, immagine che si trova già più di una volta nell’Antico Testamento: Dio infatti è presentato come il padrone di una vigna – figura del popolo eletto – e come un buon vignaiolo se ne prende molta cura, perché possa portare frutti buoni e abbondanti (cfr Sal 80,9-17; Is 5,1-7). Purtroppo, le attese di Dio vanno quasi sempre deluse: malgrado il grande amore con cui Egli la coltiva, la sua vigna non rende come dovrebbe.

Gesù dunque fa propria questa antica immagine e la applica al suo rapporto con i discepoli, cioè con la nuova comunità che Egli ha fondato. Il Padre è sempre il vignaiolo, ma la vite ora è Lui, Cristo stesso, che ha voluto entrare direttamente nella storia del popolo di Dio per rinnovarla, ri-crearla. Gesù stesso è la vite, il tronco della pianta e attraverso di Lui – come la linfa nell’albero – passa ai tralci l’amore stesso di Dio, lo Spirito Santo. L’immagine della vite manifesta bene la Trinità divina: il Padre è il vignaiolo, il Figlio Gesù è la vite e lo Spirito Santo è la linfa che sale dalle radici, passa attraverso il tronco e si dirama nei tralci. Ecco: noi siamo i tralci, ed è per noi che Gesù ha inventato questa breve ma ricchissima parabola: per spiegarci l’importanza di rimanere uniti a Gesù. Se uno è intimamente unito a Lui, gode dei doni dello Spirito Santo che sono «gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22), e di conseguenza si rende utile al prossimo e alla società, come un vero cristiano. Da questi atteggiamenti, infatti, si riconosce che uno è cristiano, come dai frutti si riconosce l’albero. «Non amiamo a parole né con la lingua – ci ha ricordato san Giovanni – ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18).

Care Guardie Svizzere, vorrei che l’immagine della vite e dei tralci si imprimesse profondamente nella vostra coscienza, perché essa è molto efficace, molto utile per comprendere e vivere il nostro legame con il Signore Gesù. Nel corso della vostra vita si presenteranno situazioni importanti, come ad esempio le decisioni per il futuro: la famiglia, la professione, l’impegno civile o sociale… In qualunque momento potete far leva sul fatto che siete tralci della vite che è Cristo e che uniti a Lui non vi mancherà la linfa vitale per condurre al meglio le vostre scelte, per essere persone utili alla società, persone che amano Dio e il prossimo come Cristo ha insegnato.

Ma anche in questo periodo della vostra vita in cui svolgete il servizio di Guardia Svizzera, fate emergere nella vostra coscienza questa profonda verità; il sentirvi uniti a Gesù vi fa vedere il vostro ruolo nella giusta prospettiva, nella sua dimensione spirituale ed ecclesiale, sia che siate al posto di guardia, sia che siate in riposo, magari in libera uscita. Voi siete tralci di Cristo, e questo vi aiuta a rimanere in Lui, ad essere voi stessi in ogni situazione. Inoltre, questa Parola di Dio illumina anche i rapporti tra di voi, in un modo molto bello, perché ciascuno sa di essere un tralcio dell’unica vite, e di essere tutti insieme chiamati a portare i frutti di questa comune appartenenza a Cristo e alla Chiesa.

Vorrei concludere riferendomi all’ultima frase del Vangelo, là dove Gesù dice: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,8). Perché dice «diventiate miei discepoli»? Sta parlando agli Apostoli, a persone che lo hanno seguito da vicino, che sono già suoi discepoli, perché dice «diventiate»? Ebbene, questa apparente contraddizione è preziosa. Anche voi che vivete al centro della Chiesa, sotto la cupola di San Pietro, e quindi in una speciale vicinanza col Santo Padre, al quale fate giuramento di fedeltà, non siete immuni da questo richiamo. Esso ci ricorda che il cammino di fede, di amicizia con Gesù e di appartenenza alla Chiesa, non è mai terminato. Discepoli non si finisce mai di «diventarlo». E cammin facendo si possono incontrare difficoltà, cadute, fallimenti, per cui occorre rialzarsi e continuare, cioè occorre ridiventare sempre e nuovamente discepoli di Cristo. Ecco perché i cristiani avvertono il bisogno di nutrirsi della Parola di Dio e dell’Eucaristia, e l’esigenza della Confessione sacramentale.

Carissimi, accogliamo questa Parola santa con cuore aperto e docile. Accogliamola con gioia, perché è luce ai nostri passi. La nostra unica preoccupazione sia di rimanere in Lui, e allora siamo certi che porteremo frutto! E’ l’augurio che vi faccio nel nome del Signore all’inizio di questa giornata di festa, e lo affido all’intercessione della Vergine Maria, di san Pietro e dei vostri Santi Patroni.

    

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