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50° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DELLA CASA DI CURA
NOSTRA SIGNORA DELLA MERCEDE

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Roma, 23 settembre 2012

 

Cari amici,

nella circostanza giubilare odierna desidero rivolgermi in primo luogo alle carissime Suore di Nostra Signora della Mercede, che in questa Clinica, da lungo tempo e in svariate circostanze, hanno esercitato anche nei miei confronti quell’accoglienza carica di amorevolezza e di serenità unita alla professionalità, che caratterizzano il loro carisma, come fedeli seguaci di Madre Teresa Bacq, donna di straordinaria virtù e concretezza. La fondatrice, infatti, voleva che le religiose incarnassero il loro carisma cercando di unificare nel proprio cuore la visione integrale della persona umana. Infatti, la persona umana, specie se sofferente, è degna non solo di cure mediche e di rispetto, ma anche del massimo amore, poiché vale “il prezzo inestimabile del Sangue di Cristo”. Per questa ragione, Madre Teresa voleva che le suore dedite al servizio dei sofferenti, fossero come il prolungamento dell’amore di Cristo e della tenerezza di Maria; esemplari per “la dolcezza, la carità, lo zelo, l’attenzione, la capacità di intervenire, congiunte ad una grande pazienza e ad una dedizione senza eguali”.

In voi, carissime Suore, sono riconoscibili queste virtù e a voi va il mio cordiale grazie per avermi offerto l’opportunità di festeggiare, come uno di famiglia, il 50° anniversario della fondazione di questa Casa di cura, e così insieme pregare e a lodare il Signore.

La sequenza del tempo, il suo scorrere, suggerisce una riflessione, che diventa importante, tanto più se vogliamo mettere Gesù al centro di ogni attimo e di ogni stagione del nostro esistere. Come in una filigrana trasparente siamo invitati a prendere consapevolezza del passato, a soffermarci sulla responsabilità del presente e sulle prospettive del futuro.

La consapevolezza del passato suscita un sentimento di riconoscenza verso tutti coloro che cinquant’anni fa iniziarono a edificare questa struttura superando non poche difficoltà, grazie alla tenacia e alla ferma volontà della madre generale di allora, Madre Maria Cabras, messasi alla guida di un valido gruppo di suore collaboratrici e con l’aiuto del primo direttore sanitario, il professore Renato Gosio. Nominando il primo, ricordando il dottor Giuseppe Berni e l’attuale direttore sanitario, il professor Giovanni Macchia, intendo riassumere la vasta schiera dei valorosi primari, medici e personale tutto dei diversi servizi diagnostici e terapeutici che hanno continuato l’opera dirigendola, servendola e dotandola delle più moderne strumentazioni, tanto da farne una prestigiosa realtà sanitaria.

Riguardo alla responsabilità del presente occorre sottolineare che gli attori in scena siete tutti voi che operate in questa Casa di Cura. Il capitale umano che voi rappresentate è l’elemento più importante del presente. Sappiamo bene che per raggiungere le piene potenzialità operative non bastano le strutture organizzative, ma occorre una dedizione personale e collettiva di alto valore morale. È importante, infatti, lavorare insieme con spirito di comunione, nel rispetto delle singole competenze. Si tratta non solo di far valere una riconosciuta professionalità, ma anche di esprimere quel senso spiccato di umanità, di comprensione, di amicizia e di amore, che alimenta il cuore umano.

Quanto poi al futuro non c’è migliore prospettiva se non quella di mantenere vivo e inalterato il carisma fondazionale i cui cardini di ordine spirituale reggono l’intero edificio materiale delle opere educative e socio-sanitarie della Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Mercede. Sottolineo lo spirito di riparazione concretamente professato dalle religiose con il voto di dedizione, attirate dall’esemplarità di Maria SS.ma nella sua partecipazione all’opera redentrice del suo Divin Figlio. L’universale prospettiva della liberazione dell’uomo da ogni miseria, schiavitù ed oppressione deve sempre permeare il vostro impegno quotidiano, anche il più umile e apparentemente insignificante, per mezzo della più squisita carità redentiva.

La Parola di Dio offertaci dalla liturgia odierna della Solennità della Beata Vergine Maria della Mercede, viene in aiuto alla nostra preghiera.

Soffermiamoci brevemente sui suoi contenuti.

Il caso di Giuditta, di cui ci ha parlato la prima Lettura, ci mostra come la forza della fede rende la donna molto combattiva ed energica, non meno di un uomo. Giuditta ripone tutta la sua fiducia in Dio e, dopo aver pregato, compie per amore del popolo eletto un’impresa militare degna di un prode valoroso. Nel presentare poi questo evento alla sua gente, Giuditta non chiede elogi per sé, né riconoscimento alcuno, bensì invita a lodare Dio, perché è Lui che ha liberato il popolo per mano sua. E’ proprio, infatti, delle persone di fede questo saper attribuire sempre tutto il merito a Dio, mai a se stessi.

Le parole della lettera ai Galati, ascoltate nella seconda lettura sono anch’esse di una forza straordinaria: «Voi siete figli, nei quali lo Spirito grida: Abbà» (Gal 4,6). Sono un invito alla fiducia, necessaria per inoltrarsi senza timori in un futuro il cui itinerario non possiamo conoscere. Anche la frase seguente vuole accompagnarci nell'avventura del tempo: «In quanto figli siamo liberi, e se figli siamo anche eredi» (Gal 4,7). Con ciò viene apertamente manifestato il volto ultimo e definitivo del nostro domani: come figli adottivi ed eredi di Dio, un giorno riceveremo ogni cosa come nostra proprietà. Di più non si può davvero profetizzare all'uomo.

La pagina del Vangelo corona e completa il quadro della tenerezza dell’amore di Dio ed è giusto concludere volgendo lo sguardo al Crocifisso, nel momento solenne dell’affidamento del discepolo Giovanni alla Madre, e insieme della Madre al discepolo. Quel discepolo, nel quale tutti noi come figli ci rispecchiamo, non avrebbe più avuto il Maestro vicino, eppure, la sera del giovedì santo, non aveva Lui detto ai discepoli: «Non vi lascerò orfani»? (Gv 14,18). In realtà, noi cristiani non siamo mai lasciati soli. Gesù dall’alto della croce, ci ha donato a Maria e ci ha affidato il compito di abitare con Colei che lo ha generato, proprio per sperimentare una nuova presenza di Gesù vivo nella sua Chiesa. Sì, dalla croce rinasce la vita.

Lasciamoci dunque pervadere dalla fiducia nel trionfo dell’amore di Dio e dalla riconoscenza per averci chiamato ad essere con Maria collaboratori/collaboratrici dell’opera redentrice di Cristo, verso ogni uomo che abita sulla faccia della terra.

Con questi sentimenti continuiamo la nostra celebrazione eucaristica chiedendo al Signore di far scendere su di noi e su questa Casa di cura, nel 50° delle sua fondazione, le più larghe benedizioni.

   

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