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APERTURA DEL CENTRO UNIVERSITARIO DI STUDI
DEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER – BENEDETTO XVI

LECTIO MAGISTRALIS DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Bygdoszcz
Lunedì, 11 giugno 2012

Il contributo di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
alla riflessione etica sull’economia odierna

Magnifico Rettore,
Distinte Autorità,
Illustri Professori, personale e studenti tutti!

Fra poco inaugureremo ufficialmente il Centro Studi Ratzinger che ha sede in questa Università. E’ un avvenimento significativo nella storia di questa giovane realtà accademica, ma anche per la città di Bygdoszcz e per la Polonia.

Vi ringrazio di cuore per l’accoglienza che avete voluto riservarmi e che Lei, Signor Rettore, ha manifestato con le sue cortesi parole, nel momento in cui mi ha insignito del prestigioso titolo di Professore di questa Università. Accolgo con riconoscenza la decisione del Senato Accademico, convinto che essa intende esprimere affetto, devozione e stima verso il Sommo Pontefice e la Sede Apostolica. E in effetti, con la mia presenza, sono lieto di testimoniarvi la concreta vicinanza del Santo Padre e di parteciparvi la Sua paterna Benedizione.

L’evento odierno è collegato al convegno scientifico della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, ospitato da questa Università alla fine di ottobre dello scorso anno. Esponenti di 32 Università di tutto il mondo hanno riflettuto sul tema “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Da allora si sono moltiplicate le collaborazioni a livello accademico, e anche con il Comune di Bygdoszcz e la Regione Kuyavo – Pomorze, che anch’io, a nome della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, desidero ringraziare. Al tempo stesso, mi rallegro per la presenza di illustri membri del Parlamento polacco.

Oggi, dunque, con la benedizione del Signore, inizia la sua attività il Centro Studi Ratzinger. E inizia con una riflessione sul valore sommo, che diventa anche forma di ogni virtù, cioè l’agape, la caritas, quella «forza straordinaria … che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace»[1]. La prospettiva in cui ci poniamo è quella della dottrina sociale della Chiesa, alla luce dell’Enciclica Caritas in veritate, consapevoli che la funzione del nuovo Centro Studi è quella di contribuire ad animare, in modo stimolante e nello stesso tempo amichevole, il mondo accademico.

Infatti non viene mai meno l’interrogativo su quale sia il ruolo dell’Università. Non viene meno per noi che siamo qui oggi, e non verrà meno per i futuri docenti e studenti. All’Università, infatti, bisogna sempre essere in grado di domandare, come ha fatto il Papa Benedetto XVI: «E’ vero ciò che lì vien detto? E se è vero, ci riguarda? E in che modo ci riguarda? E come possiamo riconoscere che è vero e che ci riguarda?»[2]. Quella dell’Università è una funzione necessaria e in qualche modo profetica. Qui il docente e lo studente reciprocamente si richiamano e si ricordano che «non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore»[3], per usare una bella espressione del Santo Padre. E questo lo fanno con chiarezza di argomentazioni ed evidenza di dimostrazioni respingendo «la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo e ultimo di tutto»[4]. Viviamo infatti in un’epoca in cui «la ragione sperimentale appare ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico»[5].

Dunque, con quali presupposti qui si affronta un tema di economia e di etica? E’ competente la Chiesa in questo settore? Lo può fare? Qual è il motivo per cui si può parlare di etica economica e di dottrina sociale della Chiesa? E’ vera l’osservazione fatta dal Cardinale Reinhard Marx, il quale ha scritto che l’attuale crisi economica e finanziaria «ci mostra chiaramente come sia facile finire su un terreno scosceso quando la morale e l’etica vengono escluse dall’economia e quando si pensa di poter rinunciare alla politica normativa dello Stato che mantiene le oscillazioni del mercato a servizio del bene comune»[6]. Ma questo non basta. Se la Chiesa affronta in modo sistematico il tema sociale ed economico – come ha fatto a partire dall’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII – non lo fa perché abbia una specifica competenza di carattere economico, bensì perché è «esperta in umanità»[7], come amava dire il Papa Paolo VI, il quale affermò che «la situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali»[8]. E il beato Giovanni Paolo II precisò che «investire ha sempre un significato morale, oltre che economico»[9]. Insomma, la Chiesa non teme di offrire la propria voce alle grandi domande dell’uomo, che riguardano la sua verità e il suo futuro. E fra queste domande vi è anche quella sull’economia. Si tratta, in altre parole, di riconoscere che la dottrina sociale della Chiesa non è «una teoria morale ulteriore rispetto alle tante già disponibili in letteratura, ma come una “grammatica comune” a tutte queste in quanto fondata su uno specifico punto di vista, quello del prendersi cura del bene umano»[10].

Al riguardo, Benedetto XVI, parlando lo scorso anno al Pontificio Consiglio per i Laici ebbe a rilevare che vi è «una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo e che, rinunciando ad ogni riferimento al trascendente, si è dimostrata incapace di comprendere e preservare l’animo umano. La diffusione di questa mentalità ha generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima che crisi economica e sociale. L’uomo che cerca di esistere soltanto positivisticamente, nel calcolabile e nel misurabile, alla fine rimane soffocato»[11]. Di tale mentalità dà conto il già citato Cardinale Marx nel suo bel volume, là dove scrive che «in molte facoltà di Scienze economiche gli studenti imparano ancora calcoli e modelli complicati. Ma il sapere di base non viene praticamente più insegnato, figuriamoci discusso»[12]. Drammaticamente, ci si è dimenticati di ciò che la Chiesa, ancor prima della Rerum novarum e poi con più sicurezza proprio a partire da quell’Enciclica, ha insegnato con passione: «Per la dottrina sociale, l’economia è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l’occupare il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi»[13].

L’impegno socio-politico – l’impegno a cercare il bene comune – appartiene alla concezione cristiana della vita umana e quindi una critica morale alla vita politica va giudicata pertinente, non giustapposta, all’argomentazione politica. E questo proprio perché il campo della politica è il campo della ragione comune, come sosteneva il Cardinale Ratzinger in occasione di un interessante dibattito con l’ex Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga su Thomas More. Il Cardinale Ratzinger osservava che «una mutilazione della ragione distrugge la politica e la riduce ad un’azione puramente tecnica, che dovrebbe seguire semplicemente le correnti più forti del momento, sottomettendosi quindi al transitorio ed anche ad un dettato irrazionale»[14]. In effetti, la politica deve interrogarsi su che cosa sia il bene comune, e per fare questo deve rispondere «a una domanda fondamentale: per noi l’uomo resta al centro dell’agire sociale ed economico?»[15].

Tali domande sono decisive perché «l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione»[16]. A proposito del bene comune, infatti, occorre precisare che esso non equivale al bene totale. Già Aristotele aveva chiarito che «la vita in comune tra esseri umani è cosa ben diversa dalla mera comunanza del pascolo, propria degli animali. Nel pascolo ogni animale mangia per proprio conto e cerca – se gli riesce – di sottrarre cibo agli altri. Nella società umana, invece, il bene di ognuno può essere raggiunto solo con l’opera di tutti. Ma soprattutto, il bene di ognuno non può essere goduto se non lo è anche dagli altri»[17]. Il bene comune, dunque, è ciò che si realizza assieme a quello degli altri e con gli altri, non a prescindere da loro o contro di loro. Così inteso, il bene comune ha oggettivamente dei nemici: chi si comporta da «opportunista», vivendo alle spalle degli altri; ma anche chi si comporta da «altruista puro», volendo annullare il proprio legittimo interesse per favorire l’altro. Né egoismo, né altruismo puro sono in grado di sostenere un ordine sociale veramente umano. Ciò che fa crescere il bene comune è un comportamento ispirato al principio di reciprocità, che ci fa sentire parte di un corpo, legati gli uni agli altri. In effetti, «il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall’elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità. Il campo del diritto, infatti, è quello dell’interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell’amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro. L’amicizia civile, così intesa, è l’attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza»[18].

Dunque, nella riflessione su etica ed economia occorre rimettere l’uomo al centro della valutazione del progresso della società. Alla luce di questo criterio, ci accorgeremmo che i tratti della convivenza civile sopra evidenziati rimangono «in gran parte non attuati nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell’influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche»[19]. Il compito che attende una Università che ospita il Centro Studi Ratzinger sarà, allora, quello di dimostrare che «il principio di fraternità è capace di ispirare scelte concrete nell’agenda politica»[20]. Alla luce dell’Enciclica Caritas in veritate, si tratta di cogliere i punti critici della cultura contemporanea per superare quegli «atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana»[21]. Qui vogliamo perciò ribadire con forza che l’uomo è soggetto morale e responsabile delle sue azioni e non è un individuo «ridotto a mezzo per lo sviluppo»[22]. Il Santo Padre Benedetto XVI ha osservato che «se si legge deterministicamente la globalizzazione, si perdono i criteri per valutarla e orientarla. Essa è una realtà umana e può avere a monte vari orientamenti culturali sui quali occorre esercitare discernimento»[23]. Già il Concilio Vaticano II ricordava che «l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare»[24] la realtà terrena. In questa prospettiva – si legge ancora nell’Enciclica sociale di Benedetto XVI – «la verità della globalizzazione come processo e il suo criterio etico fondamentale sono dati dall’unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene»[25].

Per non essere travolti dall’evoluzione economica globale, ci vuole grande senso critico e impegno per cogliere la complessità del reale. Occorre avere ben chiaro che «le nostre società hanno bisogno di tre principi autonomi per potersi sviluppare in modo armonico ed essere capaci di futuro: lo scambio di equivalenti di valore (attraverso il contratto), la redistribuzione della ricchezza (attraverso il sistema fiscale) e la reciprocità (attraverso le opere che testimoniano con i fatti la fraternità)»[26]. Questi tre principi devono coniugarsi con altri due: quelli di solidarietà e sussidiarietà. Solidarietà, in un’etica amica dell’uomo, vuol dire che lo Stato deve garantire gli interessi di tutti, in particolare di coloro che non partecipano o non partecipano più al mondo del lavoro. Questo vuol dire che in una società solidale nessuno può essere escluso perché anziano, malato, disoccupato, bambino, famiglia fragile. Tanto meno possono essere escluse le generazioni future, quei figli che ancora non sono presenti tra noi, ma già ci sono nei nostri sogni e nei nostri progetti. Analogo discorso deve essere fatto per il principio di sussidiarietà. In nome di esso lo Stato deve lasciare grande spazio alle persone, alle comunità intermedie e alle organizzazioni sociali, senza limitare le loro legittime iniziative, ma piuttosto stimolandole ad assumersi le loro responsabilità. Nessuno e meno di tutti l’autorità statale può, infatti, dimenticare che «la comunità politica è costituita per essere a servizio della società civile, dalla quale deriva»[27], e non viceversa. Se la politica dimentica – anche solo di fatto – questa sua essenziale destinazione ai cittadini, inevitabilmente degenera e produce disaffezione. Se invece la politica ritrova se stessa quale strumento di servizio al bene comune, allora si accorge che non può fare a meno di stare vicina alle persone, nel tessuto vivo della società.

Illustri Signori e Signore, quanto siamo andati considerando ha fatto emergere il legame decisivo che esiste tra economia, etica, politica, filosofia e religione. Lo riassume lo stesso Papa Benedetto XVI in un passaggio dell’Enciclica Caritas in veritate: «Su questo argomento – egli scrive – la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla creazione dell’uomo “ad immagine di Dio” (Gen 1,27), un dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme naturali. Un’etica economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni; più precisamente essa rischierebbe di diventare funzionale ai sistemi economico-finanziari esistenti, anziché correttiva delle loro disfunzioni»[28]. Dignità dell’uomo e norme etiche naturali, alla luce di fede e ragione, sono i due «fari» che, nel magistero sociale e, più in generale, nel pensiero di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI illuminano la via maestra per un corretto operare nel complesso mondo odierno, offrendo una speranza affidabile all’uomo contemporaneo, evitando il rischio che «il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta»[29]. Con questo impegno di dare sapore alla vita e splendore alla città degli uomini, diamo dunque inizio al Convegno e, con vera gioia, inauguriamo il Centro Studi Ratzinger.


[1] Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 1.

[2] Benedetto XVI, Incontro con il Collegio dei Docenti delle Facoltà di Teologia Cattolica di Tübingen, 21 marzo 2007.

[3] Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 30.

[4] Benedetto XVI, Conferimento del Premio Ratzinger, 30 giugno 2011.

[5] Ibidem.

[6] Reinhard Marx, Il Capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato, Rizzoli 2009, p. 292.

[7] Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 13.

[8] Ibidem.

[9] Cfr Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 36.

[10] Cfr T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2008, p. 55.

[11] Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, 25 novembre 2011.

[12] R. Marx, Op. cit., pp. 291-292.

[13] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, LEV 2005, n. 375.

[14] Cfr A. Casu, Il potere e la coscienza, Rubettino 2011, pp. 58-59.

[15] R. Marx, Op. cit., p. 92.

[16] Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 14.

[17] Cfr T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2008, p. 63.

[18] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, LEV 2005, n. 390.

[19] Ibidem.

[20] T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2008, p. 79.

[21] Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 42.

[22] Ibid., 17.

[23] Ibid., 42.

[24] Gaudium et spes, 36.

[25] Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 42.

[26] T. Bertone, L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2008, p. 75.

[27] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, LEV 2005, n. 417.

[28] Benedetto XVI, Enc, Caritas in veritate, 45.

[29] Benedetto XVI, Lett. ap. m. p. data La porta della fede, 3.

  

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