The Holy See
back up
Search
riga

DISCORSO DEL SEGRETARIO DI STATO,
AGOSTINO CASAROLI,
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ITALIANO,
L'ON. BETTINO CRAXI, IN OCCASIONE DELLO
SCAMBIO DEGLI STRUMENTI DI RATIFICA
DEI RECENTI ACCORDI TRA L'ITALIA E LA SANTA SEDE*

Lunedì, 3 giugno 1985

 

Signor Presidente del Consiglio,

Con lo scambio, ora avvenuto, delle ratifiche del Sommo Pontefice e del Presidente della Repubblica italiana, entrano in vigore l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense, ed il Protocollo del 15 novembre 1984, che approva le nuove norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici.

Da quelle date son passati ormai diversi mesi, durante i quali uomini e corpi politici ed ecclesiastici come studiosi del diritto hanno preso in attento esame le nuove disposizioni pattizie, per misurarne l’impatto nel concreto delle istituzioni e della vita della società italiana. Al rilievo della consensuale rinuncia da parte della Chiesa e dello Stato, a disposizioni che potevano apparire privilegiate o, in ogni caso, di maggiore e più definita sicurezza, non sono corrisposte, com’era ovvio del resto, valutazioni unanimi.

Per una obiettiva penetrazione delle nuove norme - la cui importanza sociale è da tutti riconosciuta - è tuttavia necessario rifarsi alla loro genesi, che ha richiesto lunga fatica ed approfondito impegno. E, all’origine delle nuove formulazioni, è senz’altro da riconoscere l’attenzione - e, direi, la preoccupazione - delle Parti contraenti di individuare quella non facile linea normativa, nella quale, quasi in un equilibrio dinamico, si potesse riscontrare il massimo di rispondenza alle nuove situazioni createsi, non solo dalla data della firma del Concordato Lateranense, ma da quella della stessa approvazione della nuova Costituzione, dello Stato italiano, e poi con la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sono state comuni, infatti, la consapevolezza e la volontà di trovare non soltanto una soddisfacente composizione delle difficoltà a mano a mano percepite negli anni passati, quanto, ed ancor più, di aprire, una via valida per l’avvenire.

È appunto all’avvenire, che oggi prende il suo inizio ufficiale, che mi è caro rivolgere lo sguardo e l’augurio in questo momento. Un avvenire che se, in alcuni punti, si presenta con connotazioni profondamente, quando non essenzialmente, diverse dal passato non può però - e non deve, a mio avviso, che confido però condiviso da Vostra Eccellenza e dal Governo e dal popolo italiano - essere considerato come rottura, ma piuttosto quale maturazione di una realtà che è andata sviluppandosi, sia nei fatti, sia nella coscienza delle due Alte Parti contraenti.

Così per fermarmi solo al punto che può apparire come quello maggiormente e quasi traumaticamente innovatore, ossia alla ammessa cessazione della vigenza del principio che affermava la religione cattolica come sola religione dello Stato, il cambiamento non vuoi certo significare passaggio ad una situazione di disconoscimento, teorico o pratico, di una realtà sociale innegabile e di sostanziale rilievo, ossia del fatto che - lo ricorda l’articolo 9 dell’Accordo - «i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo Italiano ».

E mi piace ugualmente ricordare, quale elemento di positivo e dinamico ottimismo per le future relazioni fra lo Stato e la Chiesa in Italia, l’impegno assunto ad una «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese » (Art. 1 dell’Accordo).

Iniziali inevitabili difficoltà di adattamento e d’avviamento di nuove formule e di nuovi sistemi non potranno stupire: per più di un punto, fra quelli, proprio, di più fondamentale e pratica portata, si è potuto, non senza ragione, parlare di «rischi»: assunti tuttavia per validi motivi e con la volontà e la previsione della possibilità di superarli adeguatamente. Più giusto, pertanto, sarebbe parlare piuttosto di «sfide» che i nuovi tempi ci propongono (mi riferisco in particolare, come è ovvio, alla Chiesa italiana, per conto della quale, e insieme con la quale, la Santa Sede ha proceduto: a Vostra Eccellenza, quale suo rappresentante, il pensare a quanto di nuovo gli Accordi oggi ratificati comportano per lo Stato Italiano).

Ma, né i rischi hanno arrestato un progetto che all’una e all’altra Parte è apparso – nel succedersi di non pochi, anni – richiesto dalle nuove circostanze, responsabilmente viste ed affrontate, né le sfide possono farci guardare con minore serenità ad un avvenire che, basato su una lettera e uno spirito improntati a leale volontà di mutuo rispetto e a propositi di fiduciosa collaborazione, noi confidiamo, ricco di positive conseguenze al servizio del popolo italiano. A questo popolo, così vicino e caro alla Sede Apostolica, ed ai responsabili dei suoi destini di civiltà e di bene sere, a cominciare dal Signor Presidente della Repubblica, vanno in questa solenne circostanza l’espressione del mio, sincero rispetto e il mio augurio.


*L’Attività della Santa Sede 1985, p. 468-469.

Nella Chiesa per il mondo. Omelie e Discorsi, Milano: Rusconi, 1987, p.470-472.

 

top