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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONS. FRANCESCO DE NITTIS

OMELIA DEL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI*

Sabato, 2 maggio 1981
 





Di molte giornate, lieti o tristi, è stata testimone nei secoli questa Cattedrale, cuore dell’antica Vieste, arroccata sul più avanzato sperone orientale del Gargano, quale vigile scolta, ad avvistare l’arriva di flotte nemiche o ad attendere, sul fare dell’alba, il ritorno dei pescherecci partiti la sera per la rude fatica della pesca nelle acque del mare Amarissimo.

1. Fra i giorni più lieti della lunga vicenda di Vieste e della vetusta arcidiocesi di Manfredonia è certamente da annoverare quello che stiamo insieme vivendo. Infatti un loro figlio, erede delle antiche virtù di queste genti, temprate dalla severità della natura e dall’asprezza delle loro vicissitudini storiche, viene oggi rivestito della dignità episcopale, alla quale l’ha elevato il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel nominarlo sua Rappresentante quale Pro-Nunzio Apostolico in Papua Nuova Guinea e Delegato Apostolico nelle Isole Salomone.

E’ comprensibile, quindi, il giubilo della popolazione di Vieste, fiera delle sue lontane origini civili e religiose e della sua individualità ecclesiastica non tolta dalla unione con Manfredonia. Comprensibile il giubilo dei figli dell’intera arcidiocesi sipontina, e in particolare dei suoi sacerdoti, confratelli ed amici dell’eletto.

Ad esso partecipa tutta la gente ciel Gargano, sulla quale continua a stendere la sua ala protettrice l’Arcangelo del Signore, dall’alto del monte fatto suo dalla fede e dalla devozione di innumere generazioni e che per prima fu partecipe, e ancor sempre confida di aver titolo di privilegio nella benedizione dell’umile figlio di San Francesco che, ai nostri giorni, ne ha luminosamente ricalcato le orme nella penitenza, nella preghiera, nella carità.

Si allieta oggi, sopra ogni altro, insieme ai suoi familiari, la veneranda madre dell’eletto che, dopo averlo offerto alla Chiesa, ne ha seguito per tanti anni il diverso cammino e il continuo pellegrinare per Paesi e Continenti, al servizio della Santa Sede, e b vede, nella sua ancor vegeta vecchiezza, chiamato a prestare ad essa un servizio oggi più ricco di impegni e di responsabilità.

Con lei e con tutti i presenti, primo tra tutti il degnissimo Pastore dell’arcidiocesi che a tale servizio ha preparato e donato Mons. De Nittis, ci rallegriamo, l’Eccellentissimo Mons. Lourdusamy ed io: lui quale autorevolissimo rappresentante della Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, di quell’organismo, cioè, che traduce in impulso e sostegno l’azione missionaria della Santa Sede e della Chiesa Cattolica fra le genti - e sono immensa moltitudine! - che ancora non hanno ricevuto la luce di Cristo e nella cui giurisdizione si trovano le terre nelle quali Mons. De Nittis è inviato a svolgere la sua missione di Rappresentante Pontificio; io, non solo come amico di antica data dell’eletto, ma soprattutto quale investito, dalla fiducia del Santo Padre, dell’incarico e della responsabilità di seguire il lavoro dell’insieme delle Rappresentanze che hanno il compito - ma è più giusto dire, appunto, la missione - di assicurare la presenza di amore e di azione del Papa in tutte le parti del mondo.

2. A Mons. De Nittis noi non dobbiamo, però, riservare soltanto rallegramenti e felicitazioni, per lui e per la sua terra.

Quello che gli è oggi conferito, infatti, non è solo un onore; è un onere. Onere dolce, come tutto ciò che si riferisce al servizio della Chiesa, e quindi degli uomini; ma non per questo meno impegnativo, e non poche volte pesante. L’autorità che, nella Chiesa, gli viene oggi data con l’Ordinazione episcopale è insieme una gravosa responsabilità. Egli entra a far parte del Collegio episcopale, nel quale, nell’unione con il Successore di Pietro e nella subordinazione gerarchica a lui, si perpetuano la funzione e il potere del Collegio apostolico: la missione, cioè, di pascere il popolo di Dio nella verità e nella santità, con l’autorità e le grazie che sono necessarie perché tale missione possa essere efficacemente affrontata.

“Per compiere questi grandi uffici - leggiamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano II (Lumen Gentium,21) - gli Apostoli sono stati riempiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo disceso su loro, ed essi stessi con 1’imposizione Selle mani diedero ai loro collaboratori questo dono spirituale, che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale .... Dalla imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione la grazia dello Spirito Santo è così conferita, e cosi è impresso il sacro carattere, che i Vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscono in persona di Lui”.

Ho voluto rileggere con voi queste parole del Concilio, che ripetono e riassumono la dottrina e la tradizione della Chiesa Cattolica, perché insieme riflettiamo — l’eletto e noi che l’accompagniamo in questo momento solenne Sella sua vita — della grandezza di ciò che noi Ordinanti stiamo per compiere, egli per ricevere, voi - sacerdoti e fedeli qui presenti - per seguire, partecipandovi con la vostra consapevolezza di cristiani e con la vostra preghiera: la Chiesa sta per ricevere, in uno dei suoi figli, che sarà tra poco investito dal soffio potente dello Spirito misteriosamente chiamato su di lui, un nuovo Maestro della verità rivelata, un nuovo Ministro di santificazione, un nuovo Pastore chiamato a guidare le anime ai pascoli della vita eterna, quasi un nuovo Cristo: quel Cristo che in lui vuole agire e che l’occhio della fede deve vedere quasi presente in lui.

Così, rigenerandosi nei suoi Vescovi – padri dei loro sacerdoti, non solo per quello spirito di paternità che deve segnare il loro rapporto con essi, ma perché ad essi solo è dato il potere di conferire il carattere sacerdotale a coloro che, a loro volta, dovranno essere i padri dei loro fedeli – così la Chiesa, o meglio Cristo in essa, assicura nei secoli la presenza rigenerante e vivificante delle fonti della grazia e tiene accesa, indefettibile e infallibile, la fiaccola dei Maestri della fede e quell’amore che insegna al pastore, sollecito e soprannaturalmente sapiente, anche a dare la propria vita per difendere e per non lasciar sviare il gregge affidatogli dal Signore.

Tutto questo, però, comporta - da parte di chi è chiamato ad entrare nel Collegio episcopale - una preparazione che non è soltanto culturale, sia pure nel campo delle scienze sacre, ma soprattutto spirituale; che lo renda degno e capace di rispondere con il suo personale impegno, che la Grazia rafforza aiuta ed esalta, ma non sostituisce, alle sollecitazioni del suo ministero alle sfide dei tempi e delle circostanze nelle quali è posto ad esercitarlo. Per questo noi ci prostreremo insieme in preghiera: non tanto per implorare sull’eletto l’effusione di un dono che Cristo ha già a lui assicurato, legandone la concessione, non al merito di chi deve riceverlo od esserne ministro, ma al potere conferito alla sua Chiesa; bensì per invocare quella ricchezza di grazie che valga a sostenere la debolezza della forza umana, di fronte alla grandezza della missione ad essa proposta ed affidata.

E chiederemo alla Madre di Dio ai Santi che hanno servito la Chiesa di Cristo, e in particolare ai Patroni di questa Chiesa sipontina, di essere validi intercessori per colui che il nostro affetto circonda, mentre si accinge ad assumere, di fronte a Dio e alla comunità cristiana, un impegno che poté incutere timore a quella figura gigantesca di Pastore e Dottore che fu S. Agostino: il quale domandava, perciò, alla preghiera dei suoi fratelli il conforto e l’aiuto che sentiva necessari.

3. Il campo specifico nel quale Mons. De Nittis è chiamato a svolgere il suo ministero episcopale ha caratteristiche singolari: ben diverse da quelle che distinguono la missione di un Pastore di diocesi.

E’ anch’esso, tuttavia, un campo di servizio eminentemente pastorale.

Lo è, innanzitutto, perché il rappresentare - il render, quindi, in certo modo presente, come già dicevo — il Supremo Pastore della Chiesa, Colui al quale Cristo ha detto “Pasce agnos meos, pasce oves meas”, non può non essere una partecipazione al ministero pastorale del Successore di Pietro.

La è perché, anche nello svolgere compiti di carattere diplomatico, il Rappresentante Pontificio deve agire ed essere mosso da uno spirito genuinamente pastorale. Al di là delle forme esteriori nelle quali si svolge il suo servizio, egli deve vedere le anime, alla cui eterna salvezza si rivolge il ministero della Chiesa: la Chiesa, i cui diritti, le cui possibilità di compiere la propria missione spirituale devono essere l’oggetto centrale delle sue cure, del sua agire. Ed anche quando questo dovesse indirizzarsi a problemi di natura temporale – come quelli della pace, della sviluppo dei popoli, della fame, della lotta alla malattia: argomenti tutti che tanto spazio occupano nelle preoccupazioni anche della diplomazia ecclesiastica – è sempre l’aspetta morale, di giustizia e di carità, che lo muove: un aspetto non solo non alieno ma profondamente rispondente alla missione sacra della Chiesa.

Ma è soprattutto ai problemi della vita interna della Chiesa, del suo sviluppa, delle sue speranze e delle sue angustie, che si rivolgono il cuore e l’interesse ciel Rappresentante Pontificio: senza interferire nelle responsabilità e nell’azione dei Vescovi, egli è interprete, presso di essi, della partecipazione del Papa alle loro preoccupazioni e ai loro propositi, della sua volontà di sostenere i loro sforzi pastorali. Pastore con loro, per il comune carattere episcopale, i Nunzio, il Delegato Apostolico vuol porsi quindi al servizio della Chiesa presso la quale rappresenta il Servo dei Servi di Dio”.

Tutto questo assume un significato e un’importanza singolari nei territori di Missione, dove incipiente ancora è la presenza della Chiesa. Lì, il Rappresentante Pontificio non può non essere pervaso anche lui di spirito missionario: testimone delle nuove pagine della splendida avventura che ebbe inizio due millenni or sono nella terra di Palestina, irradiandosi poi subito con urgenza d’amore, in tutto il mondo a mano a mano conosciuto, in risposta al mandata di Cristo “Andate per tutto il mondo predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc. 16,15), egli non può non sentirsene anche partecipe. Lì, il suo animo di successore degli Apostoli non può non vibrare della passione che mosse i primi discepoli di Cristo a varcare ogni frontiera, a superare ogni difficoltà per portare a tutti i popoli il lieto Messaggio della salvezza: nel rispetto dei valori profondi delle singole culture, e nel riconoscimento dei germi di verità che in ciascuna di esse è dato di riscontrare, ma con la convinzione che solo in Cristo l’uomo può realizzarsi pienamente, per la vita presente e per l’eternità.

Le terre che l’attendono, caro Monsignore, si presentano con un volto maggioritariamente cristiano (la Costituzione di Papua Nuova Guinea, dal 1976,accetta esplicitamente “i principi cristiani che sono diventati nostri”) . In esse Ella troverà una comunità cattolica vivace e già bene articolata in un ambiente di rispetto e di simpatia, del quale sono riprova anche le relazioni diplomatiche che la Santa Sede è stata ben lieta di allacciare recentemente con Papua Nuova Guinea. Le 4 Province ecclesiastiche di Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, con le loro 18 fra arcidiocesi e diocesi, mostrano l’aspetto, direi esteriore, organizzativo dei frutti di un lavoro missionario lungo e faticoso, al quale non è mancato il sangue dei martiri, che si impone alla nostra riconoscenza. Ma chi può misurare la profondità dei risultati di un’azione condotta al servizio della Grazia e dalla Grazia ispirata, sostenuta, fecondata? la luce della fede, la gioia della speranza, il calore della carità accesi in tante anime dalla mano di Dio per il ministero di operai evangelici venuti da lontano o usciti dal seno della nuova cristianità?

Molta resta, però, ancora da fare! Vasto è, pertanto, il campo che rimane aperto all’azione della Chiesa: ed ampio è lo spazio che in esso Ella troverà, Monsignore, non solo nello svolgimento della sua attività di diplomatico della Santa Sede, ma, non mena, per la realizzazione della Sua vocazione e delle Sue responsabilità di Vescovo della Chiesa di Dio.

In questa Sua esaltante missione Le saremo vicini con i nostri voti e con la nostra preghiera; così come Le saranno vicini ora, mentre, con Lei e per Lei, e con 1’intera Chiesa qui spiritualmente raccolta come in un nuovo Cenacolo, invochiamo le Spirito Creatore perché riempia il Suo animo di quello “spirito di fortezza e di amore”, del quale - come abbiamo ascoltato nella seconda lettura di questa Liturgia - parlava San Paolo al suo discepolo Timoteo, esortandolo a mantener vivo sempre il dono di Dio, che egli aveva ricevuto con l’imposizione delle sue mani (cfr. 2 Tim.1,7).

Fortezza ed amore!

Non è forse questo il binomio che distingue e rende grande ed amabile, nella Chiesa e nel mondo, la figura del Papa: Apostolo e Padre? Possa esso distinguere e rendere amabile e grande anche la figura del Rappresentante che Egli invia in terra di Oceania, cosi lontana e cosi vicina al suo cuore!


*Archivio dell’Associazione – Centro Studi Card. A. Casaroli, Bedonia. 

 

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